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La prima sotto-sezione: il problema trascendentale della libertà

«Soluzione delle idee cosmologiche della totalità della derivazione degli accadimenti del mondo [Weltbegebenheiten] dalle loro cause [Ursachen]» (A532/B560). È il titolo della prima sotto-sezione. Nel quadro introduttivo delle forme antinomiche, l’idea del mondo considerata sotto il profilo della categoria relazionale di causalità e dipendenza viene definita «compiutezza assoluta dell’origine [Entstehung] di un fenomeno in gene- rale» (A415/B443): «derivazione degli accadimenti del mondo dalle loro cause» e «ori- gine di un fenomeno in generale» si danno quindi per sinonimi. L’Analitica Trascen-

dentale ha mostrato che conoscere una relazione tra elementi di un molteplice spazio-

temporale significa impiegare funzioni del giudizio, contrassegnate da specifiche cate- gorie (inerenza e sussistenza, causalità e dipendenza, comunanza [cf. A76-83/B102-9]) e che il criterio di applicazione delle forme del giudizio al molteplice dato tramite la sensibilità è stabilito per mezzo di principi ovvero schemi (cf. A132-47/B171-87) - in questo caso, le analogie dell’esperienza (cf. A176-81/B218-24). Ad esempio, il biologo che sostiene: «la fotosintesi è avviata dalla luce solare» stabilisce una relazione oggetti- va fra i concetti empirici di «fotosintesi» e di «luce solare», secondo la quale non può darsi occorrenza della prima in mancanza della seconda. In altri termini, egli sussume i concetti empirici sotto una funzione relazionale del giudizio ovvero sotto la categoria della causalità e della dipendenza. Secondo Kant, possiamo conoscere il nascere e il pe- rire, l’inizio e la fine («origine di un fenomeno in generale») nella misura in cui (per la prima analogia dell’esperienza) li interpretiamo come il passaggio fra stati differenti di un medesimo sostrato («accadimenti»), la cui occorrenza (per la seconda analogia dell’esperienza) presuppone una relazione causale («derivazione dalle loro cause») (cf. A206-7/B251-2). Ad esempio, quando dico: «ha cominciato a piovere dal soffitto» in- tendo il passaggio da uno stato S1, in cui il soffitto è asciutto a uno stato S2, nel quale

gocce d’acqua iniziano a cadere. Non sarei in grado di formulare questo giudizio, se non presupponessi un processo ordinato da S1 a S2, ovvero regolato in base a un rapporto

terpretazione prima facie delle prime due analogie dell’esperienza, è possibile tradurre il concetto di «origine di un fenomeno in generale» come «derivazione degli eventi del mondo dalle loro cause». Mentre la derivazione degli accadimenti del mondo dalle loro cause è un’operazione intellettuale distributiva, la «totalità» o «compiutezza assoluta» costituisce un’idea complessiva della ragione che non può essere in alcun modo garanti- ta dall’esperienza.

Quante sono le «idee cosmologiche» della totalità della derivazione degli accadimen- ti del mondo? Benché il plurale – speculare a quello contenuto nel titolo della Nota che precede la presente sotto-sezione (cf. A528/B556)2 – potrebbe alludere alle due forme di incondizionatezza rappresentate nella tesi e nell’antitesi dell’antinomia (lo conferme- rebbe il titolo della terza sotto-sezione, ove la libertà viene menzionata come un’idea cosmologica a se stante) e la libertà possa a sua volta essere intesa in senso cosmologico o antropologico, quest’uso può essere giustificato solo in senso analogo: la totalità della derivazione degli accadimenti del mondo è una – così come l’«idea cosmologica della totalità della dipendenza dei fenomeni secondo la loro esistenza in generale» (A559/B587, [corsivo mio]). A ben vedere, quest’uso del singolare è a sua volta impro- prio: sebbene possa essere considerata sotto i profili quantitativo e qualitativo (dal punto di vista statico), della relazione causale e dell’esistenza necessaria (dal punto di vista dinamico), l’idea cosmologica descrive un unico prodotto della ragione. L’impiego in senso analogo del plurale corrisponde a quello del termine «antinomia»3.

«Rispetto a ciò che accade, si possono pensare [denken] solo due specie di causalità [Kausalität]» (A532/B560). I paragrafi dal primo al quarto costituiscono un’unità: in es- si si argomenta che la libertà pratica, nella misura in cui presuppone un’assoluta sponta- neità, è in relazione con la libertà cosmologica. Per quale ragione proprio e solo «due» specie di causalità? Il numero potrebbe far pensare al «dualismo» di matrice cartesiana: tra l’altro, è proprio all’interno della tradizione metafisica tedesca, a partire da Christian Wolff, che ci si inizia a riferire alla distinzione tra sostanze materiali e immateriali con il termine «dualismo»4. Si potrebbe inoltre pensare a una restrizione dei quattro signifi- cati inizialmente rintracciati da Aristotele per il termine «causa»5. È anche vero però che il discorso kantiano si colloca su un piano non empirico, ma trascendentale: esso aspira cioè a stabilire i modi in cui la realtà deve essere pensata, non a come la realtà debba essere (per la definizione di trascendentale cf. A11-2/B25)6. In questo senso, le «due specie» identificano per Kant due modi di concepire l’incondizionato

o come consistente semplicemente nell’intera serie, così che tutti i membri di essa, senza ec- cezione, sarebbero condizionati e solo l’intero della serie risulterebbe assolutamente incon- dizionato [...] oppure [...] solo una parte della serie, così che i membri rimanenti della serie

2 In questo caso, esso sarebbe tuttavia giustificato, riferendosi ai due modi di considerare l’idea co-

smologica in senso dinamico, ovvero sotto il profilo della relazione causale oppure sotto quello dell’esistenza necessaria, che generano rispettivamente la terza e la quarta antinomia della ragion pura.

3 Cf. H. HEIMSOETH, Transzendentale Dialektik, 334 nota 216. Sulla genesi del problema e del termi-

ne «antinomia» cf. inoltre N. HINSKE, La via kantiana alla filosofia trascendentale, 71-124.

4 Cf. CH. WOLFF, Psychologia rationalis, VI, 26. Menzionato da W. NIEKE, «Dualismus», 297. 5 «In effetti il perché ultimo riconduce, nelle cose immobili, al che cos’è […] o al motore primo […] o

all’in vista di che cosa? […] oppure, nelle cose che divengono, è la materia» Cf. ARISTOTELE, Fisica, II, 198 a 14-21. Cf. inoltre J.HÜBNER, «Ursache», 378.

sarebbero subordinati a questa parte, ma essa stessa non sarebbe subordinata a nessun’altra condizione (A417/B445).

Nel significato tecnico che Kant gli attribuisce, il verbo «pensare» si distingue infatti da «conoscere»: mentre quest’ultimo richiede l’intervento congiunto dell’intelletto e della sensibilità, in ultima analisi che qualcosa sia dato, il primo descrive un processo dialettico, tramite il quale la ragione incoraggia un impiego indeterminato delle catego- rie da parte dell’intelletto (cf. B146).

«Secondo [nach] la natura o in base [aus] alla libertà» (A532/B560). A partire dalla prima Critica, si differenziano due sensi del termine «natura»: nella prospettiva della ragione, esso definisce l’idea cosmologica sotto il profilo dinamico e si contrappone al «mondo», ovvero alla medesima idea considerata sotto il profilo statico (cf. A418- 9/B446-7); circoscrivendo il significato alla prospettiva dell’intelletto, la natura designa l’insieme dei fenomeni dell’esperienza (substantive o materialiter) e le leggi che li con- nettono (adiective o formaliter) (cf. A418-9/B446 nota)7. Nella presente sotto-sezione e nelle successive, il termine è da intendersi nel senso ristretto, come conferma il non raro affiancamento degli avverbi «semplicemente» [bloß], «appena» [lediglich] e «niente al- tro che» [nicht als]. Limitata la portata del concetto, si comprende la definizione risul- tante dalla prima versione della deduzione trascendentale delle categorie secondo la quale l’intelletto è esso stesso «legislazione [Gesetzgebung] per la natura» (A127; A125 e B160): piuttosto che alludere all’imposizione di leggi mentali sulla realtà, essa sottoli- nea che la conoscenza degli oggetti passa per i principi dell’intelletto, all’infuori dei quali, posta la premessa trascendentale, per noi non esisterebbe nulla di epistemicamen- te rilevante. La natura costituisce così una cornice trascendentale entro la quale si inse- riscono le leggi empiriche: nel paragrafo successivo, Kant adotta l’espressione tecnica «campo dell’esperienza» [Feld der Erfahrung] (A533/B561) per designare il dominio trascendentale dei fenomeni8. Fra i principi che descrivono questo sistema è quello della dipendenza tra causa ed effetto, sotteso alla seconda analogia dell’esperienza: come è stato ricordato, esso prescrive che in un evento naturale uno stato segua un altro sulla base di una regola universale. Sulla validità della causalità «secondo la natura» entro i limiti dell’esperienza tesi e antitesi dell’antinomia si trovano concordi. Ma poiché sog- getta alle condizioni di tempo, la stessa «causalità della causa di ciò che accade o sorge è sorta anch’essa [se infatti fosse sempre esistita, lo sarebbe anche il suo effetto] e ri- chiede a sua volta una causa» (A532/B561) e così via: non ammettendo alcuna eccezio- ne (come testimonia la presenza della parola «tutto» nella formula della seconda analo- gia dell’esperienza entro la prima [cf. A189] e la seconda edizione della Critica [cf. B232]), il principio della seconda analogia dell’esperienza (cui si allude nel paragrafo

7 Anche nei Primi principi metafisici della scienza della natura, Kant intende la natura in questo senso

e distingue tra un significato formale e uno materiale: «Wenn das Wort Natur blos in formaler Bedeutung genommen wird, da es das erste, innere Princip alles dessen bedeutet, was zum Dasein eines Dinges ge- hört […]. Sonst wird aber auch Natur in materieller Bedeutung genommen, […] als der Inbegriff aller Dinge, so fern sie Gegenstände unserer Sinne, mithin auch der Erfahrung sein können, […] verstanden wird». I. KANT, Metaphysische Anfangsgründe der Naturwissenschaft, KGS IV, 467.

8 Tale nozione si chiarisce nella (seconda) Introduzione alla Critica del giudizio, ove Kant assume per

la filosofia trascendentale il linguaggio della geografia politica, distinguendo tra «campo» [Feld], «territo- rio» [Boden], «dominio» [Gebiet] e «domicilio» [Aufenthalt]. In questo testo, Kant definisce il campo di un concetto come la circoscrizione determinata «nach dem Verhältnisse, das ihr Object zu unserem Er- kenntnißvermögen überhaupt hat». I. KANT, Kritik der Urteilskraft, KGS V, 174.

successivo [cf. A533/B561]) si apre a un principio regolativo della ragione che prescri- ve l’infinito regresso nella serie delle cause. Come emerge da quanto detto, la categoria di «causalità» [Kausalität] descrive non soltanto una generica relazione tra «causa» [Ursache] ed «effetto» [Wirkung] ma anche la specifica «facoltà» [Vermögen] causale di una causa.

Come richiesto dalla tesi dell’antinomia, Kant intende qui la libertà anzitutto «in sen- so cosmologico» (A533/B561; inoltre A444-7/B472-5): essa costituisce, come tale, quel compimento nella serie causale dei fenomeni, richiesto dalla ragione e tale che esso non possa mai darsi tramite la causalità naturale9. In altri termini, Kant tratta il problema della libertà in rapporto a quello di un assoluto inizio nella serie causale dei fenomeni, ovvero in rapporto al problema dell’inizio del mondo. Come accennato, le idee sono concetti della ragione la cui produzione implica l’impiego di una categoria nella sua forma pura, quale norma dell’unità sintetica di un’intuizione in generale, non circoscrit- ta al molteplice spazio-temporale. In questo caso, la libertà viene concepita a partire dal principio: «tutto ciò che accade, ha una causa», ove la ragione interpreta il «tutto» – cui la categoria della relazione causale si riferisce – come un incondizionato, più ampio di ogni insieme, quantunque esteso, dei fenomeni della natura. Poiché ogni esperienza è regolata da principi sintetici a priori cui la causalità libera per sua natura si sottrae, non è possibile sperimentare cognitivamente la libertà – essa costituisce di per sé una «pura idea trascendentale» (A533/B561; sulla cui genesi cf. anche A293-309/B349-366) – né attestare empiricamente il suo effetto, il quale «non può darsi in alcuna esperienza in modo determinato [bestimmt]» (A533/B561). In questo senso, la libertà identifica «la facoltà di cominciare spontaneamente uno stato, la cui causalità dunque non soggiace a sua volta – in conformità alle leggi di natura – a un’altra causa che l’abbia determinata nel tempo» (A533/B561), ovvero «una spontaneità che possa iniziare ad agire da sé» (A533/B561)10.

Alla luce di quanto detto, si può ridefinire il conflitto tra natura e libertà, come viene solitamente descritto quello che occorre nella terza antinomia della ragion pura. Come osservato, tanto la tesi quanto l’antitesi concordano sull’ineccepibilità del principio tra- scendentale causale entro i limiti dell’esperienza possibile. La contesa riguarda invece la possibilità di una «causalità mediante libertà» ovvero l’estensione della «causalità se- condo natura» oltre i limiti dell’esperienza, principi – si noti – ambedue trascendenti, più che trascendentali (cf. A296/B352-3). Tesi e antitesi portano così alla luce un’ambiguità intrinseca al principio di ragion sufficiente formulato da Leibniz: la prima lo interpreta come principio della spiegazione completa dei fenomeni e individua nella libertà l’unica possibilità per una spiegazione di questo tipo; la seconda lo interpreta come principio dell’estensione universale della relazione causale e prescrive di conse-

9 Sul significato prioritariamente cosmologico della terza antinomia della ragion pura nonché sul rap-

porto tra terza e quarta antinomia insiste H.HEIMSOETH, «Zum kosmotheologischen Ursprung der kanti- schen Freiheitsantinomie»; K. KAWAMURA, Spontaneität und Willkür, 158-9.

10 Nel concetto cosmologico emerge, così, non soltanto il significato positivo (spontaneità), ma anche

quello negativo della libertà (indifferenza del volere), tutt’altro che unanimemete riconosciuto nel conte- sto della filosofia classica tedesca. Quest’ultimo significato era stato individuato, quasi due secoli, prima dal gesuita spagnolo Luis de Molina, in questi termini: «positis omnibus requisitis ad agendum, potest a- gere e non agere, aut ita agere unum et contrarium etiam agere possit». L. DE MOLINA, Liberi arbitrii cum

guenza il regresso all’infinito nella serie dei fenomeni, escludendo ogni forma eteroge- nea di causalità11.

Anticipato da due termini appartenenti al campo semantico dell’agire («agire» [han-

deln] [A533/B561] e «azione» [Handlung] [A533/B561]), il concetto antropologico, or-

dinario di «libertà» fa il suo ingresso nel terzo paragrafo della sotto-sezione. Esso viene definito negativamente come «l’indipendenza dell’arbitrio dalla costrizione esercitata dagli impulsi della sensibilità» (A534/B562), mentre positivamente esso «presuppone che, sebbene qualcosa non sia accaduto, tuttavia sarebbe dovuto accadere» (A534/B562). Tanto il significato negativo, quanto quello positivo meritano un com- mento.

Mentre l’apprensione, l’immaginazione e l’appercezione (nella seconda versione del- la prima Critica, i sensi e l’intelletto) esercitano la conoscenza teoretica, l’arbitrio pre- siede all’agire pratico: come in ambito teoretico, anche in quello pratico si tratta di una facoltà mista – informata dalla sensibilità (facoltà inferiore, attribuita anche agli anima- li), ma anche dall’intelletto e dalla ragione (facoltà superiori, attribuite esclusivamente all’uomo). Consideriamo il concetto di un «arbitrio sensibile», ovvero «affetto [affi-

ziert]» (A534/B562) tramite «cause motrici [Bewegursachen] della sensibilità»

(A534/B562). L’attributo «patologico» (A534/B562) con il quale Kant descrive i mo- venti sensibili è da intendersi in una connotazione trascendentale, non dispregiativa12. Nel caso degli animali, le cause motrici costituiscono gli unici moventi all’azione, per- tanto tramite esse l’arbitrio viene anche «necessitato [nezessitiert]» (A534/B562): si tratta, cioè, di arbitrium brutum13. Nel caso dell’uomo, l’intervento delle facoltà supe- riori fa sì che l’affezione non sia di per sé una necessitazione: possediamo, cioè, un ar-

bitrium liberum. Il significato negativo della libertà pratica riposa sulla distinzione tra

«affezione» e «necessitazione».

Nel Libro Primo della Dialettica Trascendentale, Kant esprime un’approvazione nei confronti di Platone per aver capito che non si può «desumere le leggi su ciò che devo fare da quel che viene fatto» (A319/B376): la concezione platonica di una costituzione repubblicana costituisce per l’interpretazione kantiana «un’idea necessaria, che va posta a fondamento» (A316/B373) dell’esperienza, piuttosto che essere determinata a partire da questa. Il verbo sollen esprime due connotazioni fondamentali: la controfattualità e la normatività. La prima significa che esso assume significato non a partire da ciò che suc- cede, ma proprio rispetto a quanto non succede e sarebbe dovuto succedere: in questo senso, esso presuppone un’indipendenza dalle determinazioni naturali e soddisfa così il

11 Cf. H. E. ALLISON, Kant’s theory of freedom, 17.

12 Cf. H. HEIMSOETH, Transzendentale Dialektik, 339 nota 226. Nelle Riflessioni si trova: «Wäre es

durch die Sinnlichkeit bestimmt, so wäre nichts Böses oder Gutes, überhaupt nichts praktisches». I. KANT, Refl. 5611, KGS XVIII, 252:11-2. Diversamente che il concetto trascendentale della libertà,

quello pratico intrattiene un profondo legame con la riflessione sull’arbitrio sviluppata nella tradizione metafisica tedesca. Non a caso, il libro nel quale le Riflessioni in questione sono depositate è la Metafisica di Baumgarten: su questo cf. K. KAWAMURA, Spontaneität und Willkür, 163.

13 «Die tierische Willkür verfahrt nach sinnlich bestimmbaren Gesetzen. Die vermischte menschliche

Willkür (libertas hybrida) handelt auch nach Gesetzen, aber deren Gründe nicht in der Erscheinung gän- zlich vorkommen; daher bei denselben Erscheinungen derselbe Mensch anders handeln kann». I. KANT, Refl. 5618, KGS XVIII, 257:9-12. «Die Kausalität der Vernunft ist Freiheit. Die bestimmende Kausalität der Sinnlichkeit: Tierheit». ID., Refl. 5619, KGS XVIII, 258:22-23. Sulla capacità rappresentativa e voli-

requisito posto dal significato negativo della libertà in senso pratico. La seconda signifi- ca che esso non ha una funzione descrittiva, ma prescrittiva: impone, cioè, un comando ed esprime per questo un significato positivo, che corrisponde a quello della libertà in senso pratico. Se il verbo sollen implica la causalità libera come sua condizione neces- saria ed è dunque condizione sufficiente per attestarla, non vale l’inverso: essa potrebbe infatti essere espressa in altri modi – si pensi ad esempio al caso degli angeli o di Dio, dei quali si può dire che sono liberi ma non che rispondono al dovere. La distinzione tra müssen e sollen può aiutare a comprendere il tipo di necessitazione connessa al dovere, in quanto espressione della libertà pratica di un essere finito.

«È estremamente importante [merkwürdig] notare come su questa idea trascendenta- le della libertà si fondi il concetto pratico di essa» (A533/B561). Nell’osservazione alla tesi dell’antinomia, Kant ha descritto il concetto psicologico-pratico di libertà come in gran parte empirico (cf. A448/B476) e, di conseguenza, l’idea trascendentale come una modesta, seppure inalienabile parte (cf. A450/B478) di esso: precisamente, quella che esprime una assoluta spontaneità14. Nella concezione kantiana, la libertà «in senso prati- co» (A534/B562) consiste nell’agire in base al riconoscimento di un dovere, che pre- suppone un’indipendenza dell’arbitrio da necessitazioni patologiche. Per questa ragione essa presuppone l’idea di una assoluta spontaneità. La tesi viene corroborata dall’affermazione che «la soppressione della libertà trascendentale cancellerebbe al tempo stesso ogni libertà pratica» (A534/B562).

Come nella distinzione tra causalità secondo natura e causalità mediante libertà, an- che in questo caso l’argomentazione rimane in una dimensione trascendentale: essa si riferisce ai modi di pensare la realtà, piuttosto che alla realtà stessa. In questa prospetti- va, l’autore starebbe qui sostenendo che l’idea pratica della libertà sarebbe per noi in- comprensibile, se non presupponessimo quella di un assoluto inizio – ovvero l’idea del- la libertà in senso trascendentale. Non starebbe invece negando che la libertà, intesa in senso pratico, possa effettivamente darsi senza un assoluto inizio, ovvero di una libertà in senso trascendentale – quest’ultimo scenario, che nella prospettiva kantiana descrive una possibilità controfattuale, potrà essere escluso solo dopo una ricognizione dei fon- damenti razionali dell’agire dell’uomo. Questo chiarimento attenua il contrasto con quanto viene sostenuto nel Canone della ragion pura, cioè che «la domanda sulla liber- tà trascendentale riguarda soltanto il sapere speculativo, e quando si abbia a che fare con l’ambito pratico, la si può tralasciare come una questione del tutto indifferente» (A803- 4/B830-1)15. Alla luce di quanto detto, la differenza tra Dialettica e Canone non segne-

14 Kawamura chiarisce che, per distinguere il concetto trascendentale della libertà da quello psicologi-

co evocato, tramite il riferimento alla metafisica classica tedesca, dal termine «Willkür» e, tuttavia, rifiu- tandosi di assumere il concetto di «Selbsttätigkeit», per la troppo remota affinità con le questioni empiri- che, Kant fa uso dei neologismi «absolut» e «Spontaneität» per inaugurare la sua originale teoria della libertà. Cf. K. KAWAMURA, Spontaneität und Willkür, 169. Sulla rilevanza, per la filosofia critica e parti-

colarmente per l’etica, del concetto aristotelico di «spontaneità», mediato dalla ricezione di ispirazione leibniziana della scuola metafisica tedesca, insiste M. SGARBI, «Kant´s Concept of Spontaneity within the Tradition of Aristotelian Ethics».

15 Così anche nella Recensione a Schulz: «Der praktische Begriff der Freiheit hat in der That mit dem

speculativen, der den Metaphysikern gänzlich überlassen bleibt, gar nichts zu thun. Denn woher mir ur- sprünglich der Zustand, in welchem ich jetzt handeln soll, gekommen sei, kann mir ganz gleichgültig sein; ich frage nur, was ich nun zu thun habe, und da ist die Freiheit eine nothwendige praktische Voraus- setzung und eine Idee, unter der ich allein Gebote der Vernunft als gültig ansehen kann». Cf. I. KANT,

rebbe un cambio di idee bensì uno spostamento di interesse dall’ambito speculativo a quello pratico.

Le due parti possono essere definitivamente riconciliate se si tiene presente che «pra- tico» può essere inteso nella prima Critica in due sensi tra loro compatibili. In senso