• Non ci sono risultati.

LA RELAZIONE EDUCATIVA TRA IDENTITÀ E APPARTENENZE AI TEMPI DEL COVID

Nel documento Democrazia e Nuova Cittadinanza (pagine 62-64)

Educare a vivere con gli altri: una sfida democratica per la scuola Educating to live with others: a democratic challenge for schools

LA RELAZIONE EDUCATIVA TRA IDENTITÀ E APPARTENENZE AI TEMPI DEL COVID

All’origine della scuola pubblica c’è la missione di educare alla cittadinanza. Fatta l’Italia, come si è sempre insegnato anche nella scuola, si trattava di fare gli italiani. E questa è stata la finalità costitutiva della scuola (Barbieri et al., 2016). Ma come è cambiata l’idea di cittadinanza in questi 160 anni? E come è cambiata la finalità della scuola?

L’idea di cittadinanza che si è delineata negli Stati nazionali dell’età moderna è basata sulla cosiddetta unificazione verticale dei cittadini di una nazione. Vivere in uno stesso territorio per persone e gruppi delle più diverse condizioni sociali ed economiche costituisce un elemento di forte coesione e rafforza una condivisione di culture e di esperienze promosse dall’altro. In questo senso, la politica degli Stati dell’Ottocento e del Novecento, fondati sulla sovranità popolare, è in stretta continuità con la politica dei sovrani assoluti dei secoli antecedenti (De Giorgi et. al., 2019) Le comunità politiche statali europee vengono fondate sull’idea che i confini fra noi e gli altri debbano essere netti e visibili e che la visibilità dei confini esterni favorisca le coesioni e le solidarietà interne. Il compito di insegnare un’intelligente cittadinanza del mondo appare così vasto che «si è tentati di arrendersi e dichiarare

che avremmo fatto meglio a occuparci solo del nostro paese» (Nussbaum, 2011, p. 97), ma già solo studiare e capire la propria nazione implica la conoscenza dei gruppi e delle culture che la compongono.

Tuttavia, la diffusione straordinaria di nuovi veicoli di comunicazione e di informazione spesso annulla ogni mediazione e mette ogni persona a contatto immediato con i più diversi linguaggi e le più diverse culture del Pianeta. Questa immediatezza di contatti incide profondamente sullo sviluppo cognitivo ed emotivo sin dai primi anni di vita. È una nuova condizione culturale che obbliga a ripensare le finalità della scuola e a riconsiderare possibilità, limiti e specificità della sua missione. A maggiore ragione oggi, in piena pandemia, la scuola che riprende deve avere al centro il problema delle diseguaglianze pensando a come contrastarle. Il che non vuol dire promuovere tutti, ma aiutare tutti a sviluppare le proprie abilità e competenze (Volpicella, 2020, p.30).

Durante la fase della didattica a distanza, che sarebbe più appropriato definire didattica

dell’emergenza, la scuola si è retta unicamente sull’impegno e sulla dedizione degli insegnanti, che

hanno affrontato la situazione mettendosi in gioco in prima persona, così come hanno fatto in momenti precedenti ogni volta che la scuola si è trovata in situazioni di difficoltà legate al continuo taglio di investimenti.

In questi mesi la didattica dell’emergenza è stata importante, perché ci ha permesso di non interrompere quei legami complessi che caratterizzano la scuola come comunità di ricerca, di pratiche e di relazioni, mantenendo vivo il rapporto con i bambini, i ragazzi e le loro famiglie. Ma, come è stato più volte ribadito, la didattica a distanza non è scuola, perché la scuola comprende condizioni di spazio, tempo, relazione che si possono attivare unicamente in presenza.

Nella didattica a distanza, infatti, sono cambiate le relazioni: senza il contatto diretto dei corpi la relazione è unicamente virtuale. Quello che più è mancato ai bambini e ai ragazzi sono le relazioni e il “calore umano” che stanno attorno alla vita del gruppo classe. A scuola il modello didattico si fonda sull’autonomia degli alunni, in un lavoro autonomo, ma non in solitudine (Margiotta, 2018): è un lavoro personale in un percorso collettivo, condiviso con i compagni e seguito prima, durante e dopo dall’insegnante, che si accorge delle difficoltà e interviene, rapportandosi direttamente con il ragazzo, supportandolo, rassicurandolo, ovvero curandolo (Mortari, 2017). A distanza tutto ciò è impossibile: l’allievo è solo.

Dal punto di vista pedagogico torna favorevole la definizione fornita da Piero Bertolini nel suo saggio del ’58 Fenomenologia e pedagogia, dove descrive la relazione educativa in termini di:

prospettazione di certi orizzonti, di certe visioni, di certi valori verso cui tendere e per mezzo dei quali modificare il comportamento umano in un perfezionamento continuo e sempre più alto” (p.105). In questo senso, il concetto rimanda ad uno scambio reciproco dotato di significato che avviene tra due interiorità le quali, in assetto di co-esistenza, tendono verso un fine in prospettiva progettuale. Pertanto, se da un lato è asseribile l’assoluta unicità e originalità dell’uomo, dall’altro questi è impensabile se non in una permanente reciprocità con gli altri esseri umani. Bertolini non ha mancato di evidenziare quanto il valore della relazione educativa sia dipendente dalla capacità dell’educatore di situarsi nell’alterità dell’altro, dal momento che solo nella rivelazione e nella oggettivazione dell’alterità risulta accessibile per l’altro – l’educando – il riconoscimento di sé in quanto persona. Dallo stesso si ricava anche che la relazione educativa si distingue da qualsiasi altra relazione perché fondata sull’intenzionalità educativa e sulla messa in atto di procedure e percorsi mirati al conseguimento di obiettivi educativi (Bertolini, 2006, pp. 11-12).

È quindi importante non perdere di vista la centralità che deve avere la scuola nella nostra società per il ruolo fondamentale che riveste in quanto esperienza di quella che viene definita umanizzazione

culturale e che fa sì che, attraverso il valore della conoscenza, i bambini e i ragazzi si impadroniscano

della cultura prodotta dalle generazioni che li hanno preceduti (Portera, 2020). Il processo di umanizzazione è un processo continuo, che dura tutta la vita, perché intrinseco al nostro essere umani e, come tali, individui in continua e perenne evoluzione. La dimensione neotenica è ciò che ci distingue dalle altre specie viventi, ma il processo non è neutro: nel comportamento sociale nulla è naturale, solo l’orientamento della cultura può stabilire la direzione verso cui si rivolge una società. La pandemia finirà, la storia insegna, le donne e gli uomini organici al mondo della formazione e della cultura possono trasformare questa crudele esperienza in un’esperienza di formazione, capace di consentire quelle competenze che un cittadino deve costruirsi per agire nella comunità e per la comunità, nel senso più genuino del termine come ci ricorda Dewey (1938):

Noi viviamo sempre nel nostro tempo e mai in un altro; solo estraendo in ogni momento il significato di ogni esperienza presente ci prepariamo a fare altrettanto nel futuro. È questa l’unica preparazione che a lungo andare conclude qualche cosa (p. 34).

DALL’EDUCAZIONE ALLA CITTADINANZA ALL’EDUCAZIONE ALLA CONDIZIONE

Nel documento Democrazia e Nuova Cittadinanza (pagine 62-64)

Outline

Documenti correlati