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PROCESSI EMPATICI, DIMENSIONE RELAZIONALE ED ETICITA’ PER NUOVI FONDAMENTI DI CITTADINANZA

Nel documento Democrazia e Nuova Cittadinanza (pagine 53-56)

Educating to co-feeling for active citizenship and ethical sustainability in the territorial community

PROCESSI EMPATICI, DIMENSIONE RELAZIONALE ED ETICITA’ PER NUOVI FONDAMENTI DI CITTADINANZA

Il problema dell’empatia, titolo della tesi pubblicata da Edith Stein nel 1917, costituisce il nucleo originario dell’intero impianto del suo pensiero filosofico: tramite il rigoroso approccio metodologico della riduzione fenomenologica la Stein prende in considerazione l’esistenza del mondo circostante, in particolare quella di donne e uomini, corpi che provano emozioni e desideri. L’esistenza e la presenza degli altri si manifestano attraverso l’esperienza di ciò che si può vedere, sentire o percepire. L’altro esprime sé stesso attraverso ciò che fa (Boella, Buttarelli, 2000, pp. 62-63). Nel processo empatico, sebbene il sentimento provato non scaturisca dall’Io del Soggetto empatizzante, ma dall’altro Soggetto, che ne vive l’originarietà, il sentimento suscitato è anch’esso originario; da ciò la Stein rileva come, da un’esperienza di vissuto non originario, si propaghi un’esperienza originaria. In questo modo, grazie all’empatia, la persona può esperire una sorta di «atti esperienziali sui generis» che assumono una validità universale «È in questo modo che l’uomo coglie la vita psichica dell’altro» (Stein, 1917, pp. 79-80).

L’Einfühlung, dunque, rende concreta la possibilità di entrare in contatto con la realtà vissuta di un altro essere umano tramite l’atto del “rendersi conto” del sentimento o dello stato emotivo altrui: quando ci si rende conto del dolore o della gioia dell’altro, lo si incontra direttamente nel luogo in cui è al suo posto, presso l’altro e il suo stato emotivo. L’empatia coincide con l’acquisizione emotiva della realtà del sentire altrui: ci si rende conto che esiste l’altro e ciò rende evidente a sé stessi che anche il proprio io è per l’altro. L’atto empatico si configura, pertanto, come atto d’esperienza la cui struttura esce dall’esclusivo controllo e dall’iniziativa dell’io (Stein, 1992, p. 82).

Quanto anticipato sul versante filosofico, in riferimento alla formazione e alla struttura dell’empatia, da parte dei teorici del pensiero del calibro di Edmund Husserl, Max Scheler, Edith Stein, Theodor Lipps, sarà successivamente convalidato e ulteriormente indagato dalle inedite scoperte nell’ambito dell’approccio dinamico delle neuroscienze, che dalla seconda metà del XX secolo ai giorni nostri si

sono via via specializzate e dotate di tecnologie sempre più sofisticate nell’analisi del funzionamento cerebrale e della neuroplasticità1.

Parallelamente e in prospettiva interdisciplinare, tra la fine del XX e l’inizio di questo ancora giovanissimo XXI secolo, studiosi del calibro della filosofa statunitense Martha Nussbaum hanno indagato la relazione emozioni-cognizioni, nesso inscindibile nel processo empatico.

L’opera del 2001 Upheavals of Thought: The Intelligence of Emotion introduce la teoria cognitivo- valutativa delle emozioni secondo cui esse comportano giudizi in cui, valutando un oggetto esterno come rilevante per il proprio benessere, si riconosce la propria necessità e incompletezza di fronte a parti del mondo di cui non si ha il pieno controllo (Nussbaum, 2001, p. 19), in vista della maturazione completa delle capacità umane. Si tratta dell’insieme di quelle che la filosofa newyorchese definisce “human capabilities”, determinanti nel processo di “human flourishing”. Al cuore di questa prospettiva vi è l’assegnazione alle emozioni del carattere eudaimonistico, secondo cui esse implicano un giudizio circa il valore, in termini di benessere per la persona, dell’oggetto dell’emozione stessa: non si tratta di una valutazione relativa esclusivamente alle azioni virtuose, ma anche ai rapporti reciproci di amore e amicizia, civici o personali, in cui l'oggetto è amato e beneficiato per il bene che comporta, tali relazioni di reciprocità possono qualificarsi come parti costitutive dell'eudaimonia di una persona (Nussbaum, 2001, p. 24).

La lettura squisitamente relazionale del principio etico dell’eudaimonia si allarga in una sorta di increspature concentriche dal personale al sociale nell’ottica di una possibile e auspicabile identificazione dei principi costitutivi della cittadinanza sostenibile. Ed è proprio nella prospettiva della sostenibilità, sia come condicio sine qua non, sia come ad quem inaggirabile per qualsiasi sguardo volto all’umano e al suo abitare la “Terra-patria”, (Morin, 1994) anche e soprattutto nel tempo della pandemia, che la pedagogia della territorialità si propone come via teorico-pratica per attivare percorsi formativi alla relazione empatica finalizzati alla co-costruzione di connessioni virtuose di cittadinanza responsabile.

L’enfasi che nel corso della modernità le scienze dell’educazione hanno dato ad una concezione del soggetto-persona fondata sull’idea di sviluppo-progresso (Acone, 1997, p. 30), per diversi aspetti ispirata al principio cartesiano del Cogito ergo sum e alle logiche della razionalità scientifico- tecnologica, ha avuto evidenti ripercussioni nell’ambito delle pratiche educativo-istruttive, che de facto hanno optato per uno sbilanciamento nella direzione di categorie quali l’autonomia, la cognizione, la competenza disciplinare e professionale, obiettivi necessari, ma non sufficienti per un percorso che voglia dirsi pienamente formativo. La condizione post-moderna, come ebbe a definire Jean FrançoisLyotard nel suo celebre libro del 1979 La Condition postmoderne: rapport sur le savoir, l’orizzonte culturale di una contemporaneità segnata dalla caduta delle “grandi narrazioni” e dalla frammentazione del sapere, richiede nell’attuale Stimmung occidentale un necessario ripensamento da parte dello sguardo pluricentrico e analitico della pedagogia. La modernità stanca ed estenuata, come definiva il clima culturale postmoderno Giuseppe Acone già negli anni ‘90 (Acone, 1997, p. 31), appare profondamente segnata sia sul fronte dell’evidenza storico-sociale ed economica (oggi anche sanitaria), sia sul versante dell’evoluzione della speculazione filosofica intesa hegelianamente come “il proprio tempo appreso con il pensiero”, dalla frantumazione-dispersione del soggetto, da un lato sempre più fagocitato dalle logiche serrate e massificanti della globalizzazione, dall’altro sottoposto al rischio di arenarsi nelle secche dello scientismo-nichilismo (Acone, 2000). Tale temperie culturale si ripercuote nelle trame intricate del tessuto sociale marcandolo con il paradigma

1 Per approfondimenti sul tema si veda E. Mannese (2016). Saggio breve per le nuove sfide educative. Lecce:

della complessità, che richiede di essere letto e interrogato attraverso un dispositivo concettuale che Morin definisce “pensiero complesso”, capace di raccoglierne la sfida (Morin, 1993, p. 2) e di assumersi la responsabilità etica di salvaguardare l’esistenza umana in generale e le singole esistenze personali da un’intelligenza che «incapace di considerare il contesto e il complesso planetario rende ciechi, incoscienti e irresponsabili» (Morin, 2000, pp. 6-7). Da quanto finora brevemente tratteggiato si evince come da più voci autorevoli, tangenti, ma non coincidenti con l’approccio pedagogico, si è cercato di far traluce l’essenza della cittadinanza, le cui basi vanno ricercate, secondo le più contemporanee linee di ricerca teorica suffragate dagli studi in ambito neuroscientifico e neuro- biologico, nella dimensione del sé esistenziale e relazionale, nella rete di vissuti, emozioni, cognizioni, percezioni, pensieri che modellano e plasmano la struttura etica e assiologica di ogni persona, e non ultima la qualità della cittadinanza. L’identità pluricentrica della pedagogia come scienza di confine trova nel costrutto della generatività la categoria che la qualifica e la connota col porre come presupposti inaggirabili

«l’incontro, la relazione e l’integrazione dei processi umani nella loro complessità: biologica, educativa, formativa, psicologica, sociale, culturale, storica, politica, attribuendo a ciascuna dimensione umana una valenza critico-interpretativa nell’interazione con l’altra» (Mannese, 2020, p. 41).

Nell’affrontare le questioni relative all’educazione alla cittadinanza diversi studiosi del calibro del già citato Morin si sono confrontati per gettare raggi di luce per un futuro sostenibile: Alain Touraine ha prospettato l’avvento del tempo delle “passioni etiche”, capaci di restituire alla democrazia una rinnovata “forza trainante”. Questo cambiamento di «universo morale e politico» assumerebbe «la stessa importanza di quello che ci ha fatto passare dalla costruzione degli stati nazionali alla globalizzazione dell’economia mondiale». (Touraine, 2009, pp. 314-315).

Otfried Höffe ha dato una definizione pregnante delle “virtù civiche”, intese come dei veri e propri “elementi costitutivi dell’integrità democratica”, menzionando il senso civico e di appartenenza, il coraggio civile, la capacità di esercitare la giustizia e la tolleranza e di agire su sé stessi in termini di temperanza, prudenza e controllo delle proprie emozioni (Höffe, 2007, p. 157).

Si tratta di impostazioni etico-politiche che, ciascuna con le proprie specificità, sono coerenti con i principi di un progetto educativo ad ampio respiro collocabile sul sentiero mirabilmente tratteggiato quasi un secolo fa da John Dewey nel 1934 con il suo celebre richiamo a quella “common faith”, con cui identificava la possibilità di coniugare educazione, esperienza e democrazia (Dewey, 1934). In una conferenza del 2007, alle soglie appena oltrepassate del XXI secolo, tenutasi nell’Università di Pisa dal suggestivo tema “Il bene comune oggi: un impegno che viene da lontano”, Giorgio Chiosso presentava una relazione dal titolo Virtù civiche e formazione del carattere, partendo dall’assunto che

«[…]la “vita buona” e di conseguenza le azioni formative volte a promuoverla non sono di competenza dello Stato e delle istituzioni pubbliche né tanto meno possono essere concepite come una merce che può essere venduta e acquistata sul mercato. Sono invece parte di una funzione sociale diffusa, trasversale che chiama in causa i diversi attori e i diversi ambiti in cui essi operano, ciascuno con i propri ruoli, valori, specificità accomunati dalla ricerca di complementarietà e sinergie sul terreno della socialità, relazionalità, reciprocità» (Chiosso, 2007).

Tale impostazione, legata al proprium del pedagogico nella sua duplice anima teorico-pratica, pone come anello iniziale per la realizzazione della cittadinanza il fattore educativo-formativo, quale cifra inaggirabile di ogni possibilità di connettere cittadinanza-democrazia-sostenibilità.

CO-COSTRUIRE IL SENSO ETICO DI CITTADINANZA SECONDO LE

Nel documento Democrazia e Nuova Cittadinanza (pagine 53-56)

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