LA TASSAZIONE DEI PROVENTI DA ATTIVITÀ ILLECITA
2.2 Il primo intervento del legislatore: la Legge 24 dicembre 1993, n 537
2.2.1 Portata dell’innovazione e analisi della norma
Il primo tema da chiarire è relativo all’oggetto della norma che è quanto più vago e generico possibile così da preservare il carattere onnicomprensivo e generale della stessa.
L’introduzione del comma 4 dell’art. 14 della legge n. 537/1993 costituisce un punto fermo molto importante: da un lato comporta la definitiva cessazione delle interpretazioni basate considerazioni etiche e morali in merito alla tassazione di proventi da illecito, dall’altra mette una parola definitiva anche alla diatriba sulla possibilità che un illecito possa costituire il momento fondante dell’imposizione, ovvero sulla presunta incompatibilità tra imposta e sanzione. L’illiceità perciò diviene irrilevante nei confronti dell’identificazione della base imponibile delle imposte sul reddito. Tale posizione opera in contrasto con quanto avevano stabilito le Sezioni Unite della Corte di Cassazione riunitesi il 12 novembre 1993: queste ultime avevano stabilito che i proventi illeciti non fossero tassabili a meno che lo strumento della confisca non si fosse rivelato insufficiente a privare il colpevole della ricchezza ottenuta illecitamente, mentre il legislatore dichiara i proventi da illecito generalmente tassabili, salvo il caso in cui venga applicato lo strumento ablatorio. Appare opportuno precisare che la confisca esclude la tassazione in quanto opera sul presupposto soggettivo del tributo, privando l’autore dell’illecito del possesso della ricchezza e non in ragione dell’incompatibilità tra imposta e sanzione penale.109 Un ulteriore aspetto di cui tenere conto è che la norma
non si occupa di quei redditi derivanti da attività lecite ottenuti per mezzo del reimpiego di proventi da attività illecite, a meno che questo reimpiego non costituisca esso stesso un reato.
Ora tornando all’assetto della legge sarà necessario rilevare che il legislatore non opera alcuna differenziazione tra le diverse tipologie e classificazioni di illecito; tale linea di principio si pone in netto contrasto con la giurisprudenza e la dottrina precedenti che talvolta sfumavano la loro posizione ammettendo o escludendo la tassazione dei proventi di natura illecita proprio osservando a quale tipologia di illecito essi potessero fare riferimento: civile, amministrativo o penale. Tale approccio generalizzato ha l’indubbio vantaggio di non far nascere l’esigenza di una tassonomia molto puntuale che
avrebbe potuto determinare ulteriori lunghe discussioni per la determinazione delle varie categorie di illecito. Infatti, sebbene dal punto di vista teorico le tre tipologie di illecito appaiono chiare,110 la difficoltà è rapportata all’applicabilità dal punto di vista
empirico delle stesse categorie. Infatti molto spesso il reato si configura in una posizione intermedia rispetto alla sua catalogabilità.
Nemmeno la questione del riferimento alle categorie di legge, per cui il legislatore non ha operato un’addizione al TUIR con l’inserimento di un’apposita categoria di proventi illeciti, ma ha ricompreso questi ultimi nell’ambito delle categorie già esistenti per i redditi leciti, desta particolari preoccupazioni o ambiguità. Diventa perciò imprescindibile, per poter comprendere se e in che modo un provento possa confluire e costituire base di imposta, l’identificazione dell’esatta categoria reddituale alla quale il reddito illecito può essere ricondotto: solo nel caso in cui l’attività illecita produca un reddito identificabile in una ben specifica categoria del TUIR sarà possibile assoggettarlo a tassazione, viceversa esso ne resterà escluso.
Una difficoltà, invece, può insorgere nel caso in cui si ponga l’attenzione sulle misure che sono causa di esclusione dalla tassazione. Il problema è legato all’utilizzo dell’avverbio “già” nella pericope “[…] se non già sottoposti a sequestro o confisca penale”. L’intenzione del legislatore, qui, appare quella di dare rilevanza alla disponibilità del provento di trovarsi nella condizione di essere utilizzato dall’autore dell’illecito, senza alcun interesse verso la sua titolarità giuridica.111 Su questa stessa lunghezza d’onda è
110 Così l’illecito civile appare come la violazione di “regole poste a diretta tutela di interessi privati”, (cfr. R. SCOGNAMIGLIO, voce Illecito (diritto vigente), Novissimo dig. It., VIII, 1962, p. 165 mentre quello penale è
la trasgressione di “regole ritenute fondamentali per la convivenza sociale” (cfr. P. TRIMARCHI, voce Illecito
(diritto privato), in Enciclopedia del diritto, XX, 1990, p. 90), infine quello amministrativo si definisce
rispetto “alle corrispondenti figure penalistiche in termini negativi in quanto la pena amministrativa non si collega ad un illecito che sia qualificato reato” (cfr. E. CANNADA – BARTOLI, Illecito (diritto amministrativo),
in Enciclopedia del diritto, XX, 1990, p. 118).
111 Di questa opinione è F. TESAURO, La tassazione dei proventi di reato egli enunciati del legislatore –
interprete, Giurisprudenza italiana, 1995, I, p. 2002 per cui. “secondo la nuova disposizione, ciò che rileva
non è la condizione giuridica di confiscabilità o sequestrabilità del provento-‐illecito, ma la confisca o il sequestro quali accadimenti storici”, anche A. FEDELE, Imposizione fiscale od oblazione sanzionatoria per i
proventi da illecito?, Rassegna tributaria, 1999, p. 1622, che, pur in disaccordo con il legislatore nota che:
“la soluzione accolta è drastica: solo l’effettiva “sottoposizione” a sequestro confisca esclude l’imponibilità; il mero “programma” normativo dell’ablazione o restituzione del provento non è, in sé, rilevante”.
anche la circolare112 del Ministero delle finanze esplicativa della nuova legge nella quale
si legge che: “[…] il possesso dei redditi rientranti nell’art. 1 del testo unico deve intendersi come disponibilità materiale e di fatto a prescindere dalla qualificazione lecita o illecita dell’attività posta in essere”.
La norma riguarda, lo si è detto, i proventi illeciti e forse non sarà inutile dare qualche coordinata di riferimento su questa indicazione. Con il termine provento illecito si intende un qualunque incremento di denaro derivante dall’atto o dall’attività illecita che, se rientrante in determinate qualifiche della norma, può essere catalogato come reddito. Andrà qui specificato che il legislatore ha un atteggiamento non univoco in relazione al rapporto esistente tra reddito e provento: in alcun casi li considera sinonimi, in altri sembra istituire un rapporto di non sovrapposizione tra i due concetti.113 Una volta
stabilito il principio per il quale la natura reddituale non subisce modifiche o svanisce per il solo fatto che l’attività che l’ha generata sia viziata da illiceità, il legislatore per poterle assoggettare a imposta ha fissato due condizioni.
112 Si tratta della Circolare del Dipartimento delle Entrate – Direzione centrale Affari giuridici e Contenzioso tributario – n. 150/E del 10 agosto 1994, Il Fisco, 1994, p. 7336 che ha confermato che possono essere assoggettati i proventi illeciti che rientrano nelle categorie reddituali del TUIR e inoltre che l’imponibilità dei proventi non è limitata alla sola Irpef, ma si estende, se ne ricorrono i presupposti, all’Irpeg e all’Ilor.
113 Così, ad esempio, nell’articolo 6, comma 2 recita: “[…] i proventi conseguiti in sostituzione di redditi […]” creano, pertanto, un rapporto di relazione tra i due termini, per cui l’uno sta in sostituzione dell’altro, ma non lo accorpa. Sulla questione vedi la posizione espressa da L. TOSI, La tassazione dei redditi da attività
delittuosa, Rivista di diritto tributario, 1994, I, p. 108 per il quale l’inserimento dei cespiti immobiliari è
una puntualizzazione che: “si rende necessaria per dare un significato alla nozione di provento illecito classificabile nella categoria dei redditi fondiari. Vero è che i redditi fondiari si prestano ad essere posseduti, nell’accezione tributaria del termine, anche quando afferiscono ad un immobile per così dire strumentale rispetto alla commissione di un delitto”. L’ipotesi non risulta convincere D. IROLLO, La
tassazione dei proventi dell’illecito nell’esegesi del disposto di cui all’art. 14, comma 4, legge n. 537/1993,
Rivista di diritto tributario, 2001, pp. 33 – 84. Un ulteriore aspetto di riflessione è quello concernente il fatto che i proventi di cui sopra devono essere generati da fatti, atti o attività illecite. Il riferimento ai fatti appare abbastanza fuorviante in quanto se c’è l’illiceità, allora deve esserci una violazione che è propria di un comportamento di parte, mentre il fatto può intervenire semplicemente come un accadimento indipendente dalla volontà del singolo. Più significativa appare la suddivisione tra atti e attività illecite: in tale modo il legislatore non ha voluto ricomprendere solo gli atti illeciti compiuti da singoli, ma quelli derivanti da un’impresa illecita.
La prima condizione, cui si è già accennato, stabilisce che per poter tassare un provento, esso deve assolutamente essere ricomprendibile nelle categorie del TUIR,114 purtroppo
in relazione a questo specifico aspetto il legislatore ha preferito non dettare i criteri di determinazione di quanto sopra, in quanto non riteneva che tutti potessero essere ricompresi, a meno di non restare più generici.
Appare opportuno a questo punto fare una breve – e per nulla esaustiva – elencazione dei proventi di natura illecita.
Tra i redditi di impresa andrebbero inseriti: i proventi connessi alla vendita di stupefacenti; i ricavi ottenuti da un imprenditore da singoli atti illeciti posti in essere all’interno di attività lecite; i ricavi ottenuti da attività commerciali esercitate prive delle necessarie autorizzazioni; i proventi derivanti dall’emissione di false fatture. Tra i redditi di lavoro autonomo: i proventi derivanti da soggetti che svolgono la propria attività abusivamente, da attività che vengono esercitate con frode; i proventi del meretricio. Tra i redditi di capitali vanno ricompresi i proventi contro l’usura in quanto astrattamente riconducibili a quelli derivanti da impieghi di capitali. Restano escluse alcune tipologie di reato: quelle derivanti da illeciti che si configurano attraverso la spoliazione di un patrimonio.
La seconda condizione perché i proventi illeciti possano essere tassati è legata al fatto che essi non siano già stati sequestrati o confiscati. Di questa previsione parleremo in modo più diffuso nel paragrafo cinque del presente capitolo, per ora basterà dire che le misure ablatorie e compensatorie del provento illecito dovranno aver trovato applicazione, dal momento che per impedirne la tassazione il solo provvedimento che le dispone non risulta sufficiente.
La scrittura non del tutto coerente di questa parte della norma ha destato non poche questioni e dubbi e sollevato parecchie perplessità. Una prima critica che è stata portata al legislatore è stata quella di aver compreso solo due tipologie di provvedimenti
114 Sempre con riferimento all’inquadramento nelle diverse categorie reddituali, ci viene in aiuto una sentenza della Corte di Cassazione n. 4381 del 1995 che stabilisce che: “l’art. 14, comma 4 della legge n. 537/1993 che sancisce che il principio di tassabilità dei proventi da origine illecita del testo unico del 1986 anche se privo di portata vincolante rispetto alla disciplina previgente necessariamente assume rilevanza di criterio ermeneutico decisivo per gli artt. 1 e 6 del D.P. R. n. 597/1993 applicabile alla fattispecie alla luce di quanto sopra asserito circa la loro sostanziale identità”.
ablatori, dimenticando: il risarcimento del danno (di cui all’art. 2059 c.c. e all’art. 185, comma 2 c.p.) e la restituzione (di cui all’art. 2043 c.c. e all’art. 185, comma 1 c.p.). Per di più il legislatore è stato accusato di aver trascurato anche i provvedimenti ablativi amministrativi, che producono effetti simili alla privazione del possesso del reddito. Taluni critici hanno ritenuto che si potesse estendere il significato di “sequestro” al di fuori della tecnicalità che esso assume nel diritto, ma tale posizione non ha incontrato il favore della giurisprudenza, che anzi ha ricondotto al senso letterale la lettura dell’art. 14 sia in relazione alle restituzioni o ai risarcimenti, sia in merito alla considerazione che essi non escludono la confisca penale, potendo entrambi agire in concomitanza.115
Inoltre la Corte di Cassazione ha stabilito che la sentenza di condanna alla restituzione o al risarcimento del danno, collocandosi in un orizzonte temporale successivo rispetto a quello nel quale si verifica il presupposto dell’imposta, può “rilevare successivamente nell’anno di competenza, a condizione che sia previsto come perdita deducibile e documentata”. Restituzione e risarcimento perciò, non potendo escludere in modo assoluto la tassazione, potrebbero essere considerati, qualora vi fossero i requisiti per farlo, come oneri deducibili del reddito imponibile, per esempio come sopravvenienze passive.
Un altro aspetto rilevante nell’analisi della norma è quello concernente la sua temporalità: il legislatore, infatti, non chiarisce quale sia il momento in relazione al quale confisca e sequestro devono essere intervenute al fine di impedire la tassazione dei proventi stessi, né se sia necessario che la confisca sia stata applicata in via definitiva o piuttosto sia bastevole una sentenza non passata in giudicato. Appare plausibile qui che la casistica debba essere la seconda, anche vista la correlazione che si statuisce con il sequestro. Per quanto riguarda il momento entro il quale le misure in questione devono aver trovato applicazione per poter bloccare la tassazione vi sono tre possibili ipotesi: la chiusura del periodo di imposta; il termine entro il quale deve essere presentata la dichiarazione dei redditi; il momento in cui l’accertamento diventa definitivo.
La prima delle soluzioni appare la più convincente e conforme allo spirito del testo unico. Tale interpretazione appare preferibile in considerazione del fatto che la misura ablatoria deve intervenire prima della fine del periodo di imposta entro il quale il
115 Per quanto riguarda la dottrina, si veda G. FALSITTA, La tassazione dei proventi da reato nell'analisi della
giurisprudenza dell'ultimo decennio, in Rassegna tributaria, 2001, pp. 1123; sul fronte della
reddito illecito è stato prodotto. Questa posizione, infatti, permette di salvaguardare il principio di autonomia dei periodi di imposta e garantisce una maggiore stabilità della pretesa impositiva, evitando i rovesci che possono intervenire ad anni di distanza. La seconda proposta non appare plausibile, se si pensa bene alla natura giuridica delle dichiarazioni che funzionano al più per mettere in comunicazione il contribuente con l’amministrazione fiscale per fornire a quest’ultima i dati necessari alla quantificazione dell’imponibile fiscale. La terza opzione infine ha degli indubbi pregi, non ultimo quello di poter ricavare un reddito di imposta certo e definito; pur tuttavia i tempi degli accertamenti fiscali impongono l’abbandono di questa opzione.
La norma perciò fa riferimento a due possibili soluzioni: o le misure ablatorie intervengono entro il termine del periodo di imposta o occorrono successivamente. Nel primo caso non sorge alcuna obbligazione tributaria, nel secondo, invece, non solo essa nasce, ma l’individuo deve presentare anche la dichiarazione dei redditi, assolvendo anche al debito di imposta.
Un ultimo problema, una volta affrontati i precedenti, è quello della determinazione della base imponibile sulla quale calcolare l’imposta. Dal momento che il provento illecito deve essere trattato come quello lecito, dovranno essere rispettati i criteri di cassa e di competenza indicati nello stesso testo unico al fine di individuare il periodo di imposta al quale imputare i vari componenti. Bisogna segnalare che in ogni caso per le attività illecite non dovrebbero valere le agevolazioni previste per le norme tributarie; le attività illecite, infatti, devono essere perseguite e disincentivate, non agevolate.