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L’APPROCCIO CRITICO-ATTIVO

Nel documento Democrazia e Nuova Cittadinanza (pagine 93-99)

La cittadinanza digitale tra riflessioni teoriche e implicazioni educative Digital citizenship: Theoretical Reflections and Educational Implications

L’APPROCCIO CRITICO-ATTIVO

Uno degli effetti più interessanti della rete è l’impatto che potrebbe avere sull’attivismo sociale o politico. Si potrebbe immaginare, infatti, che la capacità della rete di mettere in contatto le persone possa favorire il coinvolgimento delle persone in attività civiche più che in passato. Ma già la ricerca di Wellman et al. del 2003 aveva evidenziato l’ascesa dell’individualismo in rete, intesa come la tendenza a rafforzare gli interessi personali utilitaristici più che a solidarizzare in gruppi. La forma di comunicazione della rete e le interazioni individualizzate che ne derivano, secondo la loro analisi, offrono maggiori opportunità di vedere soddisfatti i propri bisogni all’interno di piccole comunità dove le relazioni e gli obiettivi sono più trasparenti e favoriscono un modo di mobilitarsi fluido e limitato. Wellman et al. (2003) mostrano, quindi, che è presumibile una ulteriore trasformazione della natura stessa della comunità in quanto emerge chiaramente dalla loro ricerca che “la persona è l’unità primaria della connettività anziché la famiglia o il gruppo”.

Nel 2016 Emejelu e McGregor propongono una definizione alternativa di cittadinanza digitale, una definizione che loro stessi considerano radicale. Tale visione considera la partecipazione un valore o una virtù intrinseca del cittadino che deve impegnarsi attivamente nelle istituzioni e si basa sugli obblighi nei confronti della comunità. Per cittadinanza digitale radicale si intende, quindi, la prassi attraverso la quale individui e gruppi analizzano criticamente le conseguenze sociali, politiche, economiche e ambientali delle tecnologie nella vita quotidiana e collettivamente stabiliscono e intraprendono azioni per costruire tecnologie e pratiche tecnologiche alternative ed emancipatrici al fine di promuovere il cambiamento sociale. Emejelu e McGregor sostengono che la cittadinanza digitale radicale dovrebbe problematizzare le idee dominanti sulle tecnologie e ripensare le relazioni dei cittadini con la tecnologia per promuovere il bene comune.

Questo approccio sembra propendere verso due direzioni (Choi et al., 2017; Bennet, 2008; Coleman, 2008). Da una parte, verso l’impegno in rete per affrontare questioni che riflettono i valori personali; quindi, si usufruisce della rete per partecipare ad attività politiche, economiche, sociali o culturali siano esse locali, nazionali o sovranazionali. Dall’altra, verso la resistenza critica, detta anche partecipazione trasformativa o cittadinanza attualizzante (Actualizing Citizenship), cioè la partecipazione in azioni, soprattutto proteste ed agitazioni, che sfidano lo status quo e promuovono la giustizia sociale. Le due strade potrebbero sembrare praticamente identiche in quanto entrambe si basano su azioni guidate da un obiettivo. Tuttavia, la resistenza critica ha una natura meno tradizionale e meno gerarchica in quanto è un impegno personale con la rete dei pari, mentre l’impegno, o cittadinanza devota (Dutiful Citizenship) come preferisce chiamarla Bennet (2008), dipende dalle strutture e dalle istituzioni sociali esistenti. Secondo Coleman (2008), «sebbene queste due facce della cittadinanza digitale rappresentino idealtipi e dovrebbero forse essere intese come punti opposti su uno spettro anziché posizioni che si escludono reciprocamente, differiscono sufficientemente nelle loro concezioni contrastanti sulla condizione dei giovani, le offerte delle tecnologie digitali e l’autenticità della “democrazia effettivamente esistente”» (p. 191).

Emejelu e McGregor (2019) ritengono che l’educazione digitale dovrebbe abbandonare il suo atteggiamento apolitico e accettare di svolgere un ruolo importante nell’aiutare individui e gruppi a desiderare di più per sé stessi. Anche Lozano-Díaz e Fernández-Prados (2019) ritengono che abbia un carattere più etico che strumentale in quanto è un’educazione alla cittadinanza attiva e ai valori, dove teoria e pratica, visione critica e impegno responsabile sono collegati al fine di promuovere nuove forme di partecipazione, inclusione e impegno civile, sociale e politico.

Le esperienze di educazione alla cittadinanza digitale dovrebbero avere alcune caratteristiche precipue. Innanzitutto il modello didattico dovrebbe essere student-centered, cioè dovrebbe rispondere a bisogni educativi identificati e concreti per fornire competenze spendibili al di fuori della scuola per la vita personale e politica (Gleason, Von Gillern, 2018; Kim, Choi, 2018; Maier, 2012). Inoltre, dovrebbe utilizzare le tecnologie digitali combinandole con le attività del contesto locale (scuola, città, stato o luogo immaginario) al fine di creare un nesso tra autentiche pratiche socioculturali dei giovani, apprendimento scolastico e realtà sociale, politica e culturale in cui si vive (Gleason, Von Gillern, 2018; Pedersen et al., 2018). Oltre a ciò, il curriculo di cittadinanza digitale dovrebbe dare priorità alle esperienze della vita reale, ai valori, agli interessi, alle identità e all’impegno degli stessi alunni (Gleason, Von Gillern, 2018) e può essere un insegnamento trasversale da coniugare all’interno di diverse discipline di studio coinvolgendo i docenti in base alle loro competenze e ai diversi obiettivi di apprendimento (Gleason, Von Gillern, 2018; O’Brien, Eriksson, 2008). Infine, alcuni studiosi ritengono che l’educazione alla cittadinanza digitale dovrebbe prevedere contributi provenienti da contesti e culture di tutto il pianeta (Pedersen et al., 2018).

In Italia la legge n. 92 del 20 agosto 2019 prevede che l’educazione alla cittadinanza digitale sia uno dei tre nuclei concettuali dell’insegnamento trasversale dell’educazione civica e che sviluppi le seguenti abilità e conoscenze: «a) analizzare, confrontare e valutare criticamente la credibilità e l’affidabilità delle fonti di dati, informazioni e contenuti digitali; b) interagire attraverso varie tecnologie digitali e individuare i mezzi e le forme di comunicazione digitali appropriati per un determinato contesto; c) informarsi e partecipare al dibattito pubblico attraverso l’utilizzo di servizi digitali pubblici e privati; ricercare opportunità di crescita personale e di cittadinanza partecipativa attraverso adeguate tecnologie digitali; d) conoscere le norme comportamentali da osservare nell'ambito dell'utilizzo delle tecnologie digitali e dell'interazione in ambienti digitali, adattare le strategie di comunicazione al pubblico specifico ed essere consapevoli della diversità culturale e generazionale negli ambienti digitali; e) creare e gestire l’identità digitale, essere in grado di proteggere la propria reputazione, gestire e tutelare i dati che si producono attraverso diversi strumenti digitali, ambienti e servizi, rispettare i dati e le identità altrui; utilizzare e condividere informazioni personali identificabili proteggendo sé stessi e gli altri; f) conoscere le politiche sulla tutela della riservatezza applicate dai servizi digitali relativamente all’uso dei dati personali; g) essere in grado di evitare, usando tecnologie digitali, rischi per la salute e minacce al proprio benessere fisico e psicologico; essere in grado di proteggere sé e gli altri da eventuali pericoli in ambienti digitali; essere consapevoli di come le tecnologie digitali possono influire sul benessere psicofisico e sull’inclusione sociale, con particolare attenzione ai comportamenti riconducibili al bullismo e al cyberbullismo».

CONCLUSIONI

La breve disamina che abbiamo condotto ha messo in evidenza che tutti i modelli di cittadinanza digitale condividono l’attenzione verso la componente socio-relazionale e partecipativa delle tecnologie e dei media e che le competenze digitali non possono non essere considerate un concetto teorico in divenire che si implementa con il tempo e con l’evoluzione dei dispositivi tecnologici. Attualmente il dibattito scientifico sulla cittadinanza digitale sta prendendo consapevolezza di almeno due scenari tecnologici altamente innovativi, i big data e l’intelligenza artificiale, che probabilmente condurranno a ripensare non solo i contenuti e gli approcci dell’alfabetizzazione digitale ma anche lo stesso fine.

Per comprendere cosa sono i big data è necessario descrivere sia le caratteristiche tecniche sia il fenomeno sociale.

Zuboff (2015) definisce i big data come la componente di una nuova logica di accumulazione intenzionale e consequenziale del capitalismo dell’informazione che mira a prevedere e modificare il comportamento umano come mezzo per produrre entrate e controllo del mercato. Secondo la studiosa statunitense, esistono almeno cinque fonti di dati: i dati delle transazioni economiche, i flussi dei sistemi istituzionali e transistituzionali, i database aziendali e governativi, le telecamere di sorveglianza pubbliche e private, compresi smartphone e satelliti, e ogni clic che i singoli individui fanno sui loro dispositivi. I dati attraversano molte fasi (processo di estrazione, analisi, utilizzo) senza che l’utente possa comprendere i complessi sistemi di produzione e di analisi adottati dagli aggregatori di big data né l’impatto che potranno avere, nonostante questi dati siano il segno visibile della soggettività delle loro vite individuali (D’Ignazio, Bhargava, 2015).

Kitchin e Lauriault (2018) delineano il fenomeno sociale dei big data attraverso la descrizione degli interessi contrastanti dei movimenti Open Data da una parte e delle imprese dall’altra. I primi considerano i dati un bene pubblico comune che dovrebbe essere liberamente accessibile, le altre vedono i dati come una merce preziosa che dovrebbe essere soggetta ai regimi della proprietà intellettuale e sfruttabile per i guadagni. I media basati su algoritmi sono un potente strumento per

profilare le persone, prevedere le loro azioni e influenzarle. Si tratta, quindi, di un fenomeno sociale che pone molti interrogativi di tipo etico su questioni delicate intorno alle quali si dovrebbe attivare un dibattito pubblico.

Purtroppo gli utenti di Internet non hanno conoscenze adeguate per partecipare a tali dibattiti e si avverte l’esigenza di promuovere una estesa alfabetizzazione sui big data che sviluppi consapevolezza e comprensione sulla raccolta dei dati personali, sui possibili rischi e sulle implicazioni che derivano da queste pratiche. Allo stato attuale, però, l’alfabetizzazione ai big data non ha ancora una teorizzazione coerente e rigorosa né un modello pratico che la rendano una strategia significativa per il cittadino digitale (Pangrazio, Sefton-Green, 2020; Sander, 2020).

L’altra frontiera della ricerca informatica riguarda l’intelligenza artificiale e i sistemi di machine

learning che occuperanno ruoli sempre più rilevanti nel prossimo futuro.

Jandric (2019) spiega efficacemente il cambiamento paradigmatico operato dai sistemi di intelligenza artificiale rispetto ai computer tradizionali: «i computer tradizionali consistevano in lunghe righe di codice che determinavano il loro comportamento mentre ai sistemi di intelligenza artificiale vengono fornite alcune regole di comportamento iniziali, che poi vengono “insegnate” da grandi set di dati. Quindi, il computer stabilisce in modo indipendente varie connessioni tra i dati di input e produce soluzioni “intelligenti” a nuovi problemi in modi non predeterminati» (p. 32).

La sfida che attende l’alfabetizzazione digitale riguarderà quasi sicuramente la «creazione di curricula educativi e attività di sensibilizzazione del pubblico sull’impatto sociale, legale ed etico dell’intelligenza artificiale» (Floridi et al., 2018, p. 705) ma potrebbe anche interessarsi «a cosa rende alfabetizzate le IA e a sviluppare modi per creare macchine pensanti alfabetizzate» (Jandric, 2019, p. 35).

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