CARATTERE E AZIONE
6. Una teoria dell’azione kantiana, secondo Richard Mc Carty
6.1. Giustificazione e spiegazione dell’azione
Recuperando il modello di razionalizzione dell’azione secondo il binomio «creden- za-desiderio», Mc Carty distingue – sulla scorta di Davidson – tra giustificazione e spiegazione dell’azione. Giustificare un’azione significa ricondurla a un imperativo ipo- tetico: ad esempio, l’azione di accendere un lume all’imperativo ipotetico «se vuoi ave- re luce quando non c’è corrente elettrica, devi accendere un lume», ove l’imperativo i- potetico è conclusione di un ragionamento pratico. Esso consiste in una premessa maggiore (ovvero una massima) e in una premessa minore (che esprime una credenza, in questo caso: qualora non sia disponibile la corrente elettrica, è possibile avere luce accendendo un lume). Spiegare l’azione significa individuare una connessione necessa- ria tra questa e l’imperativo ipotetico da cui essa dipende, ovvero la massima che costi- tuisce la premessa maggiore del ragionamento pratico: Mc Carty sembra interpretare questa connessione nei termini di una ulteriore razionalizzazione, per cui la connessione necessaria tra l’azione di accendere il lume e l’imperativo ipotetico, ovvero la massima, consisterebbe nell’ulteriore ragionamento pratico: «è utile avere luce (massima: premes- sa maggiore); accendere un lume è un modo di far luce (tramite l’imperativo ipotetico: credenza, premessa minore); per cui accendo questo lume (conclusione)»149. Volendo spiegare in che modo un ragionamento pratico possa non soltanto giustificare, ma anche spiegare, l’azione, Mc Carty assume la prospettiva dell’agente ex ante rispetto all’azione: egli pone il problema di come un ragionamento pratico sia non solo una rac- comandazione oggettivamente valida ancorché soggettivamente non vincolante, ma che essa possa effettivamente produrre l’azione150.
La preoccupazione di Mc Carty si esprime in due passaggi. Secondo Mc Carty, Kant ammetterebbe che il ragionamento pratico, tramite gli imperativi, sia in grado quanto meno di «giustificare» un’azione151. Ora, se una «giustificazione» non fosse anche una «spiegazione» essa sarebbe irrilevante152. Pertanto ci si può legittimamente attendere che il ragionamento pratico sia anche in grado di «spiegare» l’azione. Mc Carty intro- duce a questo punto una distinzione tra esseri perfettamente razionali e esseri limitata- mente razionali (in parte sensibili) come l’uomo. I primi «desidererebbero tutto e solo ciò che essi riconoscono come buono tramite la ragion pratica pura»153: in altri termini, per questi la legge morale sarebbe soggettivamente oltre che oggettivamente vincolante. Poiché in questo caso la legge causale del loro comportamento coinciderebbe con il ra- gionamento pratico, i principi di spiegazione delle azioni coinciderebbero con quelli che giustificano le azioni. Non così per l’essere umano, nel quale la ragione non costituisce l’unico fattore in gioco nel ragionamento pratico: il fatto che il dovere si manifesti nella forma di un imperativo rivela che una giustificazione dell’azione tramite ragionamento pratico non è di per sé sufficiente a muovere il soggetto all’azione, di conseguenza non costituisce di per sé automaticamente anche una spiegazione. In altri termini
possiamo sempre agire come riconosciamo di essere giustificati a fare. Ma quando lo fac- ciamo, qualcosa in più della giustificazione che riconosciamo deve spiegare la nostra azione.
149 Cf. R. MC CARTY, Kant’s theory of action, 1-21. 150 R. MC CARTY, Kant’s theory of action, 26. 151 Cf. R. MC CARTY, Kant’s theory of action, 28. 152 Cf. R. MC CARTY, Kant’s theory of action, 27. 153 R. MC CARTY, Kant’s theory of action, 26.
Altrimenti non si potrebbe in alcun modo rendere conto della possibilità controfattuale di a- ver mancato di agire in quel modo154.
Il fatto che una ragione pratica possa muovere il soggetto all’azione implica che essa
possa entrare nel «meccanismo»155 che spiega l’azione, ovvero in una connessione cau-
sale naturale di cui anche l’azione costituisce una parte. Sebbene l’incentivo morale del rispetto per la legge sia in grado di spiegare in che modo la ragione pratica pura possa sollecitare la sensibilità creando un incentivo per l’azione, esso lascia aperta la questio- ne di come la ragione sia in grado di «attivare»156 incentivi sensibili che portino all’effettiva realizzazione dell’azione, ovvero di come gli incentivi sensibili anche mo- rali entrino nella catena delle connessioni causali naturali.
Il secondo passaggio consiste allora nel richiedere un adeguato rendiconto di ciò tramite cui una giustificazione pratica diviene anche una spiegazione per l’azione. Rife- rendosi in larga parte agli scritti kantiani precritici e al lascito manoscritto, Mc Carty ri- conosce come problematica principale quella di garantire l’effettività del modello «de- siderio-credenza» dell’azione. Formulato in questi termini, il problema riguarda in che modo gli imperativi siano in grado di entrare nella connessione causale naturale: la premessa implicita è – come da Davidson, tramite l’interpretazione di Meerbote, fino a Hudson – una naturalizzazione del problema dell’azione.
Mentre la funzione giustificativa di un ragionamento pratico si realizza in forma lo- gica, la funzione esplicativa si realizza in forma «psicologica»157. Nel primo senso un ragionamento pratico costituisce un sillogismo, ove la premessa maggiore esprime una massima (la rappresentazione di qualcosa come appetibile) e la premessa minore una conoscenza teoretica (ovvero una credenza: la rappresentazione di una determinata a- zione come mezzo per conseguire il fine dichiarato, appetibile dalla premessa maggio- re). La funzione giustificativa di una massima in un ragionamento pratico è cioè quella di «prestare supporto razionale a un atto»158, nella misura in cui questo può considerarsi intenzionale. Nel secondo senso, bisogna riconoscere che la massima, nel rappresentare qualcosa come appetibile, costituisce una forma di desiderio e possiede pertanto una «forza motrice»159, la quale «si trasmette alle azioni particolari che compiamo […] at- traverso inferenze del ragionamento pratico»160.
Il problema diviene allora quello di argomentare la duplice natura di una massima, da una parte il fatto che, in quanto rappresentazione proposizionale generale, il cui criterio di valutazione è quello della coerenza logica, possa contenere una componente psicolo- gica, che faccia appello all’interiorità singolare di un soggetto, che possa quindi essere valutata secondo il criterio della forza161. Nella misura in cui rappresenta qualcosa come buono, la massima accoglie in sé un incentivo in senso oggettivo: ad esempio, la mas- sima «fare almeno due ore di passeggiata al giorno è salutare» contiene un incentivo, nel senso oggettivo del termine, a fare almeno due ore di passeggiata al giorno; o, detto
154 R. MC CARTY, Kant’s theory of action, 26. 155 R. MC CARTY, Kant’s theory of action, 28 nota 49. 156 R. MC CARTY, Kant’s theory of action, 26. 157 R. MC CARTY, Kant’s theory of action, 28. 158 R. MC CARTY, Kant’s theory of action, 31-2. 159 R. MC CARTY, Kant’s theory of action, 32. 160 R. MC CARTY, Kant’s theory of action, 33. 161 R. MC CARTY, Kant’s theory of action, 35.
altrimenti, il fare almeno due ore di passeggiata al giorno diviene un incentivo rappre- sentato oggettivamente. I medesimi incentivi possiedono un aspetto soggettivo nella mi- sura in cui possono diventare forze motrici per l’azione, ovvero esprimere «la forza del- la massima che li incorpora capace di spiegare l’azione»162. Nell’esempio precedente, il fare almeno due ore di passeggiata al giorno può assumere una rilevanza psicologica nel momento in cui muove un soggetto all’azione. La duplice natura di una massima è ri- condotta da Mc Carty alla normatività oggettiva e soggettiva dell’incentivo che essa ac- coglie in sé.
Interessandosi qui al problema psicologico di garantire l’effettività della ragione at- traverso le sue massime, Mc Carty non si interessa di argomentare ulteriormente il valo- re normativo oggettivo di un incentivo. Sembrerebbe qui sottintesa una concezione per cui ogni incentivo nella misura in cui viene rappresentato oggettivamente da una mas- sima possiede di per sé anche una forza soggettiva: questa premessa ricondurrebbe al problema iniziale di negare la possibilità che un soggetto, pur avendo ottime ragioni per compiere un’azione, manchi di realizzarla. Per evitare il problema bisogna considerare l’argomentazione di Mc Carty ex post: ricondurre un’azione a una massima, conside- randola una adeguata spiegazione dell’azione oltre che una mera giustificazione, impli- ca attribuire all’incentivo incorporato in essa una dimensione tanto oggettiva quanto soggettiva. Questo problema sembra suggerire che aver postulato una dimensione sog- gettiva degli imperativi potrebbe non essere sufficiente per rendere conto del loro fun- zionamento come forze motrici dell’azione, e che potrebbe rendersi necessario operare ulteriori distinzioni all’interno della dimensione psicologica.