I RAPPORTI TRA PROCEDIMENTO PENALE E PROCESSO TRIBUTARIO
4.1 I tentativi di riforma del sistema penale tributario
4.1.1 Excursus storico
Il diritto penale tributario costituisce un ambito tutt’altro che trascurabile nell’ordinamento giuridico italiano ed è stato oggetto, nell’ultimo secolo, di tentativi più o meno riusciti di una sistemazione organica. Il primo di questi è stato compiuto in epoca fascista con la Legge n. 4 del 7 gennaio 1929 l’intento della quale era di “formulare un complesso di disposizioni generali, che si prestasse a regolare in modo uniforme […] la parte comune delle singole leggi finanziarie nella materia concernente la repressione dei reati da esse contemplati”.254 La Legge quindi non limitava il proprio campo d’azione
alla sola repressione, ma tentava una sistemazione complessiva dell’intero diritto punitivo nel campo tributario con la predisposizione di norme sostanziali e procedurali aventi a oggetto sia i reati finanziari, sia le violazioni amministrative punite attraverso l’irrogazione di pene pecuniarie e soprattasse.255 Una delle sue principali novità è stata
l’introduzione della così detta pregiudiziale tributaria, che comportava la sospensione del processo penale fino a che non si concludesse il processo tributario. Sostanzialmente veniva riconosciuta alla contestazione sul tributo una vera e propria natura di pregiudiziale, ovvero di condizione di procedibilità dell’azione penale. Il sistema così messo in piedi statuiva l’esistenza di due processi con diversi pesi: quello tributario diventava rilevante e preponderante stante il fatto che l’Amministrazione finanziaria
254 L’analisi puntuale della Legge n. 4 del 1929 e le sue implicazioni storiche e operative sono analizzate da A. SPINELLI, La repressione delle violazioni delle leggi finanziarie, Milano, 1954.
255 A seguito della delega concessa al Governo attraverso l’art. 3, comma 133 della Legge n. 662 del 23 dicembre 1996 sono stati emanati i decreti delegati nn. 471, 472 e 473 del 18 dicembre 1997 che hanno tra l’altro abrogato le pene pecuniarie e le soprattasse e le hanno sostituite con l’istituto della sanzione amministrativa pecuniaria.
poteva richiedere la riscossione del tributo senza attendere l’esito del processo penale, che, viceversa, doveva attendere l’esito definitivo dell’accertamento tributario per poter principiare la propria azione.256
Nonostante le molte censure della Corte Costituzionale257 e benché taluni interventi
normativi ne abbiano abrogato più aspetti,258 la Legge ha costituito il punto di
256 Altre due sono state le innovazioni principali nell’impianto generale della L. 4/1929: il principio di fissità e quello di ultrattività. Il primo, di cui all’art. 1, comma 2, sanciva l’impossibilità di un’abrogazione tacita della norma penale tributaria: solo attraverso la “disposizione espressa del legislatore con specifico riferimento alle singole disposizioni abrogate o modificate” era pertanto possibile procedere con l’abrogazione delle indicazioni contenute nella norma; il secondo prevedeva che l’applicazione delle norme avvenisse “ancorché le disposizioni medesime siano abrogate o modificate al tempo della loro applicazione”. Con l’introduzione di questo secondo principio veniva prevista la possibilità di prolungare l’efficacia della norma, oltre all’importante deroga al principio di retroattività della legge che abroga una legge penale e al principio del favor rei. Cfr. G. MARONGIU, Le sanzioni amministrative tributarie: dall’unità al
doppio binario, Rivista di Diritto Tributario, I, 2004, p. 389 e E. LO MONTE, L’illecito penale tributario tra
tecniche di tutela ed esigenze di riforma, Padova, Cedam, 1996, p. 29.
257 Si riportano qui i principali interventi della Corte Costituzionale sull’ambito di interesse: la sez. I della Corte con sentenza dell’11 novembre 1957 ha stabilito che non sia applicabile la prescrizione in presenza di accertamento fiscale o di giudizio amministrativo sul debito d’imposta; con sentenza del 13 febbraio 1959, la sezione I della Corte ha stabilito che la pregiudiziale tributaria si applica solo nel caso in cui sia inferibile un legame cogente tra l’infrazione e il preventivo accertamento del debito tributario; la sentenza n. 32 della Corte in data 20 aprile 1968 ha respinto le pretese di incostituzionalità della pregiudiziale tributaria affermando che lo scopo di quest’ultima è attuare una migliore sinergia tra le norme ed evitare il rischio di conflitto tra i processi; la sentenza n. 8 della Corte del 20 febbraio 1973 ha riaffermato la costituzionalità della pregiudiziale tributaria in quanto in grado di garantire il contribuente da possibile denunce che precedano l’accertamento definitivo dell’imposta; la Corte nella sentenza del 27 aprile 1981 ha riaffermato che la pregiudiziale tributaria si applica solo nelle circostanze nelle quali c’è un’imposta da accertare; infine con le sentenze nn. 88 e 89 del 12 maggio 1982 la Corte ha dichiarato illegittima sotto il profilo costituzionale la pregiudiziale tributaria.
258 Già a partire dagli anni Cinquanta il legislatore si è mosso, in modo spesso non coordinato, nella disciplina relativa alla pregiudiziale tributaria: con l’art. 35 della Legge n. 1 del 5 gennaio 1956 ha escluso dall’ambito di applicazione della pregiudiziale i reati classificabili come frode fiscale; con l’art. 252 del D.P.R. n. 625 del 29 gennaio 1958 viceversa viene rivista la classificazione delle frode fiscali, ma, stante la mancanza di un’indicazione specifica di abrogazione della L. 4/1929, viene reintrodotto il principio della pregiudiziale tributaria; con la Legge n. 825 del 9 ottobre 1971 viene data delega al Governo per la revisione del regime tributario e per l’abolizione di un gran numero di imposte minori, da questa legge discendono una serie di decreti delegati che cercano di dare impulso al contrasto dell’evasione e di dare indicazioni circa i rapporti che devono instaurarsi tra i diversi tipi di processi; l’art. 58 del D.P.R. n. 633 del
riferimento per più di un cinquantennio per il sistema penale tributario, nonostante gli interessi finanziari dello Stato venissero tutelati in modo spesso approssimativo e spesso incoerente per via della mancanza di una tassonomia nell’ambito dell’indicazione delle fattispecie incriminatrici. Soprattutto nel campo dell’imposizione diretta e ai fini IVA le disposizioni repressive apparivano come un sistema disorganico e non idoneo alla repressione delle violazioni dell’obbligo di contribuzione. Tali incongruenze hanno spinto il legislatore a compiere una revisione organica dell’intera materia, facendo ampio ricorso alla repressione penale.