LA TASSAZIONE DEI PROVENTI DA ATTIVITÀ ILLECITA
2.1 Le prime teorie pro e contro la tassabilità dei proventi di natura illecita
2.1.2 La dottrina contraria
Fin dalle posizioni primo novecentesche la dottrina contraria alla tassazione dei proventi di natura illecita si è interrogata e mossa nel campo della perimetrazione del concetto di reddito e proprio lì sono state rinvenute le basi teoriche a sostegno della non tassabilità dei proventi di natura illecita: se la definizione di reddito, infatti, non può prescindere dalle norme e dai principi generali del nostro ordinamento, appare evidente che non si può non assegnare al reddito un significato giuridico, dal che deriva l’impossibilità di accogliere tra i redditi tassabili, quelli per i quali in qualche modo si sia ricorsi in atti illeciti. Questa teoria fin da subito è apparsa molto tranchant e di difficile applicazione, pur tuttavia, dopo un periodo di crisi, è emerso un orientamento che riteneva opportuno tassare tutti quei proventi derivanti da attività che potevano configurare un illecito civile o amministrativo, mentre perdurava il rifiuto di ammettere a tassazione i proventi che si costituivano come reati penali. Appare scontato che i proventi derivati da un illecito civile debbano rientrare nella base imponibile,80 in
79 Si ricorda a proposito della capacità contributiva che quanto disciplinato dall'art. 53 della Costituzione promana da quanto era già presente all'articolo 25 dello Statuto Albertino.
80 Si deve considerare che, nel caso di illeciti contrattuali, il creditore potrà richiedere il risarcimento del danno o la restituzione dell’indebito, al soggetto che non adempie a un’obbligazione, il cui patrimonio ha perciò subito un incremento; nel caso di illeciti extracontrattuali la questione appare simile e, nonostante
quanto l’obbligazione risarcitoria determina solamente l’entità del reddito formatosi e non ne impedisce la formazione. Più semplice appare la questione relativa alla dimostrazione della formazione di un reddito tassabile nel caso in cui risulti applicabile il principio della soluti retentio. 81
Per quanto riguarda gli illeciti amministrativi, sia la dottrina che la giurisprudenza erano concordi nell’affermare la possibilità che i redditi da essi provenienti dovessero essere tassati, in quanto la mancanza delle autorizzazioni o licenze prescritte non elimina in nessun modo la percezione del compenso per la prestazione data. Pertanto appare evidente che la possibilità o meno di tassare i proventi derivati dai diversi tipi di illecito dipende dal fatto che quelli penali, a differenza degli altri, sono del tutto contrari al sistema. Per molti anni la principale motivazione per sostenere la non tassabilità dei proventi da reato ha poggiato sostanzialmente su questa paradigma.
Una posizione più articolata, ma sempre nella linea della negazione della possibilità di imposizione fiscale per il pretium sceleris è quella di Falsitta che compie un'analisi molto approfondita delle diverse forme di illecito suddividendole in categorie innovative. In questo modo l'autore esce dall'impasse, legata all'assenza di determinazioni interne, e quindi dal vincolo che la giurisprudenza precedente aveva avuto di un concetto assoluto e, pertanto poco malleabile, di illecito. Falsitta quindi identifica quattro categorie di illecito: attività civilmente illecite, attività illecite in quanto contrarie a norme di polizia, attività illecite in quanto contrarie a norme fiscali, attività penalmente illecite.82 Nella
spesso il danno arrecato a un soggetto terzo sia sanzionato anche penalmente, permane comunque l’obbligazione civilistica e in ragione di ciò non è possibile determinare con sicurezza se gli effetti risarcitori saranno sufficienti a impedire la formazione di un incremento nel reddito del soggetto che ha compiuto l’illecito.
81 Il principio della ripetizione dell’indebito, sancito all’articolo 2035 del codice civile, prevede che il soggetto che porta a termine un adempimento, senza che questo sia preceduto dall’esistenza di un debito, ha diritto alla prestazione non dovuta. Tuttavia, nel caso che la finalità di quest’ultima fosse un atto contrario alla morale, ovvero in linea di massima non dovuta, non si ha diritto a richiedere la ripetizione di quanto pagato. Si noti che, dal momento che quanto pagato entra giuridicamente nel patrimonio di colui che ha compiuto l’illecito, l’arricchimento conseguente deve essere trattato alla stregua delle altre forme di implementazione della ricchezza.
82 Cfr. G. FALSITTA, Le plusvalenze nel sistema dell'imposta mobiliare, Milano, 1966. Dello stesso autore vedi anche: ID., La tassabilità dei redditi da attività delittuosa, Diritto pratico tributario, 1994, I; ID., Ecco come si
tassano i proventi da reato, Rivista di diritto tributario, 1995, II; ID., La tassazione dei proventi da reato
prima categoria rientrano tutte quelle attività che si pongono al di fuori dell'ordine morale, del buon costume e dell'ordine pubblico. La seconda categoria è quella delle attività lecite, ma condotte illecitamente in quanto i soggetti che compiono l'atto lecito lo fanno in assenza di licenza o di autorizzazione specifica. Queste attività, infatti, determinano un illecito amministrativo: la mancanza di autorizzazione configura un illecito contro la Pubblica Amministrazione, non nei confronti di terzi per i quali non vi è illiceità nello svolgimento dell’attività. La terza categoria è costituita da atti illeciti che si pongono in contrasto con interessi dello Stato, per cui colui che compie l'illecito viene sottoposto sia a sanzione penale che al pagamento dei tributi non versati. All’interno di questa categoria è possibile operare una bipartizione tra le attività che sono illecite e quelle che sono intrinsecamente lecite. Se per le prime l’attività è illecita e quindi suscettibile di essere equiparata alle attività censurate dal codice penale, nelle ultime l’illecito si riferisce al mancato pagamento del tributo, ma rimane separato dall’attività economica svolta. La quarta categoria, infine, è rappresentata da quegli illeciti che si configurano come reati. Le prime tre categorie sono da considerarsi, a giudizio dell'autore, come tassabili, mentre la quarta, configurandosi in toto illecita non può configurarsi come base imponibile. Falsitta giunge anche a teorizzare che il legislatore fiscale avrebbe adottato, pur senza dichiararla e nemmeno utilizzandola appieno, la teoria economica del "reddito prodotto", infatti ogni categoria reddituale si connota per essere connessa in modo molto stretto a una specifica fonte di produzione del reddito. Alla luce di questa teoria appare evidente che l'impiego di un capitale, se costituito da mezzi finanziari, produce redditi di natura incasellabile nella categoria dei redditi di capitale; se l'impiego è di beni materiali, determina redditi fondiari; se impiega il lavoro umano, dà origine a redditi da lavoro autonomo o dipendente; se nasce dall'utilizzo di capitali e lavoro, conduce alla formazione di redditi di impresa; se, pur nascendo da capitali e lavoro, conserva o manca di una caratteristica peculiare delle altre categorie, allora produce redditi diversi.
Un'altra posizione differente da quella di Falsitta, ma ugualmente contraria alla tassazione dei proventi da natura illecita è quella di Croce che ritiene che l'assoggettamento alla tassazione di tali proventi avrebbe come conseguenza la legittimazione della differenza tra profitto illecito e imposta, all'interno del patrimonio
Corte di Cassazione nel sistema della giustizia tributaria: bilancio e prospettive ad un anno dalla sua istituzione", Rassegna tributaria, 4, 2001.
del soggetto che ha compiuto il reato.83 L'ordinamento giuridico ha creato delle
condizioni e delle avvertenze per evitare che l'autore di un atto illecito potesse rimanere in possesso della fortuna che tale reato gli ha causato. È noto che tali misure sono: la restituzione, il pagamento delle somme, la confisca e il risarcimento del danno; l’applicazione di questi istituti ha la funzione di privare l’autore del reato della disponibilità dell’arricchimento illecito, impedendo, in tale modo, che questi possa usufruire di un profitto, ed escludendo la possibilità per la formazione del tributo.84
Anche Bellini si è mosso da premesse leggermente differenti per arrivare alle medesime soluzioni. Leggendo in combinato disposto gli artt. 1173 e 2043 del Codice civile e 185 e 189 del Codice penale, infatti, l'autore approda all'obbligo del risarcimento, in questo modo facendo uscire la questione dal novero delle questioni connesse alla produzione del reddito. Il quantum prodotto, infatti, "non potendo assolutamente entrare de iure nella sfera patrimoniale del soggetto agente (cioè nella sua disponibilità giuridica) non può assumersi come figura di incremento di patrimonio che costituisce la figura economica del reddito e, di conseguenza, il presupposto dell'imposizione tributaria".85
Tale posizione discende dal fatto che nel nostro ordinamento la sanzione e l'imposta hanno due finalità differenti: la prima ha lo scopo di prevenire e reprimere, la seconda di attuare il prelievo al fine di redistribuire il reddito.
Una tesi più innovativa,86 originatasi in modo autonomo presso alcuni studiosi sul finire
degli anni Novanta, è quella per cui i redditi da proventi illeciti, legandosi all’istituto della confisca, che consente l’eliminazione del reddito imponibile con la conseguenza di impedire l’insorgenza dell’obbligazione tributaria si suddividono in tre diverse categorie: la prima delle quali è quella dei redditi che originano da attività in sé lecite, che in mancanza delle autorizzazioni prescritte, danno origine ad atti illeciti ai quali non
83 Cfr. D. CROCE, In tema di illecite attività, falsa fatturazione e frodi petrolifere, intassabilità dei relativi
proventi, Bollettino tributario, 10, 1982, p. 769.
84 Si tratta delle misure di cui al Codice Penale, artt. 185, 191 e 240; e di cui al Codice Civile art. 2043. In particolare è la confisca, di cui si parlerà oltre, a essere centrale nella lotta dello stato contro alcuni comportamenti illeciti: attraverso l'espropriazione e l'alienazione a favore dello Stato di un bene, ottenuto o correlato a un'attività illecita; questo intende dissuadere altri dal compiere il medesimo reato.
85 Cfr. F. BELLINI, Fatto illecito ed imposizione tributaria, Bollettino tributario di informazioni, 1985, pp. 1112.
86 Si tratta delle posizioni di P. BORIA, La tassazione delle attività illecite, Rivista di diritto tributario, 1991 e G. BERSANI, Tassazioni e redditi derivanti da attività illecita, Rassegna tributaria, 1990.
è applicabile la confisca penale, non costituendosi come reati. Gli atti illeciti che non costituiscono reati, ma bensì illeciti amministrativi e sono perciò assoggettati a confisca amministrativa di cui all’articolo 20 della L. 689/1981, confluiscono nella seconda categoria. La terza categoria, invece, comprende quei proventi da attività che si configurano come reati e che, perciò sono soggetti a confisca facoltativa od obbligatoria. Mentre i redditi della prima categoria sono tassabili, per quelli che configurano un reato è necessaria la verifica che il reddito sia soggetto a confisca facoltativa perché profitto del reato od obbligatoria in quanto prezzo del reato. Gli autori infatti ritengono che per i primi la tassazione possa esservi in quanto l'applicazione della confisca dipende dalla discrezionalità del magistrato, nel secondo caso deve essere esclusa nel modo più assoluto. Un'altra linea di pensiero che esclude la tassazione dei proventi illeciti risiede nella convinzione che, nel caso lo Stato decidesse di tassare anche questi proventi, allora in un certo senso si renderebbe colpevole di favoreggiamento o anche di ricettazione.87
Con il D.P.R. del 29 settembre 1973, n, 537 il legislatore ha introdotto per la prima volta88 delle norme che hanno potuto consentire, se non di conoscerne l'intenzione,
almeno di cominciare a fare chiarezza sugli intenti delle sue azioni. Infatti nell'articolato del decreto e in modo particolare all'art. 1 e all'art. 80 il legislatore ha fornito alcuni elementi utili a circostanziarne il pensiero. L'art. 1 ha definito come presupposto dell'imposta sul reddito delle persone fisiche: "[...] il possesso di redditi, in denaro o in natura, continuativi od occasionali, provenienti da qualsiasi fonte",89 mentre all'art. 80
ha stabilito che "alla formazione del reddito complessivo [...] concorre ogni altro reddito diverso da quelli considerati dalle disposizioni del presente decreto". Proprio per la
87 Ai sensi degli artt. 379 e 648 del Codice penale. Tale è la tesi di P. DELL'ANNO, R. TITO, I reati tributari in
materia di imposte e Iva, Milano, Giuffrè 1992.
88 Si veda quanto scritto dalla Commissione Centrale, sez. II, 3 marzo 1965, n. 74027, in Giur. Imp. 1967, p. 29: “Nel nostro ordinamento tributario non sussiste alcuna norma di legge che escluda dalla tassazione i redditi derivanti da eventuali attività illecite giacché ai fini dell’imposizione assume rilievo determinante solo il fatto economico della percezione del reddito indipendentemente dal rapporto giuridico sottostante e dell’eventuale esercizio dell’azione penale connessa al fatto medesimo”.
89 Tale previsione era già echeggiata nell’art. 81 de D.P.R. 645 del 29 gennaio 1958 che disponeva, in relazione all’imposta sui redditi di ricchezza mobile: “Presupposto dell’imposta è la produzione di un reddito netto, in denaro o in natura, continuativo od occasionale, derivante da capitale o da lavoro o dal concorso di capitale e lavoro, ovvero derivante da qualsiasi altra fonte non assoggettabile ad alcune delle imposte previste nei Titoli secondo, terzo e quarto”.
natura ancora non chiara in merito all'inclusione o meno dei proventi da natura illecita all'interno della base imponibile, alcuni studiosi e una parte della giurisprudenza ritennero che l'indicazione degli articoli summenzionati non consentisse di far propendere per l'una o l'altra posizione; considerando sottintesa l’espressione “purché leciti” agli artt. 1 e 80, tali studiosi affermano la non idoneità dell’arricchimento prodotto dall’attività illecita alla costituzione di reddito fiscalmente rilevante.90
Deve essere infine ricordato che tale teoria ha ritenuto che potesse essere segnato un punto a suo favore quando è stato emanato il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 nel quale l'indicazione "da qualsiasi fonte" viene cassata e all'indeterminatezza dell'art. 80 viene opposta la fitta casistica dell'art. 67. Andrà tuttavia notato che l'elencazione fornita dal legislatore all'art. 67 abbia un carattere esemplificativo, in quanto, in sua mancanza avrebbe potuto generarsi la possibilità che tutti i redditi potessero configurarsi come assoggettabili all'imposta. 91