L’INDEDUCIBILITÀ DEI COSTI DA REATO
3.2 Rilevanza dei costi illeciti nel reddito
3.3.3 Dubbi di costituzionalità
Si è già accennato in precedenza al fatto che la norma in esame ha suscitato molti interrogativi in merito al suo rapporto con le molte discipline che interessano il medesimo campo e persino con la Carta costituzionale.
Una prima questione, della quale si è già avuto modo di discutere, è quella per l’appunto collegata al fine stesso della norma: la disposizione esaminata, infatti, nega la deducibilità di un costo che, qualora venissero applicate le norme ordinarie, sarebbe
187 Né appare convincente la posizione della Commissione Tributaria Regionale del Veneto che nella sua ordinanza n. 27 del 11 aprile 2011 ha scritto: “nel caso in cui l’intera attività esercitata dal contribuente rilevi come illecito penale e tutti i proventi siano sottoposti a sequestro o confisca, la deducibilità dei costi e delle spese in regime di impresa determinerebbe, per assurdo, una perdita fiscale riportabile”. Infatti, se risponde al vero che, a seguito della confisca del provento illecito, la deduzione dei costi si trasformerebbe in perdita fiscale, pur tuttavia, l’esclusione dall’assoggettamento all’imposta avviene solo nel caso in cui la confisca venga effettuata nel medesimo periodo di imposta in cui i proventi sono stati prodotti. La possibilità che questo accada è piuttosto remota: si è già detto che l’intervento della confisca in un momento successivo non esclude la tassazione alla quale il provento può essere assoggettato. Anche nel caso in cui la confisca avvenga nel medesimo periodo d’imposta nel quale si è determinato il provento, nulla osta a consentire che venga riportata la perdita, che risponde a quanto è avvenuto realmente.
viceversa deducibile producendo l’effetto di stabilire una tassazione al lordo dei costi. Tale questione è assolutamente prioritaria venendo addirittura a impattare sul concetto di reddito che si può definire come la differenza tra il provento ottenuto e i costi sostenuti per raggiungerlo. Ora è lapalissiano che, nel caso in cui a un costo non venga riconosciuto lo status di deducibilità, ciò determina una ricchezza superiore a quella prodotta, che non rappresenta più la capacità contributiva, così come definita dall’art. 53 della Costituzione.188 Una possibile soluzione all’impasse sarebbe quella di leggere la
norma come se disponesse l’indeducibilità per i soli costi relativi a reati che hanno un campo d’azione differente rispetto a quello dell’attività dell’impresa. Tali costi, tuttavia, mancando il principio di inerenza, non sarebbero comunque deducibili, per cui, se la lettura fosse quella proposta, la norma sarebbe pleonastica e varrebbe al più, come norma chiarificatrice del principio di inerenza, perdendo ogni possibile investitura di norma innovativa. La sola strada per superare lo stallo interpretativo, quindi, è quella di rinunciare a un’impostazione tributaristica tout court per leggere la norma da un’ottica sanzionatoria. Le sanzioni, è noto, non rispondono al principio di capacità contributiva per cui la questione della incostituzionalità della norma viene aggirata. Con quest’ultima affermazione non si intende affatto sostenere che l’indeducibilità dei costi si configuri come una sanzione “propria”, bensì si intende fornire uno strumento per consentire il superamento del vicolo cieco normativo.
Una seconda questione in merito alla presunta incostituzionalità della disposizione è costituita dal meccanismo che consente la determinazione dell’indeducibilità dei costi da reato. Il comma 4 bis, infatti, non contiene alcuna disposizione esplicita in merito al verificarsi di indeducibilità dei costi, ma riserva tale questione al rilievo di una riconducibilità del costo a un illecito penale. Da qui potrebbe agevolmente inferirsi un certo automatismo nel meccanismo: dal rilievo della commissione di un reato penale
188 Cfr. A. MARCHESELLI, Indeducibilità dei costi illeciti: una norma incostituzionale dagli esiti paradossali, Rivista di giurisprudenza tributaria, 7, 2009, p. 641. Sostiene F. TESAURO, Indeducibilità dei costi illeciti:
profili critici di una norma di assai dubbia costituzionalità, Corriere tributario, 6, 2012, p. 426 che:
“l’indeducibilità non ha alcuna ratio di natura tributaria. Una norma fiscale priva di ratio fiscale è, già solo per questo, costituzionalmente illegittima, perché viola il principio di capacità contributiva”. Si vedano anche, per un quadro più generale, A. CARINCI, La nuova disciplina dei costi da reato: dal superamento del
doppio binario alla dipendenza rovesciata (con diversi dubbi e numerose incongruenze), Rassegna tributaria,
6, 2012, pp. 1459 – 1485; A. VIOTTO, Evoluzione del sistema sanzionatorio penale tributario e prospettive di
discenderebbe l’indeducibilità dei costi come diretta conseguenza. Tale interpretazione è, però, da scartarsi in quanto darebbe un potere assolutamente non pertinente ed enorme all’Amministrazione finanziaria, che potrebbe giudicare finanche se un fatto possa costituirsi come reato e potrebbe irrogare la sanzione relativa.189 Inoltre alcuni
studiosi hanno rilevato che, in considerazione del fatto che l’indeducibilità è correlata alla determinazione di un reato, la sentenza successiva al provvedimento preso dall’Amministrazione finanziaria, anche qualora lo smentisse, non avrebbe effetti sull’indeducibilità, ma consentirebbe il mantenimento dello status quo.190 La circolare
del 2005 dell’Agenzia delle Entrate su questa questione ha espresso l’opinione per la quale, nel caso di archiviazione della notizia di reato o in caso di sentenza di assoluzione o proscioglimento, al contribuente spetterà il rimborso del quantum in più versato.191 In
questo senso l’Amministrazione Finanziaria ha tentato di arginare la portata della norma; ha pertanto vincolato l’indeducibilità dei costi alla trasmissione della notizia di reato al pubblico ministero come determinato dagli artt. 331 e 347 c.p.p..192 Pertanto
l’Agenzia delle Entrate in tale modo si limita da sé nella valutazione in merito all’esistenza dei presupposti relativi alla notizia di reato. In più la disposizione sembrerebbe incostituzionale anche su di un altro fronte: non consentendo al soggetto di difendersi di fronte all’autorità giudiziaria, pare violare il diritto di difesa riconosciuto all’individuo. In più, se l’indeducibilità dei costi costituisce una sorta di sanzione tributaria, ecco che, il fatto di comminare la sanzione prima che una sentenza passata in
189 Cfr. F. TUNDO, Ancora dubbi di costituzionalità sulla indeducibilità dei costi da reato, Corriere tributario, 34, 2011, p. 2844.
190 Cfr. F. TUNDO, L’indeducibilità dei costi illeciti tra dubbi di costituzionalità e interpretazione restrittiva, Corriere tributario, 1, 2011, p. 58.
191 Così la circolare: “dal punto di vista procedurale l’indeducibilità dei costi e delle spese imputabili ad attività illecite penalmente rileva dal momento in cui viene trasmessa al pubblico ministero la notizia di reato a carico del contribuente, o degli amministratori e dei legali rappresentanti della società”.
192 Su questa questione si veda D. LIBURDI, Indeducibilità dei costi derivati da reato, Corriere tributario, 40, 2005, p. 3191. In questo modo si limitano le fattispecie ammesse a quelle per le quali è prevista l’iscrizione al registro degli indagati (art. 355 cp.p.); laddove le altre tipologie, per le quali è prevista l’iscrizione mediante il cosiddetto “modello 45”, quali pseudonotizie o non-‐notizie di reato restano escluse.
giudicato metta la parola definitiva sulla questione, contrasta il principio della presunzione di innocenza.193
In relazione a tutti questi rilievi appare particolarmente interessante la posizione presa dalla V sezione della Commissione Tributaria Provinciale di Roma, con la sentenza n. 375 del 30 ottobre 2008, per due motivi che hanno motivato la decisione di quest’ultima di dare ragione al contribuente. In primo luogo si è riconosciuta al solo giudice penale la possibilità di dichiarare illecita una determinata operazione. La seconda questione precisata dalla Commissione appare ancora più interessante, laddove i giudici scrivono che “il disconoscimento dei costi ai fini fiscali in presenza di operazioni illecite è diretto all’ottenimento di vantaggi di natura fiscale, e non anche quando l’operazione illecita, in nulla incidendo sotto l’aspetto fiscale, sottende diverse finalità”.
Andrà notato che questa interpretazione non è in nessun modo autorizzata dalla lettura della norma e anzi pare porsi in contrasto con lo spirito della stessa, il cui intento sarebbe quello di colpire in modo più capillare i reati in generale e non semplicemente limitarsi al contrasto nei confronti dei risparmi d’imposta indebiti.
Una terza questione è quella sollevata dalla presunta violazione dell’art. 3 della Costituzione. In questo caso andranno svolte due considerazioni, la prima delle quali già abbozzata nella discussione in merito al mancato rispetto del principio della capacità contributiva. Hanno rilevato, infatti, alcuni studiosi,194 che la norma crea una
discriminazione tra coloro che, avendo compiuto un illecito amministrativo o civile, possono dedurre i costi e coloro che, avendo commesso un reato penale, rientrano nel comma 4 bis e sono vincolati all’indeducibilità dei costi. Ci si troverebbe nella condizione di vedere una disparità nei costi, laddove per i proventi il legislatore aveva negato vi fosse diversità tra le diverse tipologie di illeciti.
Accanto a questi dubbi, andrà poi segnalato che anche l’Amministrazione finanziaria, nella sua meritoria opera interpretativa, ha spesso ingenerato confusione.
193 Cfr. F. TESAURO, Indeducibilità dei costi illeciti: profili critici di una norma di assai dubbia costituzionalità, Corriere tributario, 6, 2012, p. 429.
194 Cfr. B. SANTACROCE, D. PEZZELLA, Indeducibilità dei costi da reato: la Consulta lascia aperti i dubbi di
legittimità costituzionale, Corriere tributario, 20, 2011, p. 923. Sul fronte della giurisprudenza si veda
quanto stabilito dalla Commissione tributaria provinciale di Terni, con sentenza n. 161 del 11 novembre 2009.
Al fine di avere un quadro completo della questione sembra ora opportuno provvedere alla segnalazione della presunta incostituzionalità di alcuni passaggi della Circolare interpretativa 42/E del 26 settembre 2005, che, promanata dall’Agenzia delle Entrate per rispondere ai dubbi applicativi della novella normativa, ha creato non pochi problemi soprattutto nel momento in cui ha indicato come si dovesse estendere l’ambito sanzionatorio della norma fino a ricomprendere una quota dei costi leciti dell’azienda, non considerando in tale modo l’afferenza ai reati.195 Tale interpretazione si pone in
antitesi al principio di legalità sancito dall’art. 25 della Costituzione: l’interpretazione estensiva di una sanzione spetta solo alla Suprema Corte, per cui l’Amministrazione finanziaria non può in nessun caso arrogarsi questo diritto.196 La questione paradossale
è che la circolare in tale modo si pone in contrasto con se stessa, nel punto in cui nega qualsivoglia relazione tra i commi 4 e 4 bis. L’indeducibilità di una quota dei costi, infatti, verrebbe a interessare costi leciti, sottoposti a tassazione non in virtù della loro natura, ma in considerazione dell’illiceità dei proventi; questo esito non risulta tra quelli attesi dal comma 4 bis e nemmeno da altri provvedimenti normativi.197
Accanto alla presunta incostituzionalità della norma, sarà necessario rilevare che questa sembra accordarsi poco anche con altri provvedimenti legislativi. Si valuti ad esempio il rapporto tra la norma in esame e l’art. 163 del TUIR, che statuisce che una stessa ricchezza non può essere assoggettata a imposta più di una volta nemmeno se si tratta di ricchezza che può essere imputata a più soggetti diversi. Un costo per sua natura interessa almeno due soggetti diversi: un primo soggetto che trae beneficio dal costo e che lo pone come componente positiva nella costituzione del suo reddito tassabile, un secondo soggetto che per analogia lo dovrebbe porre in detrazione. Se così non avvenisse infatti la medesima ricchezza verrebbe tassata due volte, una prima volta in quanto costituente reddito, una seconda in quanto non ammettente il beneficio della detraibilità. Inoltre alcuni autori hanno segnalato che una certa incongruenza vi è anche
195 Sulla circolare si veda la nota 175.
196 Cfr. F. TUNDO, L’indeducibilità dei costi illeciti tra dubbi di costituzionalità e interpretazione restrittiva, Corriere tributario, 1, 2011, p. 60.
197 Cfr. F. TESAURO, Indeducibilità dei costi illeciti: profili critici di una norma di assai dubbia costituzionalità, Corriere tributario, 6, 2012, p. 428.
tra il comma 4 bis e la disposizione sulla tassazione dei proventi illeciti.198 Nel caso in cui
il provento illecito sia sottoposto a confisca o sequestro, infatti, deriverebbe la condizione per la quale il legislatore tributario sarebbe molto più severo del legislatore penale: verrebbe infatti a escludere i proventi dall’imposizione, mentre recupererebbe i costi collegati al reato a tassazione. Infine nel caso in cui la confisca intervenga oltre il periodo di imposta, come accade nella stragrande maggioranza dei casi, sarebbero parimenti vigenti sia l’imposizione che la confisca e si avrebbe il risultato per il quale la confisca porterebbe fuori dalla disponibilità del soggetto il profitto netto, mentre, ai fini impositivi, il soggetto stesso sarebbe costretto a vedersi valutato come base imponibile il reddito lordo.
Tutti questi rilievi sono stati portati all’attenzione dei giudici tributari, che hanno provveduto, dopo attento esame, a trasmettere gli atti alla Corte Costituzionale.199 La
Corte Costituzionale, tuttavia, ha trasmesso un’ordinanza (n. 73 del 3 marzo 2011) di inammissibilità e ritenuto non fosse necessario un proprio intervento, visto che nell’ordinanza di primo grado non vi era alcun cenno alla presunta incostituzionalità del provvedimento in giudizio.200
198 Cfr. A. MARCHESELLI, Spunti di riflessione sull’indeducibilità dei costi da reato, Dialoghi tributari, 2, 2009, p. 227.
199 Ci si riferisce qui alle ordinanze della Commissione tributaria provinciale di Terni, n. 161 del 11 novembre 2009 e di quella della Commissione tributaria regionale di Verona, n. 27 del 11 aprile 2011. 200 La Commissione tributaria provinciale di Terni aveva ritenuto illegittima la disposizione contenuta nel comma 4 bis per alcuni motivi sostanziali: innanzi tutto perché creava una disparità tra i reati penali e quelli amministrativi o civili; in secondo luogo determinava l’indeducibilità dei costi senza che vi fosse stato alcun avvio dell’azione penale, ma solo in base a un giudizio indiziario e per così dire quasi aprioristico; infine in terza battuta in relazione agli illeciti penali stabiliva la tassazione dei ricavi al lordo. La Commissione, pertanto, riteneva che la norma si ponesse in contrasto agli articoli nn. 3, 27 comma 2 e 53 della Costituzione. In dettaglio, come si è già accennato sopra, il principio di uguaglianza veniva leso in quanto l’indeducibilità di un costo da reato generava un’imposizione più elevata; quello di presunzione di non colpevolezza veniva contrastato dall’apparire, l’indeducibilità dei costi, come una sanzione indiretta e intempestiva, venendo comminata prima che si sostanzi definitivamente la condanna; quello della capacità contributiva era disatteso in considerazione del fatto che il reddito si trovava a crescere non in quanto crescevano i proventi, ma in quanto a questi venivano sostanzialmente aggiunti i costi negativi. La Commissione tributaria regionale di Verona aveva fatto analoghi rilievi, in particolare insistendo sulla capacità contributiva e sull’incongruenza tra la novella normativa e il TUIR che solo dispone la tassabilità al lordo di alcune tipologie reddituali.