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LIBERTÀ E FACOLTÀ DELL’ANIMO

3. L’appercezione trascendentale

3.1. Principio analitico dell’unità sintetica

Quanto detto in merito alla costituzione di un oggetto della conoscenza e alla sintesi giudicativa, appuntata sulle categorie, tramite la quale l’oggetto si costituisce, ha reso più esplicito il ruolo dell’appercezione trascendentale. Al rapporto tra sinteticità e anali- ticità di questo principio sono dedicati i due ultimi, lunghi capoversi del §16 dell’Analitica trascendentale. Riferendosi all’attività cognitiva sopra descritta, Kant connota l’unità dell’appercezione in questi termini:

questa continua identità dell’appercezione di un molteplice dato nell’intuizione contiene una sintesi delle rappresentazioni, ed è possibile soltanto mediante la coscienza di questa sintesi. E questo perché la coscienza empirica che accompagna diverse rappresentazioni è dispersa in se stessa e non ha un rapporto con l’identità del soggetto. Un rapporto, quest’ultimo, che non si realizza dunque solo per il fatto che io accompagni con la coscienza ogni rappresenta- zione, bensì per il fatto che io aggiungo una rappresentazione all’altra, e sono cosciente della loro sintesi. Dunque, è solo perché io posso congiungere in un’unica coscienza un molteplice di rappresentazioni date, che mi è possibile rappresentarmi la stessa identità della coscienza in queste rappresentazioni: vale a dire che l’unità analitica dell’appercezione è possibile solo se si presuppone un’unità sintetica di essa (B133-4; corsivo mio).

Ponendo il problema della continuità dell’appercezione, la riflessione appena riporta- ta si collega al tema, articolato sopra, dell’identità numerica del soggetto pensante. Mentre la questione riguardava, però, lì la possibilità di rappresentare un molteplice in quanto tale e ne rintracciava la condizione ultima nella riconducibilità di esso al mede- simo sostrato di pensiero, l’accento è qui posto sul modo in cui la complessità del mol- teplice si rapporta alla semplicità dell’appercezione. Si è già visto che rappresentare un molteplice in quanto tale – ritenere, cioè, una rappresentazione complessa (ad esempio:

3+2) come propria – richiede di potersi ritenere non soltanto il soggetto di ciascuna

rappresentazione parziale (ad esempio, colui che rappresenta una volta 3 e una volta 2) ma anche lo stesso soggetto di tali rappresentazioni. Kant specifica qui che per far que- sto bisogna non soltanto effettivamente comporre le rappresentazioni parziali 3 e 2, ma anche essere coscienti di questa composizione43.

L’unità dell’appercezione, in virtù della quale essa è analiticamente identica a sé stessa, consisterebbe dunque in un processo sintetico. La sinteticità dell’unità dell’appercezione dipende dal fatto che essa può emergere soltanto nella sintesi del mol- teplice, l’analiticità caratterizza invece l’identità dell’appercezione in quanto si distin- gue da quella del molteplice che le appartiene. In una nota al testo, questa distinzione si chiarisce tramite un’analogia tra l’unità dell’appercezione e quella dei concetti empirici

43 Si parla, in questo caso, di «sintesi» per indicare un processo, oltre che il prodotto che le corrispon-

de. Così nella prima edizione della Critica si trova: «Diese synthetische Einheit setzt aber eine Synthesis voraus, oder schließt sie ein». I.KANT, Kritik der reinen Vernunft, A118. L’unità sintetica cui ci si riferi-

sce qui è quella «des Mannigfaltigen in aller möglichen Anschauung» (ivi, A117), per la quale l’appercezione pura fornisce «ein Principium» (ibidem). La rappresentazione del molteplice in quanto tale non soltanto presuppone un’operazione sintetica, ma la include: in quanto rappresentazione del moltepli- ce, è infatti anche rappresentazione della sua sintesi. Anche in questo caso si intende l’«unità sintetica» sia come processo che come prodotto. Kant si riferisce, evidentemente, alla sintesi concettuale, che rap- presenta un processo cosciente, e non ai rimanenti atti cognitivi, riconducibili alla sintesi dell’immaginazione, i quali di per sé non richiedono la partecipazione cosciente del soggetto e non sono quindi sufficienti a fondare la continuità dell’appercezione. Cf. H. E. ALLISON, Kant’s transcendental de-

(nel caso specifico, il concetto di «rosso»: cf. B133 nota)44. Quanto alla propria esten- sione, ciascun concetto costituisce una unità analitica: sempre identica a sé stessa, essa «può essere ritrovata in qualche cosa» (B133 nota), contiene cioè analiticamente i casi concreti che lo istanziano. Così il concetto di «rosso» contiene analiticamente – e la sua unità può essere ritrovata in – quello di «pomodoro», di «cuore» e di «corallo». Rispetto alla propria intensione, ogni concetto costituisce, invece, un’unità sintetica: essa «può essere congiunta con altre rappresentazioni» (ibidem) tramite una successione di subor- dinazioni e consiste, infatti, in un’articolazione complessa di predicati. Da quest’articolazione dipendono tanto la definizione del concetto, quanto la sua normativi- tà. Ad esempio, compongono la definizione di «rosso» i concetti di «corpo» e di «esten- sione»; non potrò pertanto trattenermi dall’applicare entrambi questi concetti a qualsi- voglia oggetti cui avrò attribuito il concetto di «rosso». Sia nel caso dell’appercezione che in quello dei concetti è poi vero che «solo grazie a una possibile unità sintetica, pen- sata in precedenza, […] io posso rappresentarmi l’unità analitica» (B133 nota). È, infat- ti, in virtù dell’unità sintetica tra i concetti di «rosso», di «corpo» e di «estensione» che questo concetto si applica alle nozioni di «pomodoro», «cuore» e «corallo». È chiaro che l’affinità tra l’unità dell’appercezione e quella dei concetti è più di una similitudine estrinseca: l’unità dei concetti si fonda su quella dell’appercezione, la quale è dunque la condizione di possibilità affinché questi ultimi abbiano un’estensione e un’intensione. L’appercezione costituisce «il punto supremo» (B133 nota) non soltanto per l’intera lo- gica, ma anche per la filosofia trascendentale e per la conoscenza in generale: essendo i concetti predicati di giudizi possibili, e in particolare i concetti puri di giudizi sintetici a priori, gli uni e gli altri si fondano ultimamente sull’appercezione, che ne è condizione di possibilità.

Quando le cose sembrerebbero ormai chiarite, Kant conclude dichiarando che

questo principio dell’unità necessaria dell’appercezione è anch’esso un principio identico, e dunque costituisce una proposizione analitica, tuttavia esso mostra la necessità di una sintesi del molteplice dato in un’intuizione: una sintesi senza la quale la suddetta identità continua dell’autocoscienza non potrebbe essere pensata (B135).

Una conferma di quest’osservazione si ritrova al §17 ove, dopo aver riportato il con- cetto di un oggetto alle funzioni dell’intelletto, si sostiene che:

l’unità sintetica della coscienza è […] una condizione oggettiva di ogni conoscenza. […] Anche quest’ultima proposizione, come si è detto [al §16] è analitica, sebbene poi essa faccia dell’unità sintetica la condizione di ogni pensiero. […] tale proposizione, infatti, non dice al- tro se non che tutte le mie rappresentazioni, in una qualsiasi intuizione data, devono sottosta- re all’unica condizione per cui io possa attribuirle, come mie rappresentazioni, all’identico me stesso, e possa dunque raccoglierle – in quanto sinteticamente congiunte in un’appercezione – nell’espressione generale io penso (B138).

Kant sembrerebbe confondere, qui, analiticità e sinteticità45. Ciò che egli sembra ri- tenere analitico è «il principio dell’unità necessaria dell’appercezione», ovvero che «l’unità sintetica della coscienza è […] una condizione oggettiva di ogni conoscenza». Come è stato chiarito, tale principio predica che dev’essere un unico e medesimo sog-

44 Sull’affinità tra appercezione e concetti empirici cf. R. STUHLMANN-LAEISZ, Kants Logik, 82-4. 45 P. GUYER, Kant and the claims of knowledge, 139-49.

getto quello il cui pensiero deve poter accompagnare una molteplicità di rappresenta- zioni, affinché le si possa considerare complessivamente rappresentazioni di un molte- plice in quanto tale. In questo senso, l’appercezione trascendentale e il principio che la esplica richiedono una sintesi, condotta dalle categorie, tramite la quale soltanto è pos- sibile che si costituisca per noi un oggetto della conoscenza46. Il modo in cui l’appercezione trascendentale, ovvero la coscienza della sintesi, si deduce dall’unità sin- tetica, ovvero dalla sintesi operata dalla coscienza, è analitico, nella misura in cui cia- scun atto di sintesi implica non soltanto la composizione di un molteplice in una co- scienza, ovvero una sintesi della coscienza, ma anche la coscienza di questo atto, ovvero una coscienza della sintesi. Detto altrimenti, il principio dell’unità dell’autocoscienza può essere analiticamente dedotto dal fatto che conosciamo un molteplice in quanto tale ed è, seppure soltanto sotto la condizione di rappresentare un molteplice siffatto, univer- sale e necessario. Tale necessità condizionale può essere riportata a quella del principio per cui «l’io penso deve poter accompagnare tutte le mie rappresentazioni» (B131-2), il cui contrario non sarebbe di per sé contraddittorio, ovvero impossibile in senso logico, ma costituirebbe un’impossibilità reale: in quel caso, infatti, le rappresentazioni non rappresenterebbero per me alcunché e non potrei in alcun modo ritenerle come mie. L’appercezione trascendentale esprime dunque un principio analitico di unità sintetica47.