L’INDEDUCIBILITÀ DEI COSTI DA REATO
3.2 Rilevanza dei costi illeciti nel reddito
3.3.4 Applicazione ad altre imposte e altre considerazioni
Vi è un’ultima serie di questioni sulle quali è necessario soffermarsi. La prima è quella relativa alle diverse imposte che sono interessate dal comma 4 bis dell’art. 14 della L. 537/1993. Visto il riferimento esplicito all’art. 6 del TUIR appare evidente che la disposizione si possa applicare sia nel caso dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) quanto sul reddito delle società (IRES), ma tale ipotesi non risulta condivisa da tutti gli studiosi.201 Si ritiene però che le obiezioni fornite da questi non siano decisive a
favore dell’esclusione della pertinenza del comma 4 bis dall’IRES. Infatti deve essere considerato che anche le persone giuridiche possono essere destinatarie di sanzioni penali, ma tale assioma è stato di recente messo in discussione per via della sempre maggiore rilevanza che assumono le attività criminali collettive. Inoltre andrà ricordato che già a partire dagli anni Settanta il principio per il quale gli enti collettivi venivano esclusi dalla responsabilità penale è stato sottoposto a critica serrata.202
L’argomentazione principale a sostegno dell’impunibilità delle società poggia sul comma 1 dell’art. 27 della Costituzione, ovvero il divieto di responsabilità penale per fatto altrui, dal quale articolo discendono due presupposti: l’impossibilità di punire la società per un atto commesso dal suo amministratore e l’impossibilità di sanzionare la società onde evitare che ne paghino le conseguenze anche i soci di minoranza che potrebbero essere rimasti esclusi dalle decisioni oggetto della sanzione. Inoltre è necessario ricordare che non si può determinare una volontà fraudolenta alla società e che per il principio di nulla
201 Anche dalla Circolare 42/E del 2005 sembra di poter derivare che la norma si applichi all’IRES, laddove recita: “nel caso di società, enti o associazioni, ovviamente, occorre fare riferimento alla denuncia di reato a carico degli amministratori o dei legali rappresentanti”. Hanno una posizione contraria all’estensione del campo di applicabilità della norma contenuta nel comma 4 bis all’IRES tanto F. TESAURO, Indeducibilità dei
costi illeciti: profili critici di una norma di assai dubbia costituzionalità, Corriere tributario, 6, 2012, p. 427,
quanto F. TUNDO, Indeducibilità dei costi da reato: i difficili rapporti tra processo penale e tributario, Corriere tributario, 22, 2012, p. 1682 che sostiene tale posizione contraria anche avvalendosi della novella del 2012. In particolare la posizione di Tesauro è assai ben costruita. L’autore, da un lato ricorda che possono essere oggetto di azione penale solo le persone fisiche, in omaggio al brocardo latino del Societas
delinquere non potest, dall’altro segnala come il comma 4 bis è stato introdotto dall’art. 2 della Legge 27
dicembre 2002, n. 289, che recita: “Riduzione dell’imposta sul reddito delle persone fisiche”.
202 Cfr. F. BRICOLA, Il costo del principio “societas delinquere non potest” nell’attuale dimensione del fenomeno
poena sine culpa la società deve essere considerata indenne dalla volontà di compiere un
illecito. È necessario fare alcune precisazioni che consentono di comprendere in modo più puntuale la funzione della società anche nella commissione di reati. Un primo assunto che si può fare è quello che vede nell’atto dell’amministratore un atto della società, in modo particolare per quello che riguarda le piccole e medie società nelle quali il controllo dell’assemblea societaria è molto stringente e spesso l’amministratore è semplicemente un esecutore della volontà di quest’ultima. Anche per quello che concerne la responsabilità dei soci di minoranza andrà detto subito che molti sono gli strumenti da questi utilizzabili per porre rimedio ad azioni da parte della governance, per cui anche questa obiezione viene per lo meno ridimensionata. Inoltre ulteriori censure alla teoria personalistica fin qui preponderante sono intervenuti con l’aggiornamento del sistema penale, in particolare con riferimento ai reati ambientali o economici che, in virtù dei limiti edittali piuttosto elevati, chiamano in campo la responsabilità degli enti collettivi. Vi sono poi tutta una serie di sanzioni che intendono in modo esplicito fare riferimento alla società e non ai suoi vertici; si tratta di chiusura dello stabilimento, revoca di licenze, sospensione delle licenze.203 È solo con
l’emanazione del D. Lgs. n. 231 del 8 giugno 2001 che viene affermata in modo più netto la responsabilità penale degli enti collettivi. Certamente questa operazione si svolge sotto l’egida internazionale: le organizzazioni transnazionali infatti sono sempre più attente a sanzionare i comportamenti illeciti societari che spesso si svolgono al di fuori dei confini dello stato in cui la società ha la propria sede legale.204 In realtà l’unica filiera
che può essere costruita è quella tra il D. Lgs. 231/2001 e la Convenzione OCSE contro la corruzione, ratificata con L. n. 300 del 29 settembre 2000. Con il Decreto legislativo si applica per la prima volta in Italia un sistema punitivo per le persone giuridiche che, a partire dalla commissione di reati amministrativi, inscrive nell’ambito della responsabilità penale le sanzioni verso gli enti collettivi.205
203 Cfr. C. PIERGALLINI, Societas delinquere et puniri non potest: la fine tardiva di un dogma, Rivista trimestrale di diritto penale economico, 2002, p. 571.
204 Su questo punto, con un’attenta ricostruzione degli accordi stipulati dall’Italia, si veda C. E. PALIERO, Il
d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231: da ora in poi, societas delinquere (et puniri) potest, Corriere giuridico, 7, 2001,
p. 845.
205 Si veda a questo proposito la sentenza n. 3615 del 30 gennaio 2006 della seconda sezione della Cassazione penale che così scrive: “È noto che il D. Lgs. n. 231 del 2001, sanzionando la persona giuridica in via autonoma e diretta con le forme del processo penale si differenzia dalle preesistenti sanzioni
Inoltre deve essere considerato che la disposizione sull’indeducibilità dei costi ha una valenza sanzionatoria, pur senza poter essere ricompresa in questa categoria tout court, ma appartenendo alle disposizioni che regolano la determinazione della base imponibile d’imposta. Ritenere che la norma si applichi solo alle persone fisiche condurrebbe alla condizione di dover ammettere una disparità di trattamento tra queste e quelle giuridiche. Più sottile l’ultimo rilievo del Tesauro, laddove questi sottolinea che il comma 4 bis è rubricato sotto l’indicazione dell’imposta sul reddito. Pur tuttavia, al di là della considerazione per cui rubrica legis non est lex, andrà rilevato che la lettera della rubrica contrasta con l’interpretazione della norma, tanto più che conducendo il discorso dell’autore alle sue estreme conseguenze, ne risulterebbe un comma completamente svuotato di senso. Per comprendere la questione è necessario servirci del solito esempio del pagamento di una tangente da parte dell’amministratore delegato della società. Per l’amministratore l’indeducibilità del costo non ha alcuna conseguenza, infatti il suo reddito è assimilabile al reddito da lavoro dipendente e pertanto tassato al lordo dei costi. Per la società non ci sono conseguenze apprezzabili: dal momento che non è questa a commettere il reato, mentre ottiene i benefici connessi all’ottenimento dell’appalto. Infine il prezzo della tangente potrebbe venire restituito all’amministratore sotto forma di bonus per l’aumento (effettivo) dei ricavi, e sarebbe deducibile ai fini IRES. Anche per quello che riguarda l’IRAP non c’è condivisione interpretativa, tanto più che non si può non ricordare che l’art. 11 bis del D. Lgs. n. 446/1997 prevede che vengano assunti i componenti per il calcolo del valore della produzione “apportando le
irrogabili agli enti, così da sancire la morte del dogma “societas delinquere non potest”. E ciò perché, ad onta del “nomen iuris”, la nuova responsabilità, nominalmente amministrativa, dissimula la sua natura sostanzialmente penale; forse sottaciuta per non aprire delicati conflitti con i dogmi personalistici dell’imputazione criminale, di rango costituzionale (art. 27 Cost.); interpretabili in accezione riduttiva, come divieto di responsabilità per fatto altrui, o in una più variegata, come divieto di responsabilità per fatto incolpevole”. Anche la Convenzione penale sulla corruzione, adottata a Strasburgo in data 27 gennaio 1999 e ratificata con L. n. 110 del 28 giugno 2012 prevede, all’art. 18 che gli Stati si impegnino per “assicurare che le persone giuridiche possano essere ritenute responsabili dei reati di corruzione attiva, di malversazione e di riciclaggio di capitali” sia qualora a compiere i reati siano i vertici societari, sia quando a compierli siano soggetti non apicali, ma che sfruttino omissione di sorveglianza e di controllo da parte dei vertici. Sulla questione vedi P. CORSO, La Convenzione penale sulla corruzione e i “reati in materia di
variazioni in aumento o in diminuzione previste ai fini delle imposte sui redditi”.206
Perciò la variazione in aumento che provenga dall’indeducibilità di un costo riconducibile a un reato, avrebbe un’immediata ripercussione anche sull’imposta regionale sulle attività produttive.207
Vi sono, poi, due ultime questioni da analizzare; la prima è quella correlata al tema delle categorie reddituali interessate dall’indeducibilità dei costi. Come si è accennato all’inizio del presente capitolo, l’indeducibilità dei costi interessa solo le tipologie per le quali il legislatore ha previsto che la base imponibile sia data dalla differenza tra i componenti positivi e quelli negativi. Si deve considerare che l’indeterminatezza del comma 4 bis, che fa riferimento ai redditi di cui all’art. 6, comma 1 del TUIR, non ha alcuna rilevanza o significato: semplicemente il legislatore ritiene che la determinazione sia sufficientemente chiara per via della determinazione dei redditi secondo il testo unico. L’altra questione è un po’ più rilevante e discende dalla parte terminale del comma 4 bis, laddove è indicato che una delle cause di esenzione per l’indeducibilità è “l’esercizio di diritti costituzionalmente riconosciuti”. Andrà innanzi tutto affermato con forza che non esistono costi illeciti sostenuti per l’esercizio di diritti costituzionali. In realtà, al fine di prevenire eventuali conflitti tra la norma in esame e l’art. 24 della Costituzione, che sancisce il diritto di difesa, il legislatore ha inserito quella pericope con la finalità di consentire all’imputato di detrarre i costi per l’assistenza legale nel corso del processo penale che segue il rilievo del reato. Anche questa interpretazione non appare pacificamente condivisa: a taluni è parso strano che il legislatore si prendesse la briga di sottolineare un principio costituzionale e non abbia invece tentato in alcun modo di rispondere alle tante incongruenze della norma stessa; altri hanno rilevato come appaia incongruente una norma che nega in modo assoluto la deducibilità dei costi correlati al reato e che ammette senza battere ciglio quelli sostenuti per la difesa dall’accusa del medesimo reato, tanto più che le spese legali, più che costituirsi come costo da reato, appaiono un possibile utilizzo dei proventi da reato.208 Pur tuttavia, se
206 Cfr. R. SCHIAVOLIN, L’imposta regionale sulle attività produttive, in G. FALSITTA, Manuale di diritto
tributario – parte speciale, VI ed., Padova, 2008.
207 L’applicabilità della disposizione in oggetto ai fini IRAP è stata definitivamente chiarita dal legislatore nella novella normativa del 2012, per cui vedi infra.
208 Cfr. A. MARCHESELLI, Indeducibilità dei costi illeciti: una norma incostituzionale dagli esiti paradossali, Rivista di giurisprudenza tributaria, 7, 2009, p. 641.
consideriamo il principio di inerenza, abbiamo due possibili esiti per la questione: se riteniamo inerenti i soli costi da reato strettamente legati ai ricavi prodotti, si potrebbe ritenere che tali costi non siano inerenti; se però spostiamo l’inerenza dal prodotto all’attività in generale dobbiamo ritenere che le spese legali siano deducibili anche in assenza della pericope del comma 4 bis.
3.4 La modifica del comma 4 bis attraverso l’intervento del legislatore con l’art. 8