L’INDEDUCIBILITÀ DEI COSTI DA REATO
3.2 Rilevanza dei costi illeciti nel reddito
3.2.1 Influssi internazionali
Prima di procedere con l’esame dei diversi provvedimenti legislativi che hanno interessato la questione oggetto del presente capitolo è opportuno verificare gli stimoli internazionali che hanno affiancato e a volte determinato le scelte del legislatore. Nel 1994 l’OCSE ha intrapreso un’attività molto diffusa e capillare per la lotta alla corruzione nelle transazioni internazionali, ritenute a ragione elementi di perturbazione del
Imposizione ed extrafiscalità nel sistema costituzionale, Napoli, 1973; MAFFEZZONI, Imposta, in Enciclopedia
del Diritto, Milano, 1970 e più recentemente RUSSO, Manuale di diritto tributario, Milano, 1999.
163 Si vedano le Commissioni centrali del 4 luglio 1983 o quella del 21 marzo 1994, quest’ultima in Rassegna tributaria, 1995, p. 1975 con nota di L. CARPENTIERI, La “morale” degli uffici e della giurisprudenza
sulla deducibilità delle sanzioni dal reddito d’impresa. In quest’ultima si legge che la sanzione si configura
come una: “imposizione relativa alla trasgressione di norme civili, penali, amministrative […] non può quindi paradossalmente ricondursi a un comportamento incrementativo della situazione patrimoniale”. La Cassazione, con sentenza n. 7071 del 29 maggio 2000, ha preso una posizione ancora più netta, dichiarando che deve essere escluso ogni collegamento tra costo e reddito, in quanto i costi finalizzati alla commissione di un illecito devono essere considerati in linea di principio indeducibili e in più affermando che “va respinto, in omaggio al principio della responsabilità personale, il richiamo alla presunta connessione tra l’illecito dell’imprenditore civile e l’esercizio dell’attività d’impresa da imputare alla società”.
normale regime concorrenziale e come tali capaci di agire pesantemente sulle condizioni politiche e sociali degli Stati. Il primo provvedimento, lo si è visto, è la Raccomandazione del Consiglio del 11 luglio 1994 nella quale il Consiglio solleva la questione urgente dell’adozione di misure finalizzate al contrasto della corruzione dei funzionari pubblici degli Stati.164 Tale raccomandazione si può ben spiegare alla luce del fatto che molti
Stati, dove pure la corruzione interna era considerata un reato, non disponevano di un’apposita normativa che disciplinasse la corruzione di un funzionario estero, in tal modo non consentendo il perseguimento di quel reato. Proprio per evitare che questa fattispecie di reato, molto insidiosa come si è detto, potesse sfuggire al controllo degli Stati membri, l’OCSE ha adottato due Raccomandazioni e una Convenzione multilaterale. La prima delle Raccomandazioni è stata adottata dal Consiglio in data 17 aprile 1996 e si occupa in maniera esclusiva di materia tributaria, giungendo al riconoscimento dell’imposta come elemento fondamentale nell’influenzare i comportamenti dei soggetti economici.165 Il Consiglio nella raccomandazione invita gli Stati membri a dotarsi di una
normativa fiscale che renda indeducibili i costi per il pagamento di tangenti sborsate a favore di funzionari pubblici stranieri che vengano corrotti nell’ambito di transazioni commerciali internazionali.166 La Raccomandazione è stata in breve tempo fatta propria
da molti Stati, Italia compresa, dove tuttavia non si è operata alcuna modificazione dell’impianto normativo, in quanto, si è detto, la giurisprudenza italiana già si muoveva in questa direzione. La seconda Raccomandazione assunta dal Consiglio in data 29 maggio 1997, oltre a sollecitare gli Stati all’attuazione della precedente raccomandazione, si occupa in particolare di aspetti penali, invitando gli Stati a modificare i propri assetti legislativi al fine di rendere le pene per la corruzione di
164 La Raccomandazione C(94)75/FINAL è reperibile sul sito internet www.oecd.org.
165 C(96)27/FINAL reperibile sempre sul sito www.oecd.org. La preoccupazione principale che ha mosso l’OCSE nei confronti dell’intervento in questione è stata determinata dalla necessità di superare gli ostacoli frapposti dalle diverse normative di riferimento alla collaborazione internazionale contro la corruzione transnazionale, mancando nel mondo occidentale (con l’eccezione degli Stati Uniti che hanno adottato il Foreign Corrupt Practices Act) l’equiparazione tra funzionario straniero e locale ai fini della contestazione dei reati.
166 Cfr. la “Recommendation of the Council on the tax deducibility of bribes to foreign public officials” in cui si legge: “Recommends that those Member countries which not disallow the deducibility of bribes to foreign public officials re-‐examine such treatment with the intention of denying this deducibility. Such action may be facititated by the trend ti treat bribes to foreign public officials as illegal”.
funzionari stranieri uguali a quelle previste per i funzionari interni allo Stato.167 Tali
raccomandazioni, lungi dall’avere solo l’intento di prevenire, controllare ed estirpare il fenomeno, costituiscono anche per l’Italia una spinta, verso l’utilizzo in funzione repressiva, dell’imposizione tributaria.168
L’intervento principale e più articolato è rappresentato dalla Convenzione multilaterale del 21 novembre 1997 “Convention on combating bribery of foreign public officials in international business transactions”, ratificata dall’Italia con legge n. 300 del 29 settembre 2000. La convenzione prevede in modo esplicito che la corruzione di un funzionario straniero sia considerata un reato e obbliga gli stati firmatari ad adoperarsi per la predisposizione di sanzioni amministrative e penali al fine di contrastare tale fenomeno. Per poter ottemperare alle disposizioni previste dall’OCSE nella sua Convenzione molti stati, tra i quali l’Italia, hanno dovuto predisporre degli strumenti atti all’equiparazione del funzionario straniero con quelli interni, non essendo tale fattispecie prevista nell’ordinamento nazionale.
167 C(97)123/FINAL reperibile analogamente sul sito www.oecd.org.
168 Sulla questione si veda A. MARCHESELLI, La questione della deducibilità dei c.d. “costi illeciti” al crocevia
tra la l. n. 537 del 1993 e le Raccomandazioni OCSE, Diritto e pratica tributaria, Diritto pratico tributario,
3.3 Dalla Legge 537/1993, art. 14, comma 4 all’introduzione del comma 4 bis con la Legge 289/2002, art. 2, comma 8
La disciplina relativa al trattamento fiscale alla quale devono sottostare i proventi illeciti è stata introdotta nell’ordinamento attraverso l’articolo 14 della Legge 24 dicembre 1993, n. 537 che ha stabilito l’indeducibilità dei costi e delle spese che potevano essere in qualche modo ricondotti ad attività illecite sul piano amministrativo, civile o penale. L’indeducibilità ha tuttavia determinato, fin dalla sua introduzione, un dibattito piuttosto acceso determinato dal problema interpretativo che la norma generava in relazione alla determinazione dei presupposti necessari per l’applicazione della norma stessa. Tale norma, infatti, ha portato all’attenzione in primis la questione del suo profilo costituzionale, essendo stata ritenuta in più punti contrastante con i principi costituzionali, ma soprattutto è stata sottoposta alle critiche incrociate di chi l’ha tacciata di genericità intrinseca e di chi l’ha ritenuta troppo vaga nel suo tentativo di comprendere l’intera classificazione di illeciti. L’art. 14 comma 4 della L. 537/1993 stabilisce che possano entrare a far parte della base imponibile tutti quei redditi, derivanti da illeciti di ogni tipo, che si debbano determinare secondo le categorie del TUIR. Per tale articolo, quindi, non è rilevante la fonte illecita del provento, ma solo il suo costituire un aumento del reddito del soggetto: la tassazione dei proventi, infatti, si configura come una norma tributaria sia per quello che concerne i suoi presupposti, sia per quanto riguarda gli effetti.169 Un primo problema sorto, lo si è visto nel capitolo
precedente, è stato quello inerente l’applicabilità della norma ai proventi rientranti nelle categorie dei redditi previste dall’art. 6 del TUIR, in particolare ci si è chiesti se tale applicabilità dovesse essere operata indistintamente. Si è poi visto che il legislatore ha ritenuto che l’imposizione fiscale potesse operare solo laddove i proventi non fossero stati sottoposti a confisca o sequestro e soprattutto era necessario che il provvedimento ablatorio fosse effettivo e che fosse stato emanato nel medesimo periodo d’imposta nel quale i proventi si erano realizzati.170 L’attenzione riservata ai componenti positivi del
169 Cfr. F. TESAURO, Indeducibilità dei costi illeciti: profili critici di una norma di assai dubbia costituzionalità, Corriere tributario, 6, 2012, p. 426.
170 Cfr. G. PUTZU, L. GALLUCCIO, Nuovo regime impositivo dei proventi illeciti e dei costi da reato, in Guida ai
reddito ha avuto uno speculare contro altare in quella relativa alle componenti negative. Con la legge finanziaria n. 289 del 27 dicembre 2002, art. 2, comma 8, il legislatore infatti ha stabilito l’indeducibilità anche per i costi e le spese relative a illeciti penalmente rilevanti: viene in tale modo aggiunto il comma 4 bis alla L. 537/1993 che costituiva la controparte del comma 4.