L’INDEDUCIBILITÀ DEI COSTI DA REATO
3.5 Fatture soggettivamente e oggettivamente inesistenti
3.5.2 Fatture oggettivamente inesistenti
Le fatture oggettivamente inesistenti si differenziano da quelle soggettivamente inesistenti per il fatto che nel primo caso non c’è stata alcuna operazione, la fattura fotografa per così dire una realtà inesistente. Molte sono le ragioni che conducono all’utilizzo di fatture oggettivamente inesistenti, ma innanzi tutto deve essere annoverata la volontà di coprire un transito di denaro quale quello che viene scambiato nel riciclaggio o nell’elargizione di tangenti, oltre alla possibilità che viene concessa all’acquirente di detrarre l’Iva e il costo di acquisto rappresentati nel documento. Per queste fattispecie di reato valgono molte delle considerazioni fatte in sede di discussione delle fatture soggettivamente inesistenti, primo tra tutti il richiamo all’art. 2 del D. Lgs. 74/2000. Di nuovo verranno analizzate separatamente le implicanze ai fini IVA da quelle sull’imposta sui redditi.
Per quanto concerne la detrazione dell’IVA rappresentata in fattura, alla stregua di quanto raccomandato dalla Corte di Giustizia della Comunità europea, la prima circostanza che deve esserci è l’inesistenza totale o parziale dell’operazione commerciale rappresentata in fattura. In considerazione del fatto che lo scopo dell’emissione di una fattura oggettivamente inesistente è compiere una frode nei confronti dell’Erario, appare evidente che per l’acquirente l’IVA non potrà mai essere detraibile, mentre sarà interamente dovuta da parte del cessionario, secondo quanto disciplinato dall’art. 21, comma 7, del D.P.R. 633/1972. Questa conclusione è suffragata dalla considerazione che l’acquirente non potrà mai fornire una prova oggettiva del suo essere estraneo alla frode, non potendo, in ragione di ciò, fare ricorso adducendo la sua ignoranza circa l’esistenza della frode.247
A una conclusione analoga si giunge anche considerando il costo e la sua possibile deduzione. In questa circostanza si deve richiamare quanto disciplinato all’art. 109 del
247 Spetta all’Amministrazione Finanziaria l’onere della prova dell’inesistenza dell’operazione e quindi della fattura. Pur tuttavia sembra invasa nella giurisprudenza la circostanza del ritenere che all’Agenzia delle Entrate sia sufficiente fornire elementi sufficienti e atti a far sorgere il dubbio circa il carattere fittizio dell’operazione. Sulla questione vedi: G. ZIZZO, Incertezze e punti fermi in tema di frodi carosello,
Corriere tributario, 12, 2010, p. 962; in giurisprudenza si vedano Cass. Civ. sez. V del 7 ottobre 2002, n. 14337 e Cass. Civ. sez. V del 19 ottobre 2007, n. 21953.
TUIR, dal quale appare chiaro che il costo, rappresentato nella fattura oggettivamente inesistente, non potrà mai essere considerato deducibile, in quanto inesistente. È noto che le operazioni inesistenti principiano da “cartiere” che, a fronte dell’emissione di fatture, non provvedono né a registrarle, né tantomeno a valutarne i componenti negativi per l’autoliquidazione dell’imposta (circostanza tutt’altro che reale). Pur tuttavia ci può essere il caso nel quale il soggetto che produce il ricavo fittizio abbia un interesse, in genere extra-‐fiscale, a considerare i ricavi derivanti da operazioni cartolari per la determinazione dell’imposta sui redditi. Al verificarsi di tali ipotesi ci si deve chiedere se in sede di accertamento i ricavi debbano essere disconosciuti e quindi detratti dalla base imponibile dell’imposta sul reddito. Il tema ha fornito lo spunto all’Agenzia delle Entrate per un intervento nel quale ha affermato che concorrono alla formazione della base imponibile anche i ricavi inesistenti.248 Anche la giurisprudenza si
è accordata alla posizione dell’Amministrazione finanziaria, che ha ritenuto tassabili i ricavi suddetti proprio sulla base dell’art. 21, comma 7 del D.P.R. n. 633/1972.249 La
Corte di Cassazione ha sostanzialmente verificato che esiste una sorta di interdipendenza tra la base imponibile delle imposte dirette e quella del valore aggiunto: alla luce di questo legame, laddove c’è imponibilità ai fini IVA in una fattura, lì il ricavo deve essere assoggettato ai fini delle imposte sul reddito. Tale interpretazione, tuttavia, risulta scarsamente condivisibile: in materia di IVA infatti impera il principio della cartolarità, mentre nelle imposte dirette il principio che regge il sistema è l’effettività dell’operazione compiuta.250
248 La Circolare 271/E del 21 ottobre 1997 stabilisce che concorrono“[…] alla formazione della base imponibile i ricavi fatturati ma inesistenti, nella considerazione che il potere di rettifica è conferito al Fisco per recuperare a tassazione ricavi non evidenziati e non già per procedere a correzione della dichiarazione nell’interesse del contribuente, talché la contabilizzazione di oneri inesistenti impone la rettifica mentre la dichiarazione di ricavi fittizi non è presupposto di tale potere”.
249 Cfr. la sentenza della Cass. Civ. sez. V, 1 giugno 2007, n. 12918.
250 Alla luce di questa considerazione il principio di effettività deve essere “[…] esteso a tutti i componenti del reddito stesso, anche perché una tale limitazione non si rinviene in alcuna norma disciplinante il reddito di impresa o l’accertamento”, cfr. F. ARDITO, Emissione di fatture per operazioni inesistenti e
componenti positivi di reddito, Rassegna tributaria, 4, 2007, p. 1269. Si deve qui considerare che anche
l’Amministrazione finanziaria è in parte tornata indietro sulle proprie considerazioni. In questo senso va la Circolare n. 32/E del 3 agosto 2012 che focalizza l’attenzione sulla “[…] inesistenza dei ricavi o dei compensi dichiarati dal contribuente strettamente e direttamente correlati ai componenti negativi relativi
Pur mantenendo una posizione sostanzialmente stabile non sono mancati casi in cui l’Amministrazione finanziaria ha considerato valida l’applicazione della previsione contenuta nel comma 4 bis dell’art. 14 della Legge n. 537/1993 alla fattispecie di reato di cui all’art. 2 del D. Lgs. n. 74/2000. 251
Si deve poi considerare che non appena emanato il D.L. n. 16/2012 l’attenzione degli interpreti si è focalizzata sui possibili collegamenti tra i primi tre commi dell’art. 8 del decreto summenzionato. Per quanto concerne il rapporto tra i primi due commi, la questione è stata quella relativa alle maggiori garanzie previste dal nuovo comma 4 bis rispetto al sorgere della contestazione di indeducibilità e in particolare sulla possibilità o meno di applicare queste garanzie estese alle contestazioni aventi per tema le fatture oggettivamente inesistenti. Tale problema nasce dalla lettura che si può fare dei commi, lettura che può essere combinata o disgiunta.252 Un ulteriore problema è dato dalla
possibilità di applicare la sanzione retroattivamente in forza delle presenza nel terzo comma di un espresso riferimento alla norma precedente, che non dovrebbe riferirsi ai
a beni e servizi dallo stesso non effettivamente scambiati o prestati, non considerando, in sede di accertamento, i componenti positivi direttamente afferenti a detti componenti negativi indeducibili”. 251 Proprio in questa direzione si muove anche il legislatore che ha espunto le fatture oggettivamente inesistenti dall’ambito di applicazione del comma 4 bis. L’art. 8, comma 2 del Decreto Legge n. 16/2012 introduce una sanzione specifica pari a un importo compreso tra il 25 e il 50 per cento della somma delle spese o dei componenti negativi che si riferiscono a beni e servizi non scambiati in realtà e inseriti nella dichiarazione dei redditi. Tale norma, di natura procedimentale, ha lo scopo di impedire che in sede di verifica fiscale possano essere tassati i ricavi derivati da acquisti non avvenuti in realtà. Si deve riportate qui l’indicazione che taluni autori non ritengono che la norma abbia valore procedimentale; per questi studiosi, infatti, la norma rappresenta una deroga alle norme inserite nel TUIR, in quanto prevede che non tutti i ricavi concorrano alla formazione del reddito imponibile. Sulla questione vedi A. MANZITTI, M. FANNI,
L’indeducibilità dei “costi da reato”: quando la soluzione genera (potenziali) nuovi problemi, Corriere
tributario, 25, 2012, p. 1906; mentre su un diverso versante si muovono B. SANTACROCE, D. PEZZELLA, Il
decreto sulle semplificazioni fiscali prova a fare chiarezza sull’indeducibilità dei costi da reato, Corriere
tributario, 13, 2012, p. 926.
252 Anche qui la dottrina non è concorde: la lettura congiunta dei due commi comporta l’estensione delle tutele dell’art. 4 bis anche alle fatture oggettivamente inesistenti; la lettura separata dei due commi, invece, conduce a ritenere che tali garanzie non si applichino alla fattispecie qui presentata, anche in relazione al diverso capo di applicazione dei due commi: il primo riferito alle componenti negative del reddito, il secondo a quelle positive.
casi dei costi rappresentati da fatture soggettivamente inesistenti.253 Pertanto la nuova
sanzione amministrativa in tema di fatturazione oggettivamente inesistente è applicabile anche a fattispecie commesse prima dell’entrata in vigore della norma a patto che ciò risulti più favorevole per il contribuente.
Si può affermare che i diversi interventi del legislatore in materia di indeducibilità dei costi da reato hanno avuto due direttrici principali: da un lato censurare i comportamenti fraudolenti legati ai delitti non colposi, dall’altro cercare di armonizzare ai principi costituzionali, in primis quello di capacità contributiva, le norme che, via via introdotte, presentavano dei profili dubbi sotto questo punto di vista. Alla luce di questo si comprende perché le modifiche apportate con il D.L. 16/2012 appaiano così rilevanti e innovative rispetto alla disciplina previgente e alle interpretazioni che la giurisprudenza e la dottrina avevano dato a questa nel tentativo di farle superare indenne i tanti dubbi di interpretazione e applicabilità. In questo senso la determinazione maggiormente circostanziata e il riferimento specifico ai reati interessati dalla norma comportano la necessità di riferirsi alla commissione di un reato e non più e solo a una generica possibilità di instaurare un rapporto di qualunque tipo tra costo e reato. Anche sul fronte delle operazioni soggettivamente inesistenti la novella normativa ha fornito importanti spunti: la loro esclusione dalla norma e la loro deducibilità ai sensi dell’art. 109 del TUIR rappresenta un passo importante nella sistemazione di una normativa non sempre limpida.
Ciò non significa che l’introduzione della nuova norma abbia risolto tutte le perplessità: come si è detto la questione dell’innesco dell’azione penale non identifica ancora il momento nel quale si riconosce la rilevanza penale del fatto oggetto di indagine. Ciò, anche in ragione dei differenti tempi del processo penale e del processo tributario, oggetto del prossimo capitolo.
253 Cfr. art. 8, comma 3, D.L. 16/2012: “[…] in luogo di quanto disposto dal comma 4 bis dell’art. 14 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, previgente […]”.
Capitolo IV