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Spontaneità e indifferenza nella libertà trascendentale

CARATTERE E AZIONE

5. La libertà come scelta senza tempo, secondo Allen Wood

5.2. Spontaneità e indifferenza nella libertà trascendentale

Alla luce di quanto detto, l’interpretazione compatibilista di Wood vorrebbe riconci- liare la connessione causale naturale con la libertà, intesa quale spontaneità e indifferen- za. La spiegazione che segue mira a mostrare come sia possibile considerare le azioni della natura entro la connessione causale naturale e allo stesso tempo, sebbene sotto un altro punto di vista, come non necessitate e spontanee.

124 A. WOOD, «Kant’s compatibilism», 80. 125 A. WOOD, «Kant’s compatibilism», 80. 126 Cf. A. WOOD, «Kant’s compatibilism», 77. 127 A. WOOD, «Kant’s compatibilism», 83. 128 Cf. A. WOOD, «Kant’s compatibilism», 82.

Quanto al primo punto, Wood si riferisce ai luoghi testuali in cui Kant sembrerebbe esprimersi nel senso di un rapporto fondativo tra causalità empirica e intellegibile. Dall’interpretazione ontologica della differenza tra fenomeni e noumeni, discende l’interpretazione ontologica della relazione tra fenomeni e noumeni129. La spontaneità dell’azione sarebbe garantita dal fatto che, costituendo sotto questo punto di vista quella empirica una causa non sufficiente, l’azione si radicherebbe in cause intellegibili.

Alla luce di quanto detto, l’interpretazione della spontaneità corre un duplice rischio: da una parte quello di suggerire una svalutazione dei fenomeni, che sarebbero conside- rati mera apparenza; dall’altra quello di descrivere il mondo fenomenico come un’armonia prestabilita, rispetto alla quale l’intervento della volontà umana sarebbe su- perfluo. Pur riconoscendo l’apertura del testo kantiano a entrambe le possibilità, Wood osserva che entrambe le ipotesi costituirebbero «una stortura o una caricatura della teo- ria kantiana»130. Da una parte, le cause naturali sarebbero tutt’altro che fittizie: esse co- stituirebbero l’unica spiegazione possibile dell’azione, nella misura in cui questa sia compresa entro il mondo dei fenomeni. È solo sotto un’altra prospettiva, nella quale l’azione umana sarebbe pensata come effetto della libertà, che le cause naturali risulte- rebbero non sufficienti131. Evidentemente la medesima critica sarebbe molto meno rile- vante, se la distinzione tra fenomeni e noumeni fosse intesa come tra due punti di vista piuttosto che tra due mondi.

Per spiegare il rapporto tra la causalità empirica e quella intellegibile, quindi la spon- taneità di quest’ultima, Wood ricorre alla distinzione tra «causalità di eventi» e «causa- lità d’agente». Nel primo caso si tratterebbe, come recita il termine stesso, di una rela- zione tra eventi o, più in generale, tra stati del mondo. Spiegare una connessione causale, in questo senso, significherebbe rendere conto di questa relazione. Nel secondo caso, la causalità verrebbe considerata in quanto proprietà di una sostanza o, per essere più precisi, di un agente, per spiegare la quale occorrerebbe riferirsi alle facoltà di questi ultimi. In questo secondo caso, il riferimento all’agente costituirebbe una sorta di postu- lato per rendere conto di aspetti della causalità che altrimenti, qualora cioè la si interpre- tasse come semplice causalità di eventi, andrebbero inevitabilmente persi. Pur interpre- tando la natura in termini di causalità di eventi, Kant – secondo Wood – si riferirebbe alla libertà in termini di causalità d’agente132. In modo del tutto originale rispetto alle posizioni tradizionalmente assunte dal dibattito su questo tema, Wood sembra così in- tendere la «causalità di eventi» e la «causalità d’agente» non come due forme, mutua- mente esclusive, di accadimenti, bensì come due modi di considerare il medesimo acca- dimento133. Posta questa premessa, la ricostruzione che egli fa della teoria kantiana della libertà in quanto «causalità d’agente» è tale da sottrarre ogni spazio alla lettura della

129 «Phenomenal causality is grounded in noumenal causality». A. WOOD, «Kant’s compatibilism»,

86. «Empirical causality [...] is an effect of intelligible causality». Ibidem. «Empirical causality [...] does not involve the sensuous necessitation of actions, as it appears to do when we ignore its intelligible ground». Ibidem.

130 A. WOOD, «Kant’s compatibilism», 87. 131 Cf. A. WOOD, «Kant’s compatibilism», 87-8.

132 Cf. A. WOOD, «Kant’s compatibilism», 88. Per un approfondimento sul concetto della «causalità

d’agente» cf. M.DE CARO, Il libero arbitrio, 49-55.

133 In questo senso, la proposta di Wood sarà ripresa e applicata, nelle conclusioni di questo capitolo,

medesima azione secondo la «causalità di eventi» e, più in generale, come fenomeno ol- tre che come noumeno.

Condizione necessaria per la declinazione positiva della libertà trascendentale come spontaneità è quella negativa della libertà come indifferenza, che consiste nel presup- porre la possibilità di fare altrimenti: secondo Wood, la libertà come indifferenza sareb- be garantita dall’atemporalità dell’azione intellegibile. Attingendo alla ricezione scho- penhaueriana del concetto di «carattere intellegibile»134, Wood si appropria del concetto di «azione atemporale» come centrale nella propria ricostruzione del compatibilismo kantiano. Secondo Wood «una particolare scelta atemporale del mio carattere intellegi- bile segna il mondo naturale selezionando una certa sottoclasse di mondi possibili, pre- cisamente quelli che includono una certa storia del mio carattere empirico e facendo in modo che il mondo effettivo sia derivato da quella sottoclasse di possibilità»135. A meno di questa opzione fondamentale, il corso del mondo si definirebbe esclusivamente in termini di connessione causale naturale, la cui estensione oltrepasserebbe di gran lunga l’esistenza delle singole persone nel passato e nel futuro136. Nel mondo noumenico tut- tavia questa opzione fondamentale consisterebbe nella deliberazione assoluta tra un in- finito numero di possibilità, a ciascuna delle quali corrisponderebbe una specifica per- sonalità e una storia morale determinata da realizzare137. In altri termini, l’indifferenza dell’azione in senso trascendentale sarebbe garantita dal concetto di una scelta suprema, non condizionata da altro e, in questo senso, «fuori dal tempo»: Wood sembra ignorare la distinzione tra inizio assoluto in senso logico e in senso temporale (A450/B478). La tesi per cui l’atemporalità della scelta garantisce la possibilità di fare altrimenti rivela per opposizione una concezione deterministica del tempo, che in Kant potrebbe essere giustificata almeno in senso trascendentale, cioè non empirico. Rimane la questione se Kant abbia effettivamente voluto intendere l’atemporalità dell’azione in senso positivo e se in ultima analisi fosse nelle sue intenzioni quella di garantire la libertà come indiffe- renza, posta la distinzione trascendentale tra essere e dover essere.

Come è prevedibile, il concetto di «atemporalità dell’azione» solleva una serie di problematiche legate alla concezione positiva di una realtà intellegibile. Una prima que- stione riguarda l’imputazione dell’azione. Nella misura in cui il carattere empirico rien- tra da una parte nella connessione universale dei fenomeni, le mie azioni sortirebbero effetti ben più remoti di quelli che posso effettivamente sperimentare. Poiché esso d’altra parte si fonderebbe sulla scelta senza tempo del carattere intellegibile, dovrei considerarmi responsabile per l’intera storia del mondo. Si noti in primo luogo che que- sto problema è soltanto accentuato dal concetto di una scelta atemporale, ma si solleve- rebbe comunque anche nel caso di singoli atti di libertà nel mondo sensibile, nella misu- ra in cui non sono in grado di riconoscere con certezza fin dove si estendano gli effetti della libertà: una sua soluzione definitiva potrebbe pertanto consistere soltanto nel po- stulare l’assenza di ogni libertà e con essa negare a priori ogni tipo di imputazione. La risposta di Wood si orienta nel senso di considerare il soggetto responsabile di tutte e sole quelle azioni che saremmo disposti a ricondurre al suo carattere empirico, che cioè sembrerebbero accadere per il fatto che egli abbia precisamente quel carattere empirico

134 Cf. A. SCHOPENHAUER, Il mondo come volontà e rappresentazione, 383-406. 135 A. WOOD, «Kant’s compatibilism», 91.

136 Cf. A. WOOD, «Kant’s compatibilism», 90. 137 A. WOOD, «Kant’s compatibilism», 91.

e non un altro. Il carattere intellegibile costituirebbe il fondamento supremo di questa attribuzione138. Il carattere intellegibile sarebbe in questo modo garantito nella sua for- ma personale, unica e irripetibile: Wood sembrerebbe qui ignorare la definizione kan- tiana del carattere intellegibile come «concetto universale» (A541/B569). Alla luce di quanto detto, il concetto di una scelta o azione senza tempo consente di rendere conto della influenza sul corso delle cose da parte della causalità della ragione. Ciò avverreb- be soltanto per il tramite del carattere empirico, le cui connessioni potrebbero effettiva- mente raggiungere eventi che non immagineremmo. Wood sembrerebbe alludere al noto problema dell’eterogenesi dei fini.

Una seconda questione riguarda l’eventualità di un’accusa di fatalismo. Sembrereb- be, infatti, che, una volta operata questa opzione fondamentale suprema, se potessimo conoscere con certezza tutti i suoi effetti nel carattere empirico, e sapessimo che una de- terminata azione cattiva ne deriverebbe infallibilmente, pure non saremmo in alcun mo- do capaci di evitarla. In altri termini, tanto il carattere empirico, quanto l’atto futuro,

sembrerebbero «predestinati»139, per me. Per rispondere a questa obbiezione, Wood as-

sume il punto di vista del carattere intellegibile: in questa prospettiva, le singole manife- stazioni del carattere empirico – e così anche i singoli atti che ne derivano – sono tutte allineate fra loro, come simultanee. Nella medesima prospettiva, quindi, non esisterebbe alcun prima e alcun dopo. Perciò, non avrebbe senso di parlare di «pre-destinazione». Al contrario, assumendo il punto di vista del carattere empirico, le sue molteplici mani- festazioni avrebbero senz’altro una durata e una collocazione temporale, così come i singoli atti che ne derivano: in questa prospettiva, sarebbe possibile parlare di predesti- nazione, se solo si potesse conoscere con certezza un evento in anticipo. Ma questo non può accadere. In altri termini, il fatalismo richiede che due condizioni si diano insieme, le quali riposano su presupposti tra loro contraddittori140. Di conseguenza, postulare un carattere intellegibile non comporterebbe nessun fatalismo, il quale richiederebbe la possibilità di percepire un’azione come futura e insieme come determinata. Ad ogni modo, se Wood si sente in dovere di affrontare il problema del fatalismo è perché egli concepisce l’atemporalità del carattere intellegibile nella forma di una «scelta» atempo-

138 A. WOOD, «Kant’s compatibilism», 92. 139 A. WOOD, «Kant’s compatibilism», 94.

140 Per difendere questo ragionamento, Wood fa un esplicito riferimento alla dottrina boeziana dei fu-

turi contingenti. Cf. A. WOOD, «Kant’s compatibilism», 96. In quel caso, Boezio sostiene che la prescien- za divina non altera lo statuto ontologico – e con esso la determinazione modale – di un evento. Ciò che l’uomo vede in ordine temporale, per la limitatezza dei suoi sensi, Dio lo vede simultaneamente, per la capacità del suo intelletto. Di conseguenza: ciò che è contingente, Dio lo vede come contingente; ciò che è necessario, Dio lo vede come necessario, senza fare alcuna differenza sia che l’evento si trovi nel passa- to, sia nel futuro, sia nel presente. Ciò che Dio pre-vede, invece, accade necessariamente: non, però, per il fatto che Dio lo preveda. Al contrario, la necessità è nell’oggetto, mentre Dio ha soltanto la capacità infal- libile di coglierla. Cf. S. BOETHIUS, La consolazione della filosofia, 358-89. Cf. inoltre P. PAGANI, Nota

sui «futuri contingenti» in Boezio e Tommaso. In Wood, la distinzione tra punto di vista dell’uomo e pun- to di vista di Dio si trasferisce entro l’essere umano, tra la prospettiva dell’uomo in quanto dotato di carat- tere empirico e la prospettiva dell’uomo in quanto dotato di carattere intellegibile. Ora, il fatto che Dio conosca infallibilmente le azioni dell’uomo, poiché queste gli compaiono come tutte simultanee, non to- glie che esse siano contingenti, ovvero che l’uomo sia libero nel compierle. Allo stesso modo, il fatto che – se potesse assumere il punto di vista del carattere intellegibile – l’uomo potrebbe prevedere infallibil- mente ogni manifestazione del carattere empirico e ogni singolo atto che ne deriva, non toglie che questi atti siano contingenti e che l’uomo sia libero nel compierli.

rale, che di per sé è, però, un ossimoro, poiché ha senso parlare di una scelta solo nel tempo. È un problema, d’altra parte, in cui si incorre tutte le volte che si vuole tradurre la libertà, che in sé non costituisce un concetto del tutto immanente, in termini esclusi- vamente empirici. Alla luce di quanto detto, potremmo concepire il carattere intellegibi- le come un asintoto, cui le molteplici manifestazioni del carattere empirico si avvicina-

no progressivamente, ma mai definitivamente141. Dovremmo invece rinunciare a

ricondurre una «azione senza tempo» al concetto di un inizio assoluto del tempo142. Una terza questione riguarda la concezione del carattere morale secondo il senso co- mune. Wood ammette che il concetto di «scelta atemporale», come quello di «eternità atemporale»143, contraddirebbe quelli di «sforzo» e «tentativo» che siamo soliti conside- rare in una dimensione morale a misura d’uomo. Presupponendo che ogni azione sia ef- fetto immediato del carattere intellegibile, verrebbe meno ogni gradualità nella realizza- zione dell’azione: i tentativi e gli sforzi sarebbero mera apparenza. D’altra parte, a meno di un riferimento alla personalità intellegibile dell’agente essi costituirebbero dei meri processi naturali e mancherebbe di conseguenza al ragione di considerarli tali a livello fenomenico144. Con essi, verrebbe meno la funzione dei premi e dei demeriti e dell’educazione in generale.