L’INDEDUCIBILITÀ DEI COSTI DA REATO
3.2 Rilevanza dei costi illeciti nel reddito
3.3.2 Natura e portata della disposizione
Dal momento che appare ormai assolutamente convincente che i commi dell’art. 14 della L. n. 537/1993 debbano essere letti in modo autonomo, è necessario ora soffermarsi in modo approfondito sulla natura e sulla portata della norma al fine di comprenderne bene le ragioni della sua introduzione e il campo di applicazione della norma. Un primo punto sul quale occorre soffermarsi è quello relativo alla natura del comma 4 bis, ovvero
175 L’atteggiamento dell’Amministrazione non appare comunque limpido: da un lato sembra autorizzare la lettura data, dall’altro, e nella stessa circolare (cfr. Circolare 26 settembre 2005, n. 42/E), scrive che: “nel caso in cui l’illiceità coinvolga la complessiva attività esercitata dal contribuente, l’indeducibilità riguarderà tutti i costi e le spese sostenuti in relazione all’attività stessa”. Si veda inoltre A. TOMASSINI,
Indeducibili i costi da attività penalmente illecite, Corriere tributario, 14, 2003, p. 1139. Sulla circolare e
sulle sue determinazioni a volte incongrue si sofferma E. GRASSI, La storia infinita della tassazione dei
proventi illeciti e dell’indeducibilità dei “costi da reato”. I nuovi interventi di prassi amministrativa, di giurisprudenza e di dottrina, il Fisco, 45, 2005, pp. 6997 -‐ 7006. Si veda A. ROSSI, Agenzia delle Entrate,
circolare 42/E del 26 settembre 2005: non deducibili le sanzioni amministrative, il Fisco, 41, 2005, p. 6381,
quest’ultimo riferito in particolare alle sentenze della Corte di Cassazione del 20 gennaio -‐ 29 maggio 2000, n. 7071 e 22 novembre 2002 – 13 maggio 2003, n. 7337.
alla domanda se esso debba essere letto come legge di interpretazione autentica come accade per il comma 4. In realtà diversamente da quanto accade al comma succitato, nel 4 bis mancano sia tutti i riferimenti a precedenti disposizioni, sia a espressioni che possano dar conto dell’intento chiarificatore della disposizione.176 Inoltre, in
considerazione dell’autonomia dei due commi richiamata sopra, appare anche priva di fondamento l’ipotesi per la quale il 4 bis sarebbe norma interpretativa del comma 4. Da ciò discende la necessità di considerare la norma sull’indeducibilità dei costi da reato come una disposizione innovativa, mancante cioè della retroattività che innerva la Legge e che determina l’applicabilità della previsione normativa a partire dal solo 2003.177
Considerato, poi, che si tratta di una norma che pone delle modifiche sostanziali al sistema di deducibilità delle componenti negative del reddito, si deve segnalare che per poter computare un costo o una spesa come deducibili è necessario che siano ricondotte all’illecito penale e non semplicemente dichiarati inerenti o correlati allo stesso; qualora invece sia riconducibile a un illecito penale, anche se inerente, il costo non potrà essere deducibile. Un ulteriore aspetto della natura della disposizione che necessita di un’analisi affatto superficiale è quello relativo alla sua caratura sanzionatoria: infatti la norma potrebbe essere letta come un’ulteriore sanzione comminata al reo e che si aggiunge a quella penale, il tutto in considerazione del fatto che ambedue promanano dalla commissione di un illecito.178 È noto che un tributo con funzione sanzionatoria non
dovrebbe sussistere nell’ordinamento italiano, in considerazione del principio della capacità contributiva che regola il sistema tributario italiano e della sua funzione redistributiva; senza considerare la distinzione esistente nel nostro ordinamento tra imposte e sanzioni. La funzione sanzionatoria, tuttavia, appare da escludersi per le ragioni sotto riportate e nonostante gli effetti che la stessa ha prodotto sembrano
176 Su questa linea si muove in modo autorevole F. TESAURO, Indeducibilità dei costi illeciti: profili critici di
una norma di assai dubbia costituzionalità, Corriere tributario, 6, 2012, p. 426.
177 Cfr. D. LIBURDI, Indeducibilità dei costi derivanti da reato, Corriere tributario, 40, 2005, p. 3191. Andrà notato che alle medesime conclusioni perviene anche la Circolare 42/E del 26 settembre 2005.
178 Tale valenza è fortemente avversata dalla giurisprudenza che in modo sempre più esplicito tranchant ha stabilito la dicotomia tra sistema sanzionatorio e sistema impositivo, che non risultano in alcun modo sovrapponibili o riducibili l’un l’altro, in quanto normati da principi autonomi e determinati. La Cassazione penale, con sentenza n. 408 del 2 maggio 1996 (in Diritto pratico tributario, II, 1997, p. 452) ha affermato che è opportuno operare una distinzione tra le conseguenze sanzionatorie del fatto illecito, con le misure repressive che le accompagnano e l’imposizione sanzionatoria.
ritenersi quantomeno di dubbia origine. Innanzi tutto bisogna considerare che le sanzioni, che vengono comminate a seguito del rilevamento di una violazione, devono rientrare all’interno del principio di legalità che prevede che la sanzione, per essere prevista, deve essere indicata. Accanto a questa caratteristica vi sono quelle di determinatezza e di proporzionalità: la prima prevede che il legislatore indichi la soglia minima e quella massima previste dalla sanzione, in mancanza di questa viene a cadere anche la seconda, che informa a una parametrazione che risponda a un criterio di proporzione tra l’illecito e la sanzione. A tale proposito e a suffragio della non appartenenza di questo comma alla funzione sanzionatoria concorre anche la seguente considerazione: l’indeducibilità dei costi non permette di quantificare a priori il peso della sanzione. Pertanto, a parità di ricchezza prodotta, si possono avere due casi: i costi potrebbero rappresentare una parte molto poco rilevante della ricchezza prodotta, per cui la sanzione non avrebbe alcuna valenza afflittiva; i costi potrebbero costituire una parte preponderante della ricchezza prodotta per cui la sanzione sarebbe sproporzionata.179 D’altro canto andrà notato che la norma non si confà nemmeno ai
principi fondamentali che regolano l’imposta; infatti nulla osta a che l’imposta sul reddito si costituisca come espropriativa, potendo il reddito essere stato determinato anche da costi di natura illecita. Inoltre la norma – e lo si vedrà più avanti – sembra violare diversi principi sanciti dalla Carta costituzionale, non ultimi quello di uguaglianza e di capacità contributiva. Pertanto appare evidente che la norma ha carattere dispositivo, disciplinando i casi nei quali il costo, che si è sostenuto per ottenere un provento, sul quale deve essere applicata l’imposta sul reddito, sia in qualche modo correlato a un illecito. Pertanto la disposizione non ha intenti sanzionatori
strictu sensu, dal momento che le uniche sanzioni amministrative comminabili sono
quelle contenute nel Decreto legislativo n. 74 del 10 marzo 2000, pur tuttavia si ritiene che possa essere considerata una “sanzione impropria” ovvero una “norma derogatoria
179 Nel fare l’affermazione succitata appare evidente che non si intende sostenere l’obbligatorietà che la sanzione sia determinata come parte della ricchezza prodotta, sussistendo anche sanzioni non determinate in tale guisa, ma in questo eventuale caso appare l’unica strada percorribile al fine di evitare che la sanzione abbia effetti anche molto negativi sull’impresa o sul reddito personale.
ad effetti punitivi: derogatoria dei principi e delle regole generali per la determinazione del reddito e sanzionatoria del disvalore che produce il reato”.180
È ora necessario interrogarsi in merito alla portata della disposizione e in modo particolare sul valore da dare alla pericope “i costi o le spese riconducibili a fatti qualificabili come reato”: a tale dizione possono infatti essere attribuiti due diversi significati irriducibili tra di loro e che determinano conseguenze molto differenti.181 Una
prima interpretazione ritiene indeducibili solo i costi sostenuti per la commissione di un reato, indipendentemente dal fatto che l’attività svolta sia illecita; una seconda, invece, ritiene che il legislatore abbia sancito l’indeducibilità di tutti i costi, sia leciti che illeciti, riferibili a un reato. Le differenze tra le due interpretazioni possono apparire quasi di natura accademica; pur tuttavia le conseguenze che discendono dallo sposare l’una o l’altra interpretazione determinano esiti alquanto differenti. Se infatti si dà credito alla seconda interpretazione, il legislatore avrebbe agito in sostanza creando una nuova categoria di redditi, quelli ottenuti mediante attività penalmente illecita, per i cui componenti negativi non varrebbero le consuete regole relative alla determinazione delle imposte sul reddito, ma vigerebbe, per l’appunto, la tassazione al lordo dei costi sostenuti. Tale linea interpretativa si pone perciò in netto contrasto con quanto affermato sopra e nel precedente capitolo in merito alla volontà del legislatore di non creare un’apposita categoria reddituale per i proventi illeciti, ma anzi di ricomprenderli nelle medesime categorie di quelli leciti. Inoltre l’affermazione della non deducibilità di tutti i costi relativi a un’attività illecita non risulta facilmente utilizzabile vista la difficoltà di identificare i fenomeni.182 Risulta senz’altro preferibile, quindi, la prima
delle ipotesi, ovvero quella che nega le deducibilità dei costi, ogniqualvolta essi derivino da un reato, indipendentemente dall’attività svolta. Sembra inoltre – e tale interpretazione deriva dall’applicazione della norma in questi anni e dalla sua interpretazione – che si debba ricercare l’esistenza di un legame quanto più ampio
180 La prima citazione è tratta da R. LUPI, Diritto tributario – parte speciale, Milano, 1992, p. 74; per la seconda vedi F. TUNDO, Ancora dubbi di costituzionalità sulla indeducibilità dei costi da reato, Corriere
tributario, 34, 2011, p. 2840.
181 Su questo punto imprescindibile lo studio di A. MARCHESELLI, Spunti di riflessione sull’indeducibilità dei
costi da reato, Dialoghi tributari, 2, 2009, p. 225.
182 In questo senso R. LUPI, Illecito, organizzazioni e tassazione economico-‐aziendale, Dialoghi tributari, 2, 2009, p. 228 ha potuto parlare di: “un esercizio intellettuale, un divertissement che attira l’attenzione dell’opinione pubblica”.
possibile tra i costi e il reato. Appare evidente, per quanto detto, che l’intervento del 2002 si pone in contrasto in ogni caso con quanto stabilito nel 1993, quando veniva sancito che l’illiceità non aveva alcun rilievo con la determinazione del reddito. Questa questione sarà analizzata più attentamente nel paragrafo relativo ai dubbi di costituzionalità, pur tuttavia già qui verranno anticipati alcuni tentativi di giustificazione proposti da alcuni studiosi. Se consideriamo infatti che una parte degli studiosi si è sempre dichiarata contraria alla tassazione dei proventi illeciti,183 appare evidente che
da parte degli stessi non sia in alcun modo statuibile un collegamento tra l’attività inesistente e i costi; mentre è scontato che l’unico legame che si può istituire sia quello con i proventi. Secondando questo ragionamento appare evidente che i costi sostenuti per il compimento di un illecito non possono essere considerati inerenti all’attività di impresa e perciò devono essere indeducibili.184 Altri studiosi hanno giustificato
l’indeducibilità dei costi con la ragione che, ammetterla, potrebbe determinare un salto di imposta.185 Per comprendere tale giustificazione è opportuno vedere il processo nella
sua interezza: un costo illecito determina un provento illecito, che ragionevolmente non verrà dichiarato dal suo possessore. Si pensi ad esempio al lavoro irregolare, nel quale, il compenso dato al lavoratore non in regola è certamente un costo, ma la retribuzione ottenuta dal lavoratore non sarà in ogni caso denunciata dall’interessato. Ammettere la deducibilità di questa fattispecie di costi farebbe acquisire agli stessi una rilevanza in termini fiscali, mentre i corrispettivi proventi risulterebbero non accertati.186 Questa
obiezione appare sensata: ammettendo la deducibilità dei costi e considerando che chi si arricchisce con reato non dichiara i proventi così ottenuti, si assiste a una non tassazione
183 Sul fronte della discussione qui riportata cfr. D. STEVANATO, Interrogativi sulla disposizione in tema di
indeducibilità dei “costi illeciti”, Dialoghi di diritto tributario, 9, 2004, p. 1160.
184 Così R. LUPI, Redditi illeciti, costi illeciti, inerenza i ricavi e inerenza all’attività, Rassegna tributaria, 6, 2004, p. 1935: “all’etica degli affari, in chiave di determinazione amministrativa della ricchezza e di specificazione di concetti patrimoniali, ripugna solo che da ricavi illeciti venga dedotto un costo illecito che con essi non aveva nulla a che fare”.
185 Cfr. F. TUNDO, L’indeducibilità dei costi illeciti tra dubbi di costituzionalità e interpretazione restrittiva, Corriere tributario, 1, 2011, p. 60.
186 Sulla questione vedi A. VIGNOLI, L’acquisto di merce rubata: quando la simmetria fiscale si interrompe; Dialoghi tributari, 2, 2009, p. 219 che commenta la sentenza della Commissione Tributaria della provincia di Ravenna, n. 112 del 10 dicembre 2008, che ha confermato l’indeducibilità del costo sostenuto per l’acquisto di merce di cui era nota l’origine determinata da un furto.
su ambedue i fronti. La risposta a questa obiezione viene dallo stesso comma 4 dell’art. 14, laddove si riconosce ai redditi provenienti da attività illecita l’imponibilità. Se quindi questa proposta appare senz’altro condivisibile nella pratica, la sua sistemazione tassonomica non appare convincente. Infatti nel caso in cui l’illecito venisse rilevato e colui che ha ottenuto il provento illecito venisse perciò sottoposto a imposta, si verificherebbe la situazione opposta di doppia tassazione sulla stessa ricchezza, con violazione patente dell’art. 163 del TUIR.187
Un’ultima considerazione deve essere fatta per quanto concerne il momento temporale nel quale la disposizione produce i suoi effetti. Trattandosi di norma che incide sulla determinazione della base imponibile dell’imposta, appare chiaro che sul contribuente insiste l’obbligo di apportare le modifiche del caso già in sede di liquidazione dell’imposta.