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La terza sotto-sezione: modo di sentire e modo di pensare

«Esporremo i singoli momenti che portano la ragione a questa sua decisione» (A542/B570). Svelata la dinamica propria dell’illusione trascendentale, la ragione è an- cora soggetta alla ricerca di un incondizionato ma può sottrarsi all’errore di considerarlo un oggetto dato: come ricordato, esso costituisce un principio che trascende l’esperienza e svolge un ruolo regolativo rispetto a essa. Di conseguenza: de iure tanto il prolunga- mento della serie all’infinito quanto l’ammissione di una causalità libera richiedono una «decisione» della ragione, de facto il primo – consistendo in una sintesi dell’omogeneo – si manifesta come un processo automatico e la «decisione» riguarda la possibilità di ammettere o meno la libertà in aggiunta. Il termine «decisione» suggerisce un «atto primo», non soltanto meta-empirico (trascendentale) ma anche meta-trascendentale (che si pone al di sopra della distinzione tra teoretico e pratico): esso ribadisce, quale fonda- zione ultima, la libertà della ragione.

«La legge di natura [...] è una legge dell’intelletto» (A541/B569)40. Come chiarito nella prima sotto-sezione, la natura, strettamente intesa, consiste nell’insieme dei feno- meni e, secondo l’Analitica Trascendentale, nessuna esperienza fenomenica è possibile se non secondo principi dell’intelletto: in questo senso, è stato detto, bisogna intendere il potere legislatore della mente.

Quanto cadesse al di fuori delle sue norme consisterebbe «in un puro ente di pensiero

[Gedankendinge] e in una chimera [Hirngespinst] » (A542/B570)41. Entrambi i termini

contraddistinguono un errore epistemico, dovuto all’applicazione fallace delle facoltà cognitive. Nella Nota all’anfibolia, Kant ha distinto due tipi di errore che possono oc- correre nel giudizio determinante: l’uno consiste nell’applicazione di un’intuizione in mancanza di un oggetto che le corrisponda (ens imaginarium) e l’altro nell’applicazione di un concetto in mancanza di un’intuizione sensibile che gli corrisponda (ens rationis) (cf. A290-2/B346-9). Entrambi si differenziano da un errore di tipo metafisico, che con- siste nell’impiego, da parte dell’intelletto, di una categoria pura, non schematizzata, per un’istanza della ragione all’incondizionato.

L’universalità della legge dell’intelletto, «che non è lecito abbandonare con nessun pretesto, e dalla quale non è possibile sottrarre alcun fenomeno» (A542/B570), non si- gnifica però che «si tratti unicamente di una catena di cause, che nel regresso verso le sue condizioni non ammetta alcuna totalità assoluta» (A543/B571). La differenza tra le due affermazioni è stata infatti chiarita, e la difficoltà [...] eliminata, nella valutazione generale dell’antinomia della ragione» (A543/B571). Nella prima sotto-sezione, infatti, si è distinto tra principi trascendenti della ragione, fra i quali l’infinita estensione della causalità naturale e la causalità mediante libertà, e principi trascendentali dell’intelletto, fra i quali la seconda analogia dell’esperienza. Alla luce dell’idealismo trascendentale, è stato possibile riconoscere nei primi, non nei secondi, l’illegittima oggettivazione di un principio soggettivo.

«Se vogliamo seguire l’illusione del realismo trascendentale, non ci rimane né la na- tura né la libertà» (A543/B571). Lo stesso è stato già detto nella prima sotto-sezione, con una differenza: lì Kant ha affermato che la natura potrebbe ben essere salvata in una prospettiva di realismo trascendentale, trattandosi di una forma omogenea di causalità. Credo che il riferimento ulteriore alla natura abbia le sue ragioni scientifiche, oltre che strategiche – ove queste ultime consisterebbero nell’aumentare lo svantaggio a carico del realismo trascendentale – sotto almeno due aspetti. In primo luogo, se non fossimo in grado di garantire una completa e sistematica determinazione della natura, di conse-

40 Variazione dalla traduzione italiana ufficiale, che recita: «Partiamo dalla legge di natura [...]; [que-

sta legge] è una legge dell’intelletto».

41 Prima che nella Critica della ragion pura, il termine «chimera» è stato impiegato largamente nei

Sogni di un visionario. Cf. I. KANT, Träume eines Geistersehers, KGS, II, 320. 340-1. 342-8. 360. 366. Esso compare un paio di volte nel saggio sulle malattie della testa. Cf. ID., Versuch über die Krankheiten

des Kopfes, KGS II, 263-4. Lo si trova inoltre disparatamente in altri scritti pre-critici. Cf. ID., Allgemeine

Naturgeschichte, KGS I, 315; ID., Fortgesetzte Betrachtung, KGS I, 465; ID., Entwurf und Ankündigung, KGS II, 3; ID., Der einzig mögliche Beweisgrund, KGS II, 160. Dopo la Critica, il termine ricorre nei Prolegomeni. Cf. ID., Prolegomena, KGS IV, 292-3. 314. 327. Esso compare inolte nella Critica del giu-

dizio, per lo più entro una trattazione sui miracoli. Cf. ID., Kritik der Urteilskraft, KGS V, 411. 466-7.

472. Inoltre, per opposizione, nella Fondazione della metafisica dei costumi e nella Critica della ragion pratica. Cf. ID., Grundlegung, KGS IV, 407. 445. 462 e ID., Kritik der praktischen Vernunft, KGS V, 141. 143. 154. Cf. inoltre ID., Anthropologie, KGS VII, 187; ID., Menschenrace, VIII, 91; ID., Was heißt:

guenza l’infinita estensione della serie causale naturale, dovremmo ammettere delle ec- cezioni alla seconda analogia dell’esperienza e, in ultima analisi, verrebbe a mancare un criterio per la conoscenza dei fenomeni come tali: avendo definito la natura come l’insieme dei fenomeni, dovremmo rinunciare pertanto anche a quest’ultimo concetto. Pur avendo rigorosamente distinto tra principi trascendenti e principi trascendentali, Kant sembrerebbe indicare che i principi trascendenti, considerati nella loro funzione regolativa, sono condizione dell’applicazione dei principi trascendentali nell’esperienza, che d’altra parte è l’unico contesto nel quale questi ultimi potrebbero avere un senso. In secondo luogo, sullo sfondo dell’affermazione kantiana si potrebbe riconoscere un ulte- riore ragionamento, secondo il quale anche la natura, almeno sotto un certo aspetto, sa- rebbe ultimamente fondata sulla libertà, intesa in senso cosmologico, e di conseguenza cadrebbe con questa: come Kant ha infatti chiarito nell’argomentazione a favore della tesi, la causalità mediante libertà garantirebbe una «totalità assoluta» delle condizioni di un fenomeno che non potrebbe darsi in natura, a meno della quale la natura stessa, inte- sa nel suo complesso, non potrebbe essere adeguatamente fondata, poiché riposerebbe sempre soltanto su spiegazioni parziali. In questo senso, negare la possibilità di un asso- luto inizio significherebbe rinunciare a una piena comprensione della natura stessa. A questa convinzione il filosofo sembrerebbe peraltro riferirsi anche nelle righe immedia- tamente precedenti a quella in considerazione, ove si riferisce alla negazione della liber- tà come a quella di una «totalità assoluta». In questa prospettiva, dal punto di vista del realismo trascendentale si sarebbe quindi costretti a sacrificare anche la natura, sia diret- tamente che indirettamente. La formulazione kantiana qui presa in considerazione costi- tuirebbe pertanto solo una precisazione di quanto detto precedentemente. L’idealismo trascendentale offrirebbe invece le condizioni di possibilità di una causalità mediante li- bertà – prima di tutto in senso cosmologico – e di una infinita estensione della serie cau- sale. Alla luce di ciò, una prova della libertà potrebbe costituire una controprova dell’idealismo trascendentale.

«Resta solo da chiedersi se [...] sia […] possibile considerare un medesimo accadi- mento da un lato come un semplice effetto della natura e dall’altro lato come un effetto della libertà, o se fra queste due specie di causalità vi sia una diretta contraddizione» (A543/B571). Le espressioni «da un lato» [einer Seits] e «dall’altro lato» [anderer

Seits] e, nelle domande successive, «anche» [auch] (A544/B572) e «inoltre» [übrigens]

(A544/B572) richiamano letteralmente «da due lati» [auf zwei Seiten] (A538/B566) e «sotto l’aspetto di» [in Ansehung] (A537/B565). La domanda della prima sotto-sezione viene qui ripresa in termini di singoli accadimenti del mondo e questo consente di spo- stare l’attenzione dal significato cosmologico a quello antropologico della libertà. Come nella prima sotto-sezione, è possibile tradurre la domanda in un’altra: «sarà forse neces- sario che la causalità della loro [degli effetti] causa debba essere unicamente empirica? E non sarà piuttosto possibile che [...] questa stessa causalità empirica [...] possa essere anche l’effetto di una causalità non empirica, bensì intellegibile? [...] che tale causalità empirica sia l’effetto dell’azione originaria [...] di una causa che [...] in base a questa sua facoltà, è intellegibile [...]?» (A544/B572).

Il sesto paragrafo ripropone e approfondisce l’argomentazione schematizzata nella sotto-sezione precedente. La dottrina dell’idealismo trascendentale è applicata (i) a un oggetto sensibile in generale considerato come causa efficiente, (ii.i) a un soggetto a- gente, in termini di causalità e (ii.ii) successivamente in termini di caratteri.

(i) L’intelletto non viene minimamente danneggiato se si ammette [...] che fra le cause natu- rali ve ne siano anche alcune che ne abbiano una facoltà solo intellegibile [...]. (ii.i) il phae- nomenon di questo soggetto [agente] (con tutta la sua causalità in ciò che appare) conterreb- be certe condizioni che, se si vuole risalire dall’oggetto empirico a quello trascendentale, dovrebbero essere considerate come semplicemente intellegibili. (ii.ii) questi ultimi [i feno- meni] nondimeno devono poter essere spiegati pienamente a partire dalla loro causa nel fe- nomeno [...] seguendo come suprema ragione chiarificatrice il carattere semplicemente em- pirico di essi, e trascurando il carattere intellegibile (A546/B574, numerazione mia).

(i) Il concetto di «facoltà solo intellegibile» anticipa il riferimento alle facoltà supe- riori dell’uomo (intelletto e ragione). Nel caso di una tale facoltà, la «determinazione all’azione» [Bestimmung zur Handlung] (A545/B573) riposerebbe «su semplici principi dell’intelletto» (A545/B574), sebbene «l’azione nel fenomeno di questa causa» (A545/B574) sia sempre «conforme [gemäß] a tutte le leggi della causalità empirica» (A545/B573). In questa prospettiva, la «causalità empirica» si potrebbe considerare «ef- fetto» di una «azione originaria», ovvero di una «causalità non empirica, bensì intelle- gibile». Lo sarebbe però «senza [...] interrompere minimamente la sua connessione con le cause naturali» (A544/B572). In altri termini la causa, «in base a questa sua facoltà», sarebbe intellegibile «sebbene essa per altro verso, come un termine della catena natura- le, debba essere totalmente ascritta al mondo sensibile» (A544/B572).

Al posto del termine «intelletto» ci saremmo aspettati di trovare «ragione»: proprio la Dialettica Trascendentale ha, infatti, definito la ragione, differenziandola in questo modo dall’intelletto, come «facoltà dei principi» (A299/B356). L’intelletto, che consen- te un riferimento più stretto al lessico dell’intellegibile, va qui inteso nel significato pre- critico del termine. Oltre a mostrare un uso pressoché indifferenziato dei termini «intel-

lectus» e «ratio», entrambi in opposizione alla sfera sensibile, negli scritti pre-critici

Kant intende l’intelletto [Verstand] come facoltà suprema e le assegna un ruolo creati-

vo42. L’Analitica Trascendentale non sembra disconoscere questo significato,

nell’attribuire all’appercezione trascendentale la capacità di intuirsi come intelligenza e di produrre così una rappresentazione intellettuale: «la coscienza di me stesso nella rap- presentazione io non è per nulla un’intuizione, bensì una rappresentazione semplice- mente intellettuale della spontaneità di un soggetto pensante» (B278). La Dialettica

Trascendentale riserva tuttavia alla ragione il compito di una «connessione architettoni-

ca [...] secondo fini, cioè secondo idee» (cf. A318/B375). Anche i Prolegomeni sembra- no alludere a una funzione archetipa dell’intelletto (KGS IV, 351): è proprio a questi si- gnificati che si riferisce il caso presente.

Il concetto di «azione originaria» si riferisce alla facoltà di «iniziare una serie assolu- tamente e spontaneamente» (A543/B571; cf. inoltre A533/B561) e l’origine si intende «rispetto ai fenomeni» (A544/B572). L’aggettivo «originaria» anticipa il riferimento

42 Nella Dissertazione inaugurale si trova: «Intelligentia (rationalitas) est facultas subiecti, per quam,

quae in sensus ipsius per qualitatem suam incurrere non possunt, repraesentare valet. [...] Cognitio, quate- nus subiecta est legibus [...] intelligentiae, est intellectualis s. rationalis». I. KANT, De mundi sensibilis

atque intelligibilis, KGS II, 392. Nel suo ruolo produttivo, l’intelletto umano mostra un’analogia con quello divino: in questo senso l’intelletto viene anche definito «superior animi facultas». Ivi, 393. Nelle Riflessioni, si incontra la definizione di «oberster Verstand»: ID., Refl. 5611, KGS XXVIII, 252:27. Cf.

all’appercezione trascendentale, più di una volta designata quale «appercezione origina- ria» (cf. B132. B142. B220)43.

L’aggettivo «conforme» [gemäß] compare qui per la seconda volta. Nel caso presen- te la «conformità» è anche «regolarità» [Gesetzmäßigkeit] del carattere empirico rispet- to ai principi trascendentali dell’intelletto, dunque «omogeneità» [Gleichartigkeit].

Posta la premessa trascendentale, Kant insiste sulla pura intellegibilità della causali- tà. Allo stesso tempo, ribadisce i due aspetti sotto i quali la causa in questione può esse- re considerata: il «fenomeno» della causa, che rimanda alla causa in se stessa o il rife- rimento alla «causa intellegibile» e «per altro verso» «termine della catena naturale».

(ii) Consideriamo un «soggetto agente», ovvero un soggetto che funzioni come causa efficiente tra i fenomeni («causa phaenomenon», A545/B573). «Se si vuole risalire dall’oggetto empirico a quello trascendentale» (A545/B573) ovvero dal «phaenomenon di questo soggetto (con tutta la sua causalità in ciò che appare)» al «soggetto trascen- dentale», riscontriamo «certe condizioni» che stanno a «fondamento di questi fenomeni e della loro connessione» (A545/B573) e sono «semplicemente intellegibili» (A545/B573). Esse riguardano infatti «semplicemente il pensiero nell’intelletto puro» (A545/B573): in primo luogo, perché possono essere raggiunte soltanto dalle facoltà e- pistemiche superiori; in secondo luogo, perché esprimono la facoltà produttiva dell’intelletto puro. I fenomeni sarebbero infatti «effetti del pensiero e dell’azione dell’intelletto» (A546/B574 [corsivo mio]; cf. inoltre il riferimento ai principi dell’intelletto [A545/B574]). Il concetto di «causa phaenomenon» rimanda a quello di «causa trascendentale» (A546/B574), sebbene la prima definizione si riferisca al sogget- to e la seconda al carattere. Nel definire il carattere intellegibile quale «causa trascen- dentale» di quello empirico, si ribadisce il rapporto fondativo tra i due caratteri. A con- clusione del paragrafo, l’autore invita ad «applicare all’esperienza» (A546/B574; cf. inoltre A537/B565) l’argomentazione appena sostenuta: la teoria dei caratteri può così riferirsi esplicitamente all’uomo (ciò accade quattordici volte in tutto [cf. A546/B574. A549-50/B577-8. A552-6/B580-4).

Come nella descrizione dell’arbitrio contenuta nella prima sotto-sezione, anche in questo caso l’autore parte da una considerazione per cui «nella natura inanimata, come nella natura semplicemente animale, noi non troviamo alcuna ragione per pensare a una qualche facoltà che non sia condizionata sensibilmente» (A546/B574). Il funzionamento meccanico della natura animale (cf. nella prima sotto-sezione il riferimento alle «cause motrici della sensibilità», qui alle «condizioni sensibili») non esclude che gli aspetti specifici della vita organica possano richiedere una spiegazione non meccanica, ma te- leologica44. Così anche l’uomo manifesta una facoltà di produrre effetti nel mondo fe- nomenico sulla base di leggi naturali, ovvero un carattere empirico «nelle forze e nelle facoltà che egli manifesta con le sue azioni» (A546/B574). Come anticipato nella se- conda sotto-sezione, il carattere empirico non consiste propriamente nelle «azioni» ma piuttosto nelle «forze» e «facoltà» che le spiegano: il riferimento a «forze» e «facoltà» precisa che si tratta di poteri esteriori, manifesti, ma anche interiori – osservazioni in merito a questi temi vengono definitivamente sistematizzate nell’Antropologia dal pun-

43 Cf. H. HEIMSOETH, Transzendentale Dialektik, 353. 358-61.

44 Sulla distinzione tra sostanza materiale e sostanza vivente, cf. I. KANT, Metaphysische Anfan-

gsgründe, KGS IV, 544. Sulla spiegazione teleologica della natura cf. ID., Kritik der Urteilskraft, KGS V,

to di vista pragmatico, in riferimento al carattere della persona, del genere maschile e

femminile, dei popoli e delle razze, infine del genere umano in generale. Anche se indi- rettamente, il carattere empirico è sufficientemente attestato dall’esperienza.

Nella misura in cui per definizione si sottrae all’esperienza, il carattere intellegibile richiede una giustificazione: come è stato chiarito, essa equivale a mostrare che l’essere umano possiede (a) una facoltà intellegibile e (b) causale. Il requisito (a) può essere chiarito da un esame delle facoltà conoscitive. Nel Libro Primo dell’Analitica Trascen-

dentale il filosofo ha affermato che

la nostra conoscenza scaturisce da due sorgenti fondamentali dell’animo: la prima consiste nel ricevere le rappresentazioni (la recettività delle impressioni), la seconda è la facoltà di conoscere un oggetto mediante queste rappresentazioni (spontaneità dei concetti). Per mezzo della prima, un oggetto ci viene dato; per mezzo della seconda, esso viene pensato in rappor- to a quella rappresentazione (come mera determinazione dell’animo) (A50-1/B74-5)45.

Il paragrafo in esame riprende entrambi gli aspetti della conoscenza. Sebbene venga determinato dagli oggetti esterni «tramite i sensi» (A50-1/B74-5), l’uomo «conosce se stesso anche tramite la semplice appercezione, e più precisamente nelle azioni e nelle determinazioni interne, che egli non può affatto annoverare fra le impressioni sensibili» (A50-1/B74-5). L’espressione «conosce sé stesso» [erkennt sich selbst], simmetrica a «conosce la natura» [kennt die Natur] (A546/B574), può essere interpretata in due mo- di, dei quali il primo rimanda indirettamente, il secondo direttamente alla spontaneità del pensiero. Intendendo il verbo «conoscere» secondo l’Estetica e la prima parte dell’Analitica Trascendentale, la conoscenza di sé significherebbe l’esperienza interna: processo riflessivo attraverso il quale il soggetto si appropria dell’esperienza esterna. L’esperienza interna richiederebbe «anche», ma non soltanto, la «semplice appercezio- ne»: quest’ultima interverrebbe infatti sul senso interno, poiché gli oggetti mentali sono sempre nel tempo e la sua azione consisterebbe «nelle azioni e nelle determinazioni in- terne, che egli non può affatto annoverare fra le impressioni sensibili». In altri termini, sulla base di questa interpretazione l’esperienza interna rivelerebbe con maggiore evi- denza rispetto a quella esterna la partecipazione attiva, spontanea dell’intelletto nella conoscenza. Intendendo più genericamente il verbo «conoscere» come «determinare», l’autore si riferirebbe qui al fatto che l’«io penso» («semplice appercezione» qua apper- cezione trascendentale), il quale «deve poter accompagnare tutte le mie rappresentazio- ni» (B131) (come coscienza delle rappresentazioni e nello stesso tempo delle «azioni» e «determinazioni interne» spontanee tramite le quali le rappresentazioni vengono elabo- rate) esprime non soltanto la mia attività di pensiero ma anche la mia esistenza in quan- to soggetto pensante (cf. B158 nota**). Il termine «determinazioni» è da intendere in entrambi i casi in senso attivo. La «semplice appercezione» rimanda alla spontaneità delle facoltà di pensiero superiori: «intelletto e ragione» (A547/B575), di cui «special- mente l’ultima viene distinta del tutto propriamente e in modo eminente da tutte le ca- pacità empiricamente condizionate, poiché essa considera i suoi oggetti semplicemente sulla base di idee e determina con ciò l’intelletto, che grazie a questo fa un uso empirico

45 Nelle Riflessioni si trova: «Die Vernunft bestimmt sich selbst in Ansehung ihrer Begriffe, die Sin-

nlichkeit wird vom Gegenstande bestimmt. Daher gründet sich jene auch nicht auf Bedingungen der Ap- prehension und Apperzeption, sondern bestimmt die synthesis a priori». I. KANT, Refl. 5619, KGS XVIII,

dei suoi concetti (i quali per altro sono già puri) » (A547/B575)46. Soltanto «rispetto a certe facoltà» (A546-7/B574-5) – ovvero «poiché la sua azione non può affatto essere attribuita alla ricettività della sensibilità» (A547/B575) – l’uomo è «un oggetto sempli- cemente intellegibile» (A547/B575). Intelletto e ragione esprimono una spontaneità epi- stemica e costituiscono, pertanto, facoltà intellegibili47 ma – fino a questo punto – non manifestano ancora un «carattere», ovvero un potere causale.

«Che questa ragione abbia una causalità risulta chiaramente dagli imperativi che nell’intero ambito pratico assegniamo come regole alle nostre capacità esecutive» (A547/B575). Il concetto di «capacità esecutive» richiama quello di «forze e facoltà», citato nel paragrafo precedente, oltre a quello di «arbitrio», che fin dall’inizio ha con- traddistinto il significato pratico-antropologico della libertà. Rinforzando le osservazio- ni contenute nella prima sotto-sezione (il passaggio dal verbo sollen al sostantivo Sollen sembra essere emblematico), l’autore anticipa riflessioni pertinenti all’«ambito pratico» e, riferendosi alla normatività che lo descrive, introduce la nozione di «imperativi» [Im-

perativen] – sebbene siano nominati al plurale – essi rinviano all’imperativo categorico.

Già nel Libro Primo della Dialettica Trascendentale Kant aveva cercato di rendere comprensibile il concetto pratico delle idee platoniche in termini teoretici, definendole «qualcosa che non soltanto non è mai derivato dai sensi, ma oltrepassa di gran lunga gli stessi concetti dell’intelletto» (A313/B370) e come gli «archetipi [Urbilder] delle cose stesse» (A313/B370): allo stesso modo qui il concetto pratico degli imperativi è tradotto nei termini del linguaggio teoretico, tramite la distinzione tra essere e dover essere. Dal momento che «l’intelletto può conoscere della natura soltanto ciò che è – o è stato o sa- rà – presente» (A547/B575), segue che «noi non possiamo assolutamente chiederci che cosa debba accadere nella natura, come non possiamo chiederci che genere di proprietà debba avere una circonferenza [...], ma solo che cosa accada, o quali proprietà abbia la circonferenza» (A574/B575). A ben vedere, anche nella conoscenza speculativa è pos- sibile formulare dei doveri: le regole che devo seguire, nella conoscenza dei fenomeni. La loro capacità normativa tuttavia si sovrappone a quella dell’esperienza: le norme, trascendentali e empiriche, che regolano i fenomeni. L’analogia tra gli oggetti della ge- ometria e i fenomeni della natura vale solo a condizione di astrarre dalle relazioni tem- porali, cui i primi si sottraggono e i secondi sono invece sottoposti48. La normatività del dovere espresso dagli imperativi è invece altra rispetto a quella dell’esperienza. Mentre «il fondamento di una semplice azione naturale non può che essere sempre un fenome- no» (A548/B576), tramite gli imperativi si esprime «un’azione possibile il cui fonda-

mento non è altro che un semplice concetto» (A547/B575)49 ovvero «una specie di ne-

cessità e connessione con dei fondamenti, che non si presenta altrove in tutta la natura» (A547/B575)50. Il concetto di «possibile» si definisce in relazione alle leggi empiriche e trascendentali («l’azione a cui è diretto il dovere dev’essere possibile entro condizioni

46 Nelle Riflessioni si trova: «Die Vernunft aber ist nicht eine Erkenntnis, welche die Art enthält, wie