I RAPPORTI TRA PROCEDIMENTO PENALE E PROCESSO TRIBUTARIO
4.3 Gli interventi del legislatore: dal Decreto Legge n 138/2011 alla Legge di stabilità 2016 n 208/2015
Gli interventi del legislatore successivi al D. Lgs. 74/2000 sono stati condotti lungo due direttrici principali: da un lato la volontà di creare un sistema sanzionatorio che, attraverso il rigore nell’applicazione delle sanzioni e l’aumento delle stesse, fosse efficace nella sua funzione deterrente; dall’altro l’esigenza sempre maggiore di favorire il rapporto organizzato e gerarchicamente stabilito tra i due ordinamenti. Da questo punto di vista il Decreto Legge n. 138 del 13 agosto 2011, convertito nella Legge n. 148 del 14 settembre 2011 rappresenta un primo e deciso passo in questa direzione.306 Il
legislatore è giunto a porre le basi per il sistema che si era imposto attraverso la riduzione delle soglie di punibilità per i reati di dichiarazione fraudolenta, infedele od omessa, l’abrogazione delle ipotesi attenuanti dei reati di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture false o di emissione di fatture per operazioni inesistenti e un indiretto aumento delle sanzioni per le fattispecie penali tributarie.307 Se queste
modifiche appaiono rispondere a un’unica volontà finalizzata, non altrettanto si può dire degli esiti, che anzi sembrano “perdere di vista la coerenza e l’equità del sistema”.308
Sembra in taluni casi di assistere a una riduzione del diritto di difesa del contribuente: se, ad esempio, l’accesso al patteggiamento viene riservato solo a coloro che possono estinguere il debito tributario, con l’esclusione di chi è impossibilitato a farlo o lo sta facendo attraverso il sistema rateale, questo può essere visto come il presupposto per la fondazione di un istituto con esiti differenti a seconda della disponibilità economica. Accanto a questo problema c’è, sempre con riferimento al caso di specie, quello relativo al mancato coordinamento tra l’accesso al patteggiamento e il rapporto con le
306 Sulla riforma si veda almeno F. FLORA, Le recenti modifiche in materia penale tributaria: nuove
sperimentazioni del “diritto penale del nemico”?, Diritto penale processuale, 2012, p. 15.
307 Tra questi inasprimenti indiretti devono essere annoverati: la limitazione nella possibilità di godere delle attenuanti sul pagamento del debito tributario, l’espunzione dei delitti più gravi dal novero di quelli per i quali può essere richiesta la sospensione condizionale della pena, l’aumento dei termini di prescrizione per alcune tipologie di reati.
308 Cfr. A. VIOTTO, Evoluzione del sistema sanzionatorio penale tributario e prospettive di riforma, Rivista trimestrale di diritto tributario, 2, 2015, p. 551.
tempistiche e le fasi dell’accertamento tributario.309 Un altro degli aspetti più dibattuti è
stato certamente quello relativo alla sospensione condizionale della pena, che è stata esclusa nel caso in cui si realizzi una doppia condizione: superamento della soglia proporzionale tra l’ammontare dell’imposta evasa e il volume di affari dichiarato e del valore di almeno 3 milioni di euro per l’imposta evasa. Appare irragionevole la ratio che pare di scorgere nell’iniziativa del legislatore, quella cioè di considerare più grave l’evasione realizzata nell’ambito dell’attività di impresa, rispetto a quella che si realizza in altri contesti.
Sul fronte del rapporto tra sistema penale e sistema tributario è necessario rilavare che una serie di interventi normativi ha posto in crisi o comunque portato a delle limitazioni al principio del doppio binario.310 Una delle prime questioni che hanno notevole rilievo
sulla questione è quella di cui si è già detto, ovvero quella relativa all’accesso al patteggiamento, per il quale il pagamento del debito tributario è condicio sine qua non.311
Una seconda è data dal rapporto tra l’art. 14, comma 4 bis della L. 537/1993 e dall’art. 20 del D. Lgs. 74/2000, infatti, in considerazione di quanto disposto dalla legge di cui sopra, appare evidente che l’esercizio dell’azione penale è presupposto per l’esistenza del procedimento di accertamento tributario: il rapporto tra i due processi è evidente e altrettanto chiaro è che nel caso in cui la controversia sia definita in sede penale, l’esito avrebbe delle ricadute positive in sede tributaria.
Un cenno andrà fatto a proposito del Decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158, che risponde alla delega conferita al Governo per mezzo dell’art. 8, comma 1 della legge 11 marzo 2014, n. 23. Tale decreto porta importanti novità in materia di riforma dei reati
309 Un utile approfondimento al caso qui presentato è fornito da A. MARCHESELLI, Adesioni ai verbali, rischi e
vantaggi penali per il contribuente, Corriere tributario, 2008, p. 3254 e M. RASI, L’attenuante del pagamento
del tributo, Rivista trimestrale di diritto tributario, 2, 2015.
310 Sulla questione si vedano: M. DI SIENA, Doppio binario tra procedimenti tributario e penale: una
metafora ferroviaria in crisi?, il Fisco, 2014, p. 4259 e A. VIOTTO, Evoluzione del sistema sanzionatorio penale
tributario e prospettive di riforma, Rivista trimestrale di diritto tributario, 2, 2015, p. 559.
311 Tale novità ha delle ricadute anche sull’applicazione del principio di specialità; si veda A. PIERRO, L’uso
premiale delle sanzioni tributarie e la crisi del principio di specialità, Rivista trimestrale di diritto tributario,
2014, p. 687 che rileva che “[…] la struttura originaria del D. Lgs. 74/2000 ha portato di norma gli operatori a considerare speciale la disposizione penale, ora per la forma vincolante della condotta, ora per l’elemento soggettivo che connota i reati tributari, ora per le soglie di punibilità previste dal D. Lgs. n. 74/2000, con l’effetto di considerare sanzionabili in sede penale solo gli illeciti che manifestano il maggior disvalore in termini di evasione fiscale”.
tributari e alla loro disciplina, in modo particolare esso contiene delle innovazioni significative anche rispetto alla legge di delega.312 Nell’organizzazione del decreto
legislativo è il titolo primo a essere interessante per la materia oggetto del presente lavoro, riguardando la disciplina dei reati tributari contenuta nel Decreto legislativo n. 74/2000. Sostanzialmente le novità riguardano i seguenti aspetti: assume rilevanza penale l’omessa presentazione del sostituto d’imposta, sono introdotte nuove cause di non punibilità e di estinzione del reato nel caso di omesso versamento e indebita compensazione, vengono inserite nuove circostanze attenuanti e aggravanti, sono innalzate le soglie di punibilità di alcuni delitti, viene compiuta una decisa impennata sanzionatoria per alcune fattispecie di reati, viene concesso il rinvio dell’udienza fino a un massimo di sei mesi per consentire all’imputato di adempiere integralmente, nel caso di rateizzazione, al pagamento del debito tributario, viene confermata l’impossibilità di partecipare al patteggiamento per coloro che non abbiano estinto il debito, infine la confisca, anche per equivalente, viene limitata nel caso vi sia l’impegno al pagamento del debito.
Un ultimo intervento normativo ha avuto delle ricadute importanti sulle questioni oggetto della presente trattazione: si tratta della “Legge di Stabilità” ovvero “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato” n. 208 del 28 dicembre 2015 che, al comma 141 dell’art. 1 ha integrato il testo dell’art. 14, comma 4 della Legge n, 537 del 24 dicembre 1993. La ragione della modifica va ricercata nella necessità di stabilire forme di dialogo privilegiato tra le diverse amministrazioni dello Stato e stabilisce che: “In caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per qualsiasi reato da cui possa derivare un provento o vantaggio illecito, anche indiretto, le competenti autorità inquirenti ne danno immediatamente notizia all’Agenzia delle entrate, affinché proceda al conseguente accertamento”. Sostanzialmente il legislatore stabilisce che la circolazione delle informazioni giudiziarie possa e debba essere migliorata senza che ciò abbia ricadute negative sul segreto delle indagini preliminari e, viceversa, con proficuo
312 A tale proposito si vedano S. FINOCCHIARO, Sull’imminente riforma in materia di reati tributari: le novità
contenute nello “schema” di decreto legislativo, S. CAVALLINI, Osservazioni “di prima lettura” allo schema di
decreto legislativo in materia penaltributaria, F. DONELLI, Irrilevanza penale dell’abuso nel diritto tributario:
entra in vigore l’art. 10 bis dello Statuto del contribuente e F. MUCCIARELLI, Abuso del diritto e reati tributari:
vantaggio dell’azione amministrativa. Sebbene forme di circolazione delle notizie relative alla situazione giuridica relativa a un’indagine già potessero circolare, appare significativo che il legislatore abbia voluto dare questo segnale importante. La novità dell’intervento normativo sta nell’ampia anticipazione che viene data al procedimento penale che si va istituendo; infatti non si aspetta più che avvenga l’esercizio dell’azione penale, ma si determina la contestualità tra l’azione penale e la comunicazione all’Agenzia delle Entrate; tale disposizione sembra sancire un obbligo non altrimenti derogabile, il che porterebbe alla caduta degli artt. 63 del D.P.R. n. 633/1972 e 33 del D.P.R. n. 600/1973 che, nonostante numerosi emendamenti, consentono al Pubblico Ministero di decidere in merito all’utilizzo, a fini fiscali, di documenti, dati e notizie processuali penali in pendenza delle indagini preliminari.
Si è tentato, nel corso del capitolo, di indagare il rapporto tra il processo penale e il procedimento/processo tributario. La questione del rapporto tra i due processi è molto dibattuta e ha avuto una storia molto articolata, a partire dalla statuizione della pregiudiziale tributaria, secondo la quale il processo penale deve essere sospeso fino alla conclusione di quello penale. La pregiudiziale tributaria è stata poi abbandonata perché comportava un dilatamento dei tempi piuttosto significativo; tuttavia la sua abrogazione non ha comportato miglioramenti decisivi in quanto il rapporto e la correlazione tra i due ha creato diverse problematiche. Al momento, seppure soggetto a un parziale ridimensionamento, è vigente il principio del “doppio binario” in cui i due procedimenti viaggiano in parallelo e in autonomia, ma correlati tra di loro. Il problema, lo si è visto, è stabilire, stante la diversità nel regime probatorio, quanto un giudice tributario possa utilizzare le risultanze penali. Il rischio che poteva generarsi era quello che si venisse a determinare un contrasto tra i giudicati. Alla luce di questo rischio l’intervento del legislatore, quand’anche si leggesse come portatore di una preminenza del processo penale su quello tributario, è importante perché, nel determinare che la sentenza penale può essere utilizzata nel processo tributario, dà un’indicazione chiara di come debba essere impostata l’azione. Da più parti si è pertanto venuta sottolineando la necessità di una revisione più radicale del rapporto tra i processi nei diversi rami del diritto al fine di dettagliarne gli esiti per ciascuna delle fattispecie di reato e di prevedere tutti i possibili e diversi accadimenti che possono intervenire a determinarne la durata e a stabilire i rapporti tra i processi.
CONCLUSIONE
Appare opportuno, dopo l’ampia disamina condotta sui proventi da natura illecita, sulla deducibilità dei costi da reato e sui rapporti tra i processi penale e tributario, provare a trarre le conclusioni e a tracciare le linee lungo le quali sarebbe auspicabile che i prossimi sviluppi normativi si direzionassero.
Abbiamo preso le mosse del presente studio dalle posizioni di diversi autori che si sono interrogati sulla possibilità che un provento illecito contribuisca, attraverso la tassazione, al sostentamento delle spese della comunità e abbiamo visto come diversi fattori extrafiscali abbiano nel corso degli anni determinato tali posizioni. Queste teorie pertanto si sono sostanziate all’interno di un sistema, che dovrebbe prescindere dalle opinioni singole e dalle posizioni dettate da convincimenti personali. Lo scopo dell’indagine condotta all’inizio ha proprio tentato di sottrarre dall’arbitrarietà delle convinzioni personali i concetti di cui ci si è serviti, quali quello di reddito, provento, sanzione, illecito, per renderli organici a un sistema basato sul concetto di società che si concreta in norme finalizzate alla regolazione dei rapporti tra i singoli. Per analizzare il sistema tributario, pertanto, si è utilizzato il principio costituzionale della capacità contributiva che, in virtù dei suoi fitti rimandi agli altri principi cardine della Costituzione, rappresenta un modo innovativo e particolare per leggere la Carta costituzionale. La capacità contributiva, infatti, consente di utilizzare un parametro per il sistema tributario, che è in grado di esprimere regole chiare e anche riesce a evitare distorsioni e discriminazioni nel contesto sociale. Che la determinazione di quanto prelevare dalla ricchezza di ciascuno per costituire la ricchezza di tutti sia determinata dalla capacità contributiva appare un criterio condiviso e ovvio, pur tuttavia non va dimenticato che è risultato acquisito solo in termini recenti. Proprio tale principio apre alla questione dei proventi di natura illecita: se infatti due soggetti percepiscono come reddito dal proprio lavoro, svolto l’uno lecitamente l’altro illecitamente, la stessa ricchezza, allora è corretto che siano sottoposti alla medesima tassazione in ragione della loro identica capacità contributiva. Appare comunque necessario compiere una distinzione nell’ambito del fenomeno illecito tra la capacità alla contribuzione che tale atto integra e che rappresenta l’oggetto del diritto tributario e le conseguenze giuridiche che l’adozione di un comportamento illecito comportano, sul piano amministrativo,
civile o penale. Lo scopo, pertanto, del sistema giuridico dovrebbe essere quello di eliminare tutti gli effetti negativi prodotti dall’atto illecito, in particolare sottraendo l’arricchimento indebito a colui che lo ha posto in essere. Tale azione potrebbe essere realizzata mediante la confisca immediata dell’arricchimento così prodotto che potrebbe essere utilizzato per il ristoro della parte danneggiata: la completa rimozione dell’indebito e la conseguente soluzione del problema tra imposizione fiscale e repressione del reato verrebbe a trovare la sua soluzione, venendo la prima assorbita dalla seconda. Questa concezione, che rappresenta sul piano ideale come potrebbe svolgersi la relazione tra reato e imposizione fiscale, si scontra però con una realtà alquanto più variegata e delle disposizioni piuttosto frastagliate nella determinazione dei campi di applicazione e quanto agli esiti. In questo panorama ricco di contraddizioni si è inserito l’intervento del legislatore che con la legge 537/1993 ha inteso dissipare tutti i molti dubbi circa l’assoggettabilità a tassazione dei proventi illeciti, prevedendo come causa di esclusione le sole ipotesi di misure ablative penali. In questo modo il legislatore ha riaffermato la pienezza di significato dell’art. 53 della Costituzione, laddove si stabilisce che la tassazione deve riguardare tutti, non in ragione dei servizi dei quali si gode o per l’opera che si presta all’interno dello Stato, ma proprio in ragione del fatto di appartenere alla comunità chiamata “Stato”. Alla luce di questo non si comprende appieno la portata della riforma compiuta con l’intervento del 2006, con il quale si è inteso porsi nell’alveo della norma del 1993, ma in realtà la si è snaturata nel modo più deciso possibile. Prevedendo, infatti, il generale assoggettamento a imposta di tutti i proventi illeciti, il legislatore attribuisce importanza alla qualificazione illecita, affermando che un arricchimento, per il solo fatto di derivare da una fonte illecita, deve essere gravato da imposta. Che una tale scelta appaia criticabile, in quanto altera le regole ordinarie previste per la tassazione del reddito, è cosa oltremodo condivisibile: sembra ricondurre infatti su un piano morale tutta la questione della tassabilità dei proventi da illeciti, piano dal quale proprio l’intervento del 1993 l’aveva allontanata in modo perentorio. Questa ragione morale apre poi lo scenario a un problema notevole: la previsione che la norma tributaria possa venire utilizzata per contrastare un comportamento illecito, infatti, rappresenta da un lato un’ammissione di inadeguatezza del sistema repressivo, dall’altro una manifesta violazione del concetto di imposta, che non può avere mai una funzione sanzionatoria. Tali problematiche hanno assunto rilievo anche con la disposizione che nel 2002 ha sancito l’indeducibilità dei costi da reato. Al di
là dei forti dubbi di costituzionalità della norma, di cui si è dato conto nel capitolo terzo, appare opportuno richiamare qui che la questione relativa alla profonda diversità che contraddistingue l’imposta dalla sanzione si riverbera sui meccanismi di applicazione e sulle tutele che il legislatore fornisce al destinatario di ciascuna di esse. Ecco perché l’applicazione di un’imposta, laddove sarebbe prevista una sanzione, viola le tutele garantite che attengono al rango costituzionale. L’utilizzo incongruo dell’imposta in luogo della sanzione non rappresenta tuttavia l’unico argomento di cui ci si deve occupare: anche il contenuto dell’art. 4 bis della legge 537/1993, che ha avuto una quasi ventennale vigenza e che prevedeva l’indeducibilità per un componente negativo nel caso in cui risultasse collegato a un atto illecito, ha portato a una perturbazione profonda della stessa norma, secondo la quale la determinazione dell’imposta dipendeva dalla specifica categoria alla quale era riconducibile il reddito illecito. Negando, pertanto, la deducibilità di un componente negativo si perviene al risultato di assoggettare a prelievo la ricchezza prodotta al lordo dei costi sostenuti per la sua produzione, in tale modo andando a ledere il principio di capacità contributiva. Così nel 2012 il legislatore è nuovamente intervenuto con la manifesta finalità di risolvere i molti problemi che rendevano difficile l’applicazione della norma precedente. Tali questioni sono state risolte per mezzo di una riduzione del campo di applicazione della norma e attraverso altri interventi più mirati.
Anche nel campo dei rapporti tra processo penale e processo tributario si è assistito a interventi spesso non coerentemente orientati. La pregiudiziale tributaria, in base alla quale, qualora uno stesso fatto fosse oggetto sia di processo tributario che di penale, quest’ultimo doveva sospendersi fino all’esito del primo, si è rilevata a lungo andare un criterio che permetteva, per via del dilatarsi dei tempi della giustizia, ai presunti evasori di rimanere impuniti. L’abrogazione del principio è stata perciò quanto mai un intervento doveroso e attraverso il principio del doppio binario il legislatore ha tentato di risolvere le storture della norma che aveva introdotto. La rigida separatezza tra i due processi, tuttavia, non ha consentito di disciplinare in modo preciso la varia casistica che ci può essere tra i giudicati. A tale circostanza il legislatore ha cercato di porre rimedio disciplinando l’efficacia della sentenza penale in sede tributaria, senza però dare una preminenza dell’una sull’altra. La questione relativa al contrasto tra i giudicati appare oggi ancora aperta, intrisa di relazioni con il principio di specialità e pertanto si rende
necessario un intervento del legislatore atto a ridefinire i limiti, le condizioni e le regole del procedimento di applicazione del principio suddetto.
Quest’ultima questione apre alle prospettive future relative alle questioni delle quali ci si è occupati: un nuovo intervento del legislatore appare quanto mai opportuno per determinare in modo più perspicuo il regime di tassabilità dei proventi illeciti, per definire meglio il regime di indeducibilità dei costi e infine per risolvere il contrasto tra i giudicati, tenendo presente che tale intervento, al fine di prevenire le polemiche e i dubbi interpretativi, dovrà tenere conto degli indifettibili dettami della Costituzione ai quali anche la norma tributaria deve ispirarsi e attenersi.
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