L’INDEDUCIBILITÀ DEI COSTI DA REATO
3.5 Fatture soggettivamente e oggettivamente inesistenti
3.5.1 Le così dette “frodi carosello”
Le ragioni che possono determinare l’utilizzo, da parte di alcuni soggetti, di fatture fittizie possono essere di due tipi: la prima è la deduzione dei costi documentati dal reddito di impresa e l’abuso nella detrazione ai fini IVA del finto costo, la seconda è la possibilità di ufficializzare beni o servizi acquistati di contrabbando o da soggetti che non desiderano apparire in una transazione.232 Questa tipologia di reato è negli ultimi
anni diventata di grande attualità in quanto legata a un’ipotesi di reato che ha acquisito una notevole rilevanza: le così dette frodi carosello. Il caso più semplice è quello che coinvolge tre soggetti di cui uno residente in uno Stato dell’Unione Europea diverso da quello nel quale si perpetua il reato. Lo schema è il seguente: il primo soggetto effettua una cessione intracomunitaria di beni, perciò non imponibile ai fini IVA nel proprio Paese di residenza, verso il secondo soggetto, il quale cede con operazione interna i beni al terzo soggetto. A questo punto il secondo soggetto risulta debitore verso il proprio Paese dell’imposta sulla cessione di beni al terzo soggetto, ma invece di versare
232 Cfr. A. LOVISOLO, Operazioni soggettivamente inesistenti ed “inerenza soggettiva”: la Cassazione ribadisce
l’imposta, si rende irreperibile. Il terzo soggetto risulta a questo punto creditore verso il suo Stato dell’IVA e ne chiede il rimborso. Infine il terzo soggetto opera una cessione intracomunitaria a favore del primo soggetto; la frode è compiuta: il primo soggetto è rientrato in possesso dei suoi beni, ma ha consentito al terzo di ottenere il rimborso dell’IVA su un’operazione fittizia.233 Un primo aspetto da trattare nell’analisi di questo
reato riguarda le conseguenze che si producono in tema di IVA. La Cassazione riconduce questo ambito all’art. 21, comma 7 del D.P.R. 633/1972 secondo il quale in riferimento a operazioni inesistenti, l’IVA indicata in fattura deve essere interamente versata.234 Si
tratta qui di una riaffermazione del concetto di “cartolarità”, con il quale il legislatore, anche in altri ambiti, ha inteso dare indicazione che la forma deve prevalere sulla sostanza: il debito di imposta esiste in quanto riportato in un documento ufficiale, quale la fattura.235 La dottrina si è interrogata su questo principio: alcuni studiosi hanno
riconosciuto la natura sanzionatoria, altri hanno ritenuto invece potesse essere elemento imprescindibile del tributo. Su queste discussioni è intervenuta la Corte di Giustizia europea che ha negato con forza la funzione sanzionatoria della norma, ma ha ricondotto quest’ultima alla funzione che la fattura ricopre nel meccanismo di applicazione dell’imposta. L’art. 21, secondando questo pronunciamento, si costituisce come una norma volta alla salvaguardia dell’interesse fiscale, al contrasto della circolazione di documenti fiscali irregolari, dai quali è possibile determinare il diritto alla detrazione di imposta.236 Si è venuta consolidando una posizione, da parte della
233 Cfr. A. GULISANO, L. NISCO, Frodi carosello: ricostruzione del fenomeno e possibili strategie difensive, Corriere tributario, 13, 2011, p. 1071. Si noti che lo schema base qui descritto può essere complicato all’inverosimile anche con la partecipazione di soggetti estranei allo schema della frode. Le ragioni dell’allestimento della frode sono da ricercarsi nel tentativo di ottenere un vantaggio sui competitors, attraverso il mancato pagamento dell’IVA e pertanto con la conseguenza di poter commercializzare i prodotti a un prezzo inferiore.
234 Cfr. Cass. Civ. sez. V, 5 febbraio 2009, n. 2729.
235 Il principio è contenuto all’art. 203 della Direttiva 112/CE del 2006, art. 21, n. 1, lettera c) della VI Direttiva. Sulla questione si veda almeno F. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, II, Torino, 1991, p. 275,
nota 67. Sul fronte avverso invece M. LOGOZZO, Iva e fatturazione per operazioni inesistenti, Rivista di diritto tributario, 3, 2001, p. 287.
236 Cfr. Corte di Giustizia della Comunità Europea, 19 settembre 2000, causa C-‐454/98, Schmeinlk & Cofreth A. e Strobel. Sulla questione si vedano FILIPPI, Valore aggiunto (imposta sul), in Enciclopedia del
Diritto, XLVI, Roma, 1991, p. 164 e BECCARIA, Valore aggiunto (imposta sul), in Novissimo Dig. Italiano, p.
Corte di Cassazione, parecchio differente rispetto alla posizione della Corte europea, di assoluto diniego della detrazione dell’IVA rappresentata nelle fatture soggettivamente inesistenti. Questa previsione affonda la sua origine nel D.P.R. 633/1972, che, all’art 19, comma 1, riconosce il diritto alla detrazione di imposta al soggetto che, nell’esercizio della sua attività economica, ha posto in essere l’operazione. Secondo la Corte di Cassazione tanto le fatture soggettivamente che oggettivamente inesistenti non consentono la detrazione: per le prime manca la corrispondenza tra colui che mette in moto l’operazione e l’intestatario della fattura, per le seconde manca l’operazione. La giurisprudenza della Cassazione nega inoltre che l’indetraibilità dell’imposta si configuri come una violazione dell’art. 17 della direttiva 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, corrispondente all’attuale art. 168, lettera e), della direttiva 2006/112/CE, in cui è disciplinata la detraibilità dell’imposta pagata sugli acquisti, senza perciò far emergere il fatto che l’operazione ha avuto effettivamente luogo.237 Bisogna qui tenere a mente che,
diversamente da altri ambiti, in materia di IVA assume particolare rilievo il soggetto che ha emesso la fattura, viene perciò esclusa la detrazione dell’IVA per le operazioni soggettivamente inesistenti, nel caso in cui il soggetto che ha posto in essere l’operazione non sia un soggetto passivo, ma una persona fisica che non esercita l’attività di impresa. La questione della diatriba tra la Corte di Giustizia e la Corte di Cassazione è essenzialmente correlata all’art. 19 del D.P.R. 633/1972 che vincola il diritto alla detrazione dell’IVA al sussistere di due condizioni: l’aver effettuato gli acquisiti nell’ambito di una transazione economica e l’inerenza tra gli acquisiti effettuati e l’attività imprenditoriale.238 Nell’ambito delle operazioni soggettivamente inesistenti
appare evidente che queste due premesse sono rispettate: le operazioni vengono poste in essere da soggetti che hanno un’attività commerciale e hanno a oggetto beni correlati
237 Cfr. Cass. Pen. sez. III, 16 marzo 2010, n. 10394: Cass. Civ. sez. V, 26 febbraio 2010, n. 4750; Cass. Civ. sez. V, 20 gennaio 2010, n. 867; Cass. Civ. sez. V, 19 gennaio 2010, n. 735. Sembra che in tempi più recenti l’orientamento della Corte di Cassazione vada allineandosi a quello della Corte di Giustizia della Comunità Europea; si veda Cass. Civ. sez. V, 21 gennaio 2011, n. 1364.
238 I requisiti qui proposti rispondono all’esigenza di dare effettività al principio della neutralità dell’imposta: quest’ultima deve gravare sul consumatore finale e non sugli operatori economici e gli intermediari che operano nella produzione e distribuzione del bene. Negare la deducibilità dell’imposta assolta sugli acquisti, pertanto, appare un’importante censura al principio della neutralità. Sulla questione vedi M. BEGHIN, Le frodi IVA e il malleabile principio di neutralità del tributo, Corriere tributario, 19, 2010, p.
all’attività di impresa. Considerando questi spunti si comprende bene come si sia potuta sostenere la valenza sanzionatoria della norma: l’acquirente, infatti, viene sottoposto a sanzione solo per il fatto di aver partecipato a un’operazione fraudolenta. Tale indicazione costituisce un discostamento da quella che dovrebbe essere la soluzione principe del legislatore: la riscossione coattiva dell’imposta. Verso quest’ultima soluzione il legislatore si è mosso con l’art. 1, comma 386 della L. 30 dicembre 2004, n. 311 che ha aggiunto l’art. 60 bis al D.P.R. 633/1972. Quest’articolo introduce per alcune tipologie di beni, la compensazione nei confronti del versamento dell’imposta tra venditore e acquirente nel caso in cui i beni siano stati ceduti a un prezzo inferiore a quello di mercato.
Il giudizio della Corte di Giustizia della Comunità europea a riguardo è stato molto critico, questa infatti ha invitato a considerare, oltre alle ragioni già esposte, anche l’aspetto psicologico della buona fede dell’acquirente. Qualora infatti l’acquirente fosse in grado di dimostrare di aver agito in buona fede, mettendo in opera tutte le cautele che la norma gli richiede, non dovrebbe essergli negata la possibilità della detrazione di imposta.239 Appare evidentemente più complesso poter sostenere la totale estraneità
dell’acquirente nel caso delle così dette frodi carosello, che hanno la finalità proprio di costruire uno schema fraudolento al fine di alterare il regime di libera concorrenza e mercato. Per quello che concerne gli effetti di una fattura soggettivamente inesistente sulla determinazione del reddito di impresa, il problema può essere inquadrato nell’ambito della pretesa dell’Amministrazione finanziaria di correlare l’indetraibilità dell’IVA presente nella fattura soggettivamente inesistente con l’indeducibilità ai fini dell’imposta sul reddito del costo di acquisto dei beni nella fattura riportati. Questa affermazione è parecchio rischiosa in quanto stabilisce che un costo possa essere deducibile non solo quando rispetta i requisiti previsti dalla norma, ma solo a condizione che la fattura, che dà conto dell’operazione, sia regolare. Dal momento che l’utilizzo di fatture soggettivamente inesistenti si costituisce come attività criminosa,
239 Così la Corte di Giustizia della Comunità europea (cfr. Corte Giust. Comm. eur., ord. 3 marzo 2004, causa C-‐395/02) ha rilevato che è irrilevante “[…] stabilire se l’IVA dovuta sulle operazioni di vendita precedenti o successive riguardanti i beni interessati sia stata versata o meno all’Erario […]” e che (cfr. Corte Giust. Comm. eur., sent. 21 giugno 2012, cause riunite C-‐80/11 e C-‐142/11) è possibile negare il diritto alla detrazione dell’Iva solo se l’acquirente “[…] sapeva o avrebbe dovuto sapere che tale operazione si iscriveva in un’evasione commessa dal fornitore o da un altro operatore a monte […]”.
l’Amministrazione finanziaria poteva procedere al recupero a tassazione di tutti i costi rappresentati in fattura senza alcuna considerazione in merito alla loro inerenza con il lavoro d’impresa.240 Tale posizione, tuttavia, risulta suscettibile di rilievi, il primo dei
quali si riferisce alla deducibilità del componente negativo, per la quale è necessario fare riferimento all’art. 109 del TUIR, basandosi sul quale non è possibile escludere in modo certo l’interpretazione data dall’Amministrazione finanziaria. È necessario pertanto provare a spostare sul piano costituzionale l’interrogativo sollevato da quest’ultima:241 è
necessario considerare deducibili i costi, inerenti alle attività dell’impresa, che siano stati realmente sostenuti, tutto ciò per evitare che la tassazione colpisca un lordo che, inglobando anche i costi, inquadri una situazione di ricchezza assolutamente fittizia.242
Pur tuttavia se si ritorna alla previsione contenuta nell’art. 2 del Decreto legislativo n. 74/2000 si ha che il reato si determina secondo due diverse declinazioni: la prima consiste nell’utilizzo di fatture inesistenti per comprovare il sostenimento di un’attività che non è mai stata realizzata; la seconda nell’utilizzo delle stesse fatture ai fini della dichiarazione fiscale. Appare evidente che perché si determini il reato, deve esserci
240 Bisogna notare che in giurisprudenza non pochi sono stati i dubbi circa il campo di applicazione del comma 4 bis: secondo alcuni la disposizione doveva essere applicata a tutte le ipotesi di illecito penale ivi compresi i reati tributari (Comm. Trib. Prov. di Ravenna 10 dicembre 2008, n. 113); altri ritenevano che l’indeducibilità intervenisse solo allorquando i costi da reato si potessero riferire ad attività determinanti proventi illeciti (Comm. Trib. Reg. di Milano, 15 novembre 2010, nn. 102 e 103). La dottrina invece si è quasi esclusivamente attestata su posizioni di esclusione dei reati tributari dall’ambito dell’applicazione del comma 4 bis.
241 M. BEGHIN, L’interpretazione adeguatrice naufraga nelle perigliose acque del paradiso fiscale, Rivista di diritto tributario, 2, 2011, p. 210.
242 Andrà segnalato che su questo punto la Corte di Cassazione ha avuto un atteggiamento ondivago: così è riportato nella sentenza della Cass. Civ. sez. V del 24 luglio 2009, n. 17377: “[…] spetta invece al contribuente provare di non avere avuto consapevolezza della rilevante falsità, trattandosi di condizione necessaria al fine di ottenere la deduzione”. Di contro le sentenze della Cass. Civ. sez. V del 8 settembre 2006, n. 19353 e Cass. Civ. sez. V del 27 settembre 2011, n. 19786 in cui si è sostenuto che in ambito di imposte dirette i costi documentati da fatture soggettivamente inesistenti sono deducibili dal reddito di impresa ai sensi dell’art. 109 del TUIR. In questo caso, si badi bene, la deducibilità può essere concessa nel caso il contribuente dimostri che quei costi sono stati effettivamente sostenuti. Sulla questione si vedano: F. TUNDO, Deducibili i costi relativi a fatture soggettivamente inesistenti se certi, determinati e inerenti,
Corriere tributario, 48, 2011, p. 3972 e D. AVORIO, B. SANTACROCE, Ribadita la deducibilità dei costi
l’elemento soggettivo, che si sostanzia nel dolo specifico di evasione propria.243 In tempi
più recenti anche la Corte di Cassazione ha determinato che i costi rappresentati da fatture inesistenti,244 ma realmente sostenuti e inerenti all’attività di impresa, non
causano l’insorgere di un reato di utilizzazione di fatture inesistenti, non essendoci alcun fine di evasione.
In questo contesto deve essere letto anche l’intervento del legislatore che, con la sua disposizione del 2012, ha stabilito che in tema di fatture soggettivamente inesistenti, è corretto interpretare l’art. 109 del TUIR in modo estensivo: considerando deducibili i costi inscritti in fatture soggettivamente inesistenti.245 Anche la giurisprudenza si è
allineata a queste innovazioni: anzi tale principio è stato utilizzato anche per la risoluzione di controversie pendenti.246
243 In questo contesto il dolo di evasione non si sostanzia all’attuarsi dell’evasione in concreto, ma è sufficiente vi sia il solo pericolo di evasione, perché si configuri il reato. Su questo punto vedi F. T. COALOA,
Fatture soggettivamente inesistenti: finalità extra-‐tributaria e diversa rilevanza penale in materia di imposte sul reddito e di IVA, Rivista di diritto tributario, 9, 2010, p. 145.
244 Cfr. Cass. Pen. sez. III del 16 marzo 2010, n. 10394.
245 Così afferma il legislatore stesso nella relazione al disegno di legge di conversione del D.L. 16/2012: “Per effetto di questa disposizione, l’indeducibilità non trova applicazione per i costi e le spese esposti in fatture o altri documenti aventi analogo rilievo probatorio che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi, ferme restando le regole generali in materia di detrazione della relativa imposta sul valore aggiunto di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 e in tema di deduzione previste dal testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917; pertanto, ove nel caso, l’indeducibilità dei costi rappresentati in documenti emessi da soggetti che in tutto o in parte non hanno effettivamente posto in essere l’operazione, sarà, comunque, rilevabile per effetto delle altre disposizioni normative eventualmente applicabili e connesse ai requisiti generali di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità dei componenti negativi”.
246 Vedi quanto riportato dalla sentenza della Corte di Cassazione Civile, sez. V del 20 giugno 2012, n. 10167 che esclude l’applicazione del comma 4 bis alle frodi carosello: “Ciò significa che ai soggetti terzi […] coinvolti nelle frodi carosello non è più contestabile, alla luce della nuova norma, la deducibilità dei costi, in quanto i beni acquistati non sono stati utilizzati direttamente per commettere il reato, ma, nella maggior parte dei casi, per essere commercializzati, venduti”.