L’INDEDUCIBILITÀ DEI COSTI DA REATO
3.4 La modifica del comma 4 bis attraverso l’intervento del legislatore con l’art 8 del Decreto legge n 16 del 2 marzo 2012 convertito con la Legge n 44 del 26
3.4.2 L’applicazione della L n 44/2012: i delitti non colposi
Un’altra delle novità sostanziali dell’introduzione della norma del 2012 è rappresentata dalla determinazione dei reati, o meglio delle ipotesi di reato, che impongono la mancata deducibilità dei costi. La norma del 1993 prevedeva un generico riferimento a “fatti, atti o attività qualificabili come reato”. Si è già detto che tale indicazione sia per la sua genericità, sia per la difficoltà di indicazione puntuale, aveva determinato molti dubbi e perplessità, per cui sotto questo fronte la maggiore perspicuità della novella normativa appare significativa. La nuova norma, se produce una discriminazione tra i reati, ha l’indubbio effetto – questa è anche la ragione del provvedimento – di eliminare dal novero dei reati per i quali è prevista l’indeducibilità dei costi quelli a minore impatto sociale, che destano meno allarme e che rientrano tra le contravvenzioni e i delitti colposi. L’espunzione dalla serie di reati delle contravvenzioni appare significativa per due motivi: la prima considerazione è che l’applicabilità della norma subisce in forza di ciò un’importante limitazione, la seconda è che nell’ambito di un’attività lecita può accadere soventemente e senza che vi sia una ragione delittuosa che venga commesso un reato di questo tipo. La relazione di accompagnamento al Decreto Legge calca in modo molto decisivo la mano sull’esclusione dei delitti colposi, infatti scrive che l’indeducibilità non trova applicazione “in ragione della non intenzionalità della condotta e quindi del difetto di finalizzazione dei costi eventualmente sostenuti al compimento del delitto”.218
218 Questa volontà del legislatore è stata poi confermata dalla Circolare n. 32 del 2012 con la quale l’Amministrazione Finanziaria, per chiarire meglio la portata dell’innovazione, porta l’esempio del costo derivante dall’acquisto di merce di provenienza illecita. Tale costo risulterà indeducibile, se il PM avrà avviato l’azione penale per delitto di ricettazione secondo l’art. 648 c. p., se, viceversa, il PM dovesse
Il legislatore è intervenuto anche su di un altro aspetto che aveva interessato, con critiche e dubbi, la norma del 1993, ovvero quella relativa alla considerazione dell’evento al manifestarsi del quale si realizza l’indeducibilità del costo. L’evento quindi viene sottratto tanto all’arbitraria decisione del funzionario dell’Agenzia delle Entrate, quanto viene slegato alla trasmissione della notizia di reato da parte del PM, ma viene vincolato all’esercizio dell’azione penale o all’emanazione del decreto del giudice che dispone il giudizio.219
ritenere di procedere con la contestazione del reato di acquisto di cose di sospetta provenienza, in conformità all’art. 712 c.p., non potrebbe essere rilevata alcuna contestazione in merito alla deducibilità del costo. Traggo queste indicazioni da A. BORGOGLIO, Circolare n. 32/E del 3 agosto 2012. I chiarimenti del
Fisco sulla nuova disciplina dei costi da reato, il Fisco, 33, 2012, pp. 5393 – 5399. La circolare di cui si dà
conto qui non è esente dall’aver suscitato non poche perplessità soprattutto in ordine all’indicazione per la quale non solo sarebbero indeducibili i costi relativi a beni e servizi direttamente utilizzati per la commissione del reato, ma anche la “quota dei componenti negativi afferenti all’ordinaria attività di impresa che abbiano avuto un rapporto di strumentalità con la commissione del reato, seppur sostenuti non esclusivamente per il compimento dello stesso”. Risulterebbero pertanto indeducibili anche i costi e le spese che, secondo un criterio di imputazione proporzionale, l’Amministrazione finanziaria deciderà possano essere considerati quota parte dell’illecito provento ottenuto. Così, a titolo d’esempio, una banca che abbia svolto una funzione di intermediazione illecita impiegando una parte del suo personale dovrebbe non dedurre una parte dei costi del suo personale proprio perché impegnato in questa attività. 219 Appare opportuno al fine di comprendere meglio come la novella normativa abbia avuto un impatto notevole sulla questione, dare qualche informazione circa le differenze tra il recepimento della notizia di reato e l’esercizio dell’azione penale. L’iscrizione della notizia di reato avviene, a norma del diritto processuale penale, attraverso la trascrizione del reato stesso sull’apposito registro custodito a tale fine nell’ufficio del pubblico ministero (art. 355 c.p.p.) e questo determina l’avvio delle indagini preliminari. In qualunque caso il codice di procedura penale non dà alcuna definizione o indicazione circa la “notizia di reato” che può essere definita come “una qualunque rappresentazione non manifestamente inverosimile di uno specifico accadimento storico, attribuito o meno a soggetti determinati, dalla quale emerga la possibile violazione di una disposizione incriminatrice penale” (cfr. F. CAPRIOLI, Indagini preliminari e
udienza preliminare, in G. CONSO, V. GREVI, Compendio di procedura penale, V ed., Padova, 2010). La competenza della ricerca di notizie di reato è della polizia giudiziaria e del pubblico ministero. Oltre alle notizie di reato ricavate dall’attività inquirente, altre notizie di reato possono pervenire da chiunque le voglia presentare al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria. Non appena si conclude la fase delle indagini preliminari, è data al PM la facoltà di esercitare l’azione penale o di chiedere l’archiviazione. L’esercizio dell’azione penale si sostanzia in un esame prognostico che riguarda la possibilità, in dibattimento, di ottenere la condanna della persona sottoposta alle indagini. Con questa azione il soggetto iscritto nel registro delle indagini preliminare, diventa imputato. Se decide per l’archiviazione, invece, il
Appare ora necessario soffermarsi sul prosieguo della norma:220 la stesura del nuovo
comma 4 bis, infatti, prevede due ipotesi che possono determinare l’indeducibilità del costo sostenuto, che si sostanziano in due atti che il giudice penale emana al termine dell’udienza preliminare. Proprio la temporalità dell’azione desta qualche perplessità: essendo il provvedimento successivo all’esercizio dell’azione penale, infatti, ne deriva che la previsione di questi due atti sembri superflua. Anche il fatto che l’inciso qui esaminato non fosse presente nel Decreto Legge n. 16 del 2 marzo 2012, ma compaia solo nel testo di conversione, spinge a propendere per il suo essere al più pleonastico. Tutto sopra considerato a meno di non ritenere questo inciso il frutto di un errore materiale del legislatore che in luogo della preposizione disgiuntiva avrebbe dovuto porre quella congiuntiva. Se così fosse, ci si troverebbe innanzi a un’ulteriore riduzione del campo di applicazione della norma, per cui l’indeducibilità dei costi troverebbe applicazione solo allorquando il giudice ne decretasse la rilevanza penale. Tale lettura consentirebbe anche di comporre il conflitto con l’art. 24 della Costituzione: il diritto alla difesa verrebbe tutelato e garantito, in quanto verrebbe assicurato dalla partecipazione di un giudice terzo e imparziale, quale per l’appunto il GUP; non appare infatti in alcun modo sostenibile l’idea che l’indeducibilità di un costo possa essere stabilita solo dopo una sentenza di condanna definitiva in sede penale, per via dei tempi molto dilatati della giustizia penale.
Alcuni studiosi hanno rilevato che la disposizione contenuta all’art. 8 della L. 44/2012, pur rappresentando un notevole passo avanti nella questione, mantiene delle ambiguità in particolare nel mancato chiarimento del rapporto tra l’azione penale e il momento in cui il giudice emette il decreto che dispone il giudizio finalizzato alla determinazione sull’indeducibilità dei costi.221 La conclusione possibile in merito a questa questione è
PM trasmette gli atti al GIP che deciderà se accogliere la richiesta di archiviazione e quindi chiudere il procedimento. L’esercizio dell’azione penale consente quindi il passaggio dalla fase procedimentale a quella processuale vera e propria: l’esercizio dell’azione penale, quindi, è un atto logicamente e cronologicamente conseguente il recepimento della notizia di reato.
220 Si tratta della parte dell’articolo che si riporta per maggior comodità: “[…] o comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’articolo 424 del codice di procedura penale ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall’articolo 157 del codice penale”.
221 Cfr. MANZITTI, M. FANNI, L’indeducibilità dei “costi da reato”: quando la soluzione genera (potenziali) nuovi
quella per cui l’Amministrazione finanziaria contesta la deducibilità di un costo solo dopo che è stato emanato il decreto di rinvio a giudizio nei casi in cui è prevista un’udienza preliminare o è stata esercitata l’azione penale per i riti alternativi per i quali non è prevista l’udienza preliminare.
Nelle circostanze in cui trova applicazione il rito ordinario,222 la riforma tutela in modo
molto più puntuale l’imputato, in quanto la decisione in merito all’indeducibilità dipende dal vaglio sia del PM che del GUP.223 Inoltre andrà considerato che l’avvio dell’azione
penale consente la determinazione del momento a partire dal quale l’Amministrazione finanziaria può contestare la deducibilità di un componente negativo del reddito, non essendo possibile all’Ufficio muovere alcuna contestazione, prima di tale termine. Diretta conseguenza di quanto affermato sopra è che continua a risultare leso il diritto di difesa dell’imputato che deve subire le conseguenze negative previste dalla disposizione, ovvero l’indeducibilità dei costi, nel periodo nel quale l’attività è solamente qualificabile come reato, non essendoci ancora una sentenza atta ad aver determinato la quantificazione del reato.
Un ultimo punto sul quale è necessario soffermarsi, contenuto nella parte terminale dell’art. 8 della Legge n. 44/2012 è quello che si occupa di recepire quanto contenuto già
222 Il Codice di procedura penale prevede anche riti alternativi che sono contenuti in particolar modo nel Libro VI del codice. Si tratta di riti di giustizia consensuale, quali il giudizio abbreviato, l’applicazione di pena su richiesta delle parti, il procedimento di oblazione e il giudizio immediato su richiesta dell’imputato; di giustizia conflittuale, quali il giudizio direttissimo, il giudizio immediato chiesto dal PM, la contestazione del reato concorrente o del reato continuato; di giustizia mista, quali il procedimento per decreto, il giudizio direttissimo esperibile su consenso delle parti e la contestazione supplettiva del fatto nuovo.
223 Pur tuttavia queste circostanze si scontrano contro alcuni fatti: la disposizione, infatti, sancisce l’indeducibilità dei costi da reato anche nella circostanza nella quale l’udienza preliminare si concluda con una sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione del reato. In questo caso è evidente che l’indeducibilità dipende dal solo vaglio del PM e tale circostanza contrasta con la previsione di un diritto di rimborso che spetta all’imputato a seguito di sentenza di non luogo a procedere fondata su motivi differenti rispetto alla prescrizione del reato. Per poter assegnare allora un significato coerente alla norma è necessario immaginare che l’Amministrazione finanziaria abbia recapitato un avviso di accertamento, solo a seguito dell’avvio dell’azione penale del PM, senza attendere la conclusione della fase preliminare del giudizio. Alla luce di ciò alcuni autori ritengono che l’indeducibilità del costo del delitto debba essere subordinata all’avvio dell’azione penale e la possibilità di procedere all’eventuale rinvio a giudizio.
nella Circolare del 2005 dell’Amministrazione finanziaria. Ci si trova di fronte a una disciplina che affronta i problemi connessi a come eventuali sentenze di assoluzione, di non luogo a procedere per causa diversa dalla prescrizione incidano nei confronti del diritto di rimborso del contribuente che abbia pagato in ragione di queste sentenze maggiori imposte. Parecchi sono stati i dubbi che tale previsione ha creato e che stridono con il carattere definitivo che una sentenza penale che abbia determinato l’estraneità dell’imputato rispetto al reato contestato dovrebbe portare con sé.
Sarà oggetto del prossimo capitolo valutare se e in che modo i diversi giudicati interagiscano tra di loro, pur tuttavia e a prescindere da questa considerazione andrà detto subito che la norma non dice alcunché in merito alle modalità attraverso le quali il contribuente, che sia risultato assolto in sede penale, possa ottenere il rimborso delle maggiori imposte che ha versato. Il nuovo comma 4 bis appare non adeguato, non solo perché non dice nulla a proposito delle procedure attraverso le quali chiedere e ottenere il rimborso, ma in quanto presenta tre importanti incongruenze.224 La prima di queste
riguarda il fatto che la norma riconosce il diritto al rimborso delle maggiori imposte versate e degli interessi maturati, ma non considera affatto le sanzioni per infedele dichiarazione, che l’Ufficio abbia comminato in seguito alla rettifica della dichiarazione in relazione all’indeducibilità dei costi correlati a delitti non colposi. A tale problema ha tentato di porre rimedio l’Amministrazione finanziaria con la circolare n. 32/2012 che ha dato un’interpretazione estensiva alla norma, comprendendo all’interno della stessa anche le sanzioni nel frattempo comminate al contribuente e da questi versate. Secondo la circolare summenzionata anche le sanzioni versate dal contribuente in misura ridotta a seguito di ravvedimento operoso o quelle a seguito di adesioni o conciliazioni potrebbero essere oggetto dell’estensione della norma.225 La seconda delle lacune
224 Cfr. F. TUNDO, Indeducibilità dei costi da reato: i difficili rapporti tra processo penale e tributario, Corriere tributario, 22, 2012, p. 1682.
225 Andrà dato conto che tale interpretazione non è l’unica possibile, ma ve ne sono altre due, particolarmente interessanti. La prima ritiene che la lacuna si spieghi con la volontà del legislatore, ai sensi dell’art. 21 del D. Lgs. n. 74/2000, di riaffermare che l’Ufficio che commina le sanzioni amministrative per le violazioni penalmente rilevanti non le può irrogare per soggetti diversi dal dipendente o dal rappresentante legale o negoziale della persona fisica o della società tenuta a pagare l’imposta a meno che “il procedimento penale [non] sia definito con provvedimento di archiviazione o sentenza irrevocabile di assoluzione o di proscioglimento con formula che esclude la rilevanza penale del fatto”. Una seconda visione invece si fonda sulla considerazione che, sottesa all’incongruenza di cui si è
riguarda il fatto che la norma non prevede alcuna rivalutazione monetaria, circostanza che, anche in considerazione del lasso temporale che può intercorrere tra il pagamento dell’imposta e la conclusione del processo penale, può incidere pesantemente sull’efficacia del ristoro previsto. Un’ultima problematica riguarda l’ambito di applicazione del rimborso e il suo essere subordinato all’emanazione di una sentenza di non luogo a procedere per cause diverse dalla prescrizione del reato, essendo la sentenza di assoluzione esclusa dalla criticità qui presentata. La previsione è quanto mai singolare in quanto equipara l’assoluzione per prescrizione alla condanna, almeno limitatamente agli aspetti tecnici, prevedendo in ambedue i casi l’impossibilità di usufruire del rimborso della maggiori imposte versate.226 Un’ultima questione riguarda
poi le conseguenze che avrebbe il decesso dell’imputato sulla questione fin qui affrontata. La morte dell’imputato, infatti, costituisce una causa estintiva del processo. Se, tuttavia, l’imputato fosse accusato di aver commesso un delitto delle cui conseguenze positive avesse goduto un altro soggetto, il processo penale verrebbe a cessare, ma resterebbe in piedi il processo tributario.
detto, vi sia una sorta di intento sanzionatorio. Seguitando questa teoria si potrebbe ritenere che, venendosi a costituire l’indeducibilità del costo come una sanzione, sulla medesima fattispecie non potrebbero trovare applicazione altre sanzioni. Tale interpretazione, che ha il vantaggio di risolvere ogni problematica, tuttavia si discosta dalla volontà dichiarata dal legislatore e in più costringe ad ammettere che nel nostro ordinamento possono trovare cittadinanza sanzioni non espresse.
226 È necessario distinguere qui due differenti casistiche in base al fatto che il processo penale e quello tributario arrivino a una sentenza definitiva e al loro rapporto. Se, infatti, si conclude il processo penale per primo, è il giudice tributario a dover decidere in merito alla pregiudiziale questione dell’esistenza o meno del reato. Se, viceversa, ad arrivare a conclusione per primo è il giudizio tributario, si hanno due ulteriori possibilità: se il giudice tributario ritiene il costo deducibile, solo se il giudice penale assume tale conclusione nella sua sentenza, il rimborso sarà possibile; se il giudice tributario ritiene il costo indeducibile, qualunque sia la sentenza penale, non sarà possibile da parte del contribuente ottenere alcun rimborso. Quest’ultima conclusione appare tutt’altro che pacifica proprio in relazione a quanto si è detto sopra nel caso, cioè, di prescrizione. Questo istituto, infatti, prescinde dalla volontà delle parti e, nonostante ciò, ha delle conseguenze anche pesanti su una delle parti in processo. L’unico rimedio esperibile appare quello contenuto nell’art. 157, comma 7 c.p.. ovvero la rinuncia alla prescrizione. Nella Circolare del 2012 l’Amministrazione finanziaria suggerisce proprio questa via d’uscita, pur tuttavia appare inaccettabile che il contribuente rinunci a un istituto fondato su esigenze di ordina pubblico, qual è la prescrizione, solo al fine di ottenere un rimborso che dovrebbe essergli garantito in altro e più solido modo.