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CO-COSTRUIRE IL SENSO ETICO DI CITTADINANZA SECONDO LE CATEGORIE PEDAGOGICHE DELLA CURA E DEL DONO ATTRAVERSO RET

Nel documento Democrazia e Nuova Cittadinanza (pagine 56-60)

Educating to co-feeling for active citizenship and ethical sustainability in the territorial community

CO-COSTRUIRE IL SENSO ETICO DI CITTADINANZA SECONDO LE CATEGORIE PEDAGOGICHE DELLA CURA E DEL DONO ATTRAVERSO RET

TERRITORIALI INTEGRATE

Partendo dagli assunti teorici fin qui brevemente annotati e dalle categorie pedagogiche correlate quali la relazione empatica, la capacitazione (Binanti, 2014), il pensiero generativo (Mannese, 2016; 2020), i nessi emozione-cognizione (Greenspan, 1997), educazione-democrazia (Dewey, 1916), sviluppo-libertà (Sen, 2000; 2006), emerge un quadro ricco di sfumature che, oggi più che mai, richiedono di non essere sottovalutate. Intendiamo, pertanto, provare ad offrire un’angolazione riflessiva che assuma come punto di partenza, e non di arrivo, la dimensione del benessere esistenziale personale, come chiave di lettura per la co-costruzione di un sentire comune e condiviso, che vorremmo definire “empatia civica”, nell’accezione di un reciproco riconoscimento tra persone che condividono lo stesso spazio sociale, affinché tale spazio possa essere percepito come “luogo di benessere” (Clarizia, 2014, pp. 6-7) e “casa comune” (Papa Francesco, 2015).

Le premesse, i processi e gli esiti della nozione di benessere si allacciano inevitabilmente, dunque, alla responsabilità intra ed interpersonale, coinvolgendo in modo diretto le pratiche di vita quotidiana, le scelte pubbliche e private dei soggetti, nel loro essere persone e con-cittadini: questo approccio pluricentrico, connettendo la cura di sé con la formazione di sé, come chiarisce Foucault (2001), può essere progettato e attuato solo attraverso una teknè che si innesti nella vita individuale, attraverso un’instancabile co-azione di “coltivazione” del Sé e del Noi, nelle diverse manifestazioni che rendono fecondi i legami umani, essendo la dimensione di cura un fenomeno ontologicamente di natura relazionale (Mortari, 2006, p. 5). Nell’intenzione di chi scrive si vuole provare ad ipotizzare la possibilità di innescare pratiche di cura ab origine delle relazioni sociali e istituzionali a livello territoriale, muovendo dal presupposto che per suscitare “virtù civiche” (Höffe, 2007) l’unica via che ci pare, ad oggi, perseguibile è la promozione della logica donativa nelle relazioni educative (Mortari, 2006, pp. 192-201). Al di là delle contingenze e delle esigenze hic et nunc, lo sguardo pedagogico con la sua precipua capacità di guarda oltre la miopia del presente (Castaldi, 2019, pp. 24-25), può e deve fornire strumenti possibili di rilancio e valorizzazione dell’umanità, così come configurata nel panorama storico-sociale contemporaneo, suscitando una nuova consapevolezza in chi si assume responsabilità civili, giuridiche, formative, a tutti i livelli, istituzionali e informali, circa il proprio ruolo insostituibile di promozione della cittadinanza, a partire dalla cura prima di tutto di coloro che si collocano nel polo opposto della relazione educativa: i bambini e i giovani. Da più parti i pedagogisti denunciano l’invisibilità della categoria dell’infanzia nelle politiche sociali (Bobbio, 2013), nelle progettazioni urbanistiche, nei programmi delle pubbliche amministrazioni:

«Il mancato protagonismo dell’infanzia nella cultura contemporanea è riscontrabile anche nella presenza di indicatori culturali che registrano una sostanziale latitanza del bambino dalle politiche sociali e dalle iniziative educative della “polis”. Il bambino è invisibile nella città, gli spazi per il gioco sono rarefatti e artificiosi, la presenza dell’infanzia nel mondo adulto è considerata ormai come un fatto dalle caratteristiche eccezionali, che richiede cure e attenzioni straordinarie» (Bobbio, 2013, p. 25)

Collocare nelle logiche ordinarie e strutturali gli interlocutori “ultimi” delle scelte del mondo sociale, culturale e civile degli adulti, significa impostare le fondamenta del futuro delle persone in quanto cittadini dello stesso mondo, su basi solide di sostenibilità e cittadinanza. Donare luoghi e tempi in cui riconoscersi e appartenersi significa superare le logiche alienanti e schiacciate sul presente della mera funzionalità, dell’efficienza, del guadagno e della produttività, che deprimono quanto non è funzionale, come la gratuità, il bene comune, l’amore e il dono di sé (Galli, 1994, p. 182). Attraverso le metodologie e gli strumenti di cui la pedagogia della territorialità si avvale, si intende proporre percorsi che attivino relazioni di comunicazione feconda in chiave formativa tra le istituzioni a livello locale, come gli assessorati e gli organi collegiali di governo degli enti locali, e le realtà associative e di volontariato, le aziende, le cooperative, gli istituti di ricerca, il privato sociale, le realtà educative di prevenzione e cura del disagio giovanile, di formazione e orientamento professionale, il settore dei servizi all’infanzia e all’adolescenza, presenti sul territorio, con l’obiettivo di coordinare, monitorare e strutturare una rete formativa di cura del senso di cittadinanza, mediante la quale attivare «un processo di conoscenza del territorio, che, partendo dall’ascolto dei bisogni educativi, consenta all’educatore e al pedagogista di progettare e trasformare, in sinergia con le istituzioni e in accordo con la comunità scientifica, gli spazi del territorio in spazi educativi» (Lombardi, 2015, p. 93). Tale impostazione metodologica scaturisce dalla maturata consapevolezza da parte della ricerca pedagogica. che un percorso di apprendimento profondo e generativo che miri ad interiorizzare l’elemento normativo, la responsabilità condivisa, il senso civico e la cura del benessere comune, non può prescindere dalla categoria della cura pedagogicamente intesa quale humus sostanziale di ogni relazione promotrice del valore, del senso e dell’essere della persona e della sua umanità. Coltivare l’umanità, richiamando il titolo del celebre libro del 1997 di Martha Nussbaum Cultivating Humanity, non può e non deve limitarsi ad un’azione informativa e normativa da parte della società adulta nei confronti degli interlocutori nell’età dello sviluppo, pena l’arenarsi nelle secche dell’autoreferenzialità e dell’ “assenza di segnale” educativo: riteniamo, pertanto, che sia doveroso proporre un capovolgimento di prospettiva e un’inversione di rotta per superare l’ottica limitata che pone l’adulto, il legislatore, l’educatore nella posizione dell’esperto che deve trasmettere le proprie competenze di cittadinanza democratica, sostenibilità ecologica, eticità condivisa. È oggi più che mai necessario porre l’attenzione all’atto del porsi nella relazione educativa: tale postura etica del “mettersi nella relazione” richiama con forza la capacità empatica proposta, nella sua pregnanza teoretica, all’inizio di questo contributo, qui declinabile come “empatia civica” che diviene in grado di rispondere alle esigenze della complessità nella sfida della cittadinanza in vista di quello che Tomlinson definiva, già nel 1999, “glocalismo etico” (Tomlinson, 1999, pp. 224-238). Cittadinanza che si accompagna al termine partecipazione, in senso politico e pedagogico: tale binomio semantico ha dovuto fronteggiare nel tempo «un gap comunicativo colmabile soltanto con la rilettura della comunicazione quale fondamento pedagogico, se la si intende come un mondo all’interno del quale vi è uno scambio di informazioni intenzionalmente orientato. Questo presuppone un processo partecipativo che vede la persona quale fulcro fondamentale e parte attiva nell’azione intenzionale» (Balzano, 2020, p. 460).

A suffragare, sul versante dell’evidenza scientifica, la primarietà comunicativo-relazionale nella teoria e nella prassi pedagogica si pongono gli studi sulla neuroplasticità cerebrale che la neurobiologia interpersonale di impostazione dinamica ha maturato in particolare in questo primo ventennio degli anni 2000.

«Si tratta di riflessioni che trovano il fondamento epistemologico intorno a una visione dinamica dell’esperienza educativa, le sfide in questo senso, si articolano in una dimensione

dinamica ed interpersonale attraverso la relazione, partendo da una struttura empatico- educativa. Coerentemente con questa impostazione l’ipotesi di una cultura che trasforma il cervello si collega all’ipotesi scientifica della neurobiologia interpersonale che ci consente di evidenziare la dimensione relazionale e l’esperienza umana tra mente e cervello. In questo senso la mente è sempre un processo relazionale» (Mannese, 2016, pp. 20-21)

CONCLUSIONI

Il “senso del noi”, che si costruisce sin dai primi anni di vita del bambino tramite i processi relazionali e la formazione della capacità empatica, a partire dalla percezione emotivo-affettiva del proprio essere soggetto di cura educativa, deve necessariamente essere posto al centro degli obiettivi pedagogici ai livelli micro e macro della paideia dell’occidente democratico: solo l’immersione da parte della comunità educante nella logica, sfuggente rispetto alla cruda impostazione economico-efficientista, della gratuità del dono (Mortari, 2006, p. 194) e dell’ostensione integrata da parte degli attori sociali di una volontà che si concretizzi in iniziative “a misura di bambino e di adolescente” in primis, può porsi l’obiettivo non utopico di suscitare sentimenti radicati di cittadinanza e di custodia di un patrimonio fatto di relazioni interpersonali, luoghi, progetti, iniziative, possibilità, percepiti e vissuti come spazi di appartenenza comune da salvaguardare per tutelare il ben-essere di un tessuto sociale che, in questa direzione paidetica, può far emergere una identità rinnovata, che possa a pieno titolo definirsi “comunitaria”.

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Educare a vivere con gli altri: una sfida democratica per la scuola

Nel documento Democrazia e Nuova Cittadinanza (pagine 56-60)

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