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EDUCARE ALLA CITTADINANZA 2 OGGI: QUALI PROSPETTIVE?

Nel documento Democrazia e Nuova Cittadinanza (pagine 47-52)

New pedagogical perspectives for an education in democratic and social citizenship

EDUCARE ALLA CITTADINANZA 2 OGGI: QUALI PROSPETTIVE?

Il senso di “cittadinanza” che lo stesso Marshall, a metà Novecento, aveva definito “sociale” (1964), apre la riflessione circa una questione non solo formale, non meramente teorica, che interessa la pratica educativa, e quindi gli attori in gioco, i quali mutano la propria azione in base all’evoluzione socioculturale della comunità e alla trasformazione degli spazi educativi interessati (Balzano, 2019, p. 220). Il richiamo, in questo passaggio, a una pedagogia attraversata da - e attraversante - tutte le tensioni e le contraddizioni del contemporaneo, globalizzazione/localismo, pluralità/pensiero unico, che generano ambienti sociali e culturali nei quali l’individualizzazione dei progetti di vita, lungi dal costituire una liberazione da legami di diverso tipo, va a scapito della formazione dell’individuo- persona. “Il soggetto/persona così come viene progettato, sul piano epistemico, […] è tendenzialmente equipaggiato sia di libertà esistenziale, sia di autonomia intellettuale. Pertanto, non è fondato né dall’esperienza soggettiva (individuale), né da quella oggettiva (socioculturale): e neppure dalla loro reciproca integrazione. […] Si presenta esistenzialmente equipaggiato di soli atti di scelta. Sono opzioni personali che garantiscono la libertà e che creano un vero sistema-di-valori:

2 Per un approfondimento maggiore sull’educare alla cittadinanza sociale oggi si rinvia al contributo monografico: V.

la scelta tra l’esistenza autentica e inautentica, tra il possibile e il quotidiano” (Cerrocchi, Dozza, 2008, pp. 17-18).

La sfida che, in un tale contesto economico, sociale e culturale, si pone per la pedagogia e l’educazione è, quindi, quella di contribuire alla realizzazione di un sistema di benessere possibile, che nasca dalle sinergie tra il soggetto e le dimensioni collettive entro le quali si costruisce la sua storia di vita. Un lavoro educativo che ha come propri assi di riferimento la dimensione progettuale e la relazione: compito della pedagogia è acquisire i dati raccolti da diversi punti di vista al fine di porre in essere processi di cambiamento e di trasformazione dell’agire educativo che siano coerenti con le finalità che essa si pone all’interno della civiltà democratica e, al contempo, aperta alle discussioni di queste stesse finalità, non dando per scontate le concezioni dell’uomo e della sua educazione che essa assume e che determinano l’idea di buona pratica educativa (Elia, 2016, pp. 11- 12). Una progettazione, quindi, che muove dalla prefigurazione di una situazione adeguatamente modificata rispetto alla sua configurazione attuale, rispetto ai problemi da affrontare, in considerazione della liquidità (Bauman, 2010) delle relazioni interpersonali.

Le prospettive pedagogiche individuate circa la possibilità di riconoscere nuovi spazi educativi, indicano che la priorità non risiede tanto nel costruire progetti per qualcuno, sia questi giovane o meno, quanto nel favorire occasioni, luoghi, esperienze che facilitino la costruzione di progetti di vita; quindi, spazi di progettualità condivisa, carichi di significato, in grado di restituire alla persona quella capacità propria di essere attore di speranza, di progettare il futuro nella difficoltà del presente. Il tutto da una prospettiva generazionale differente, di strutturazione del proprio futuro con le dinamiche e gli occhi di un minore, di fiducia e di supporto per gli adulti nei confronti dei cittadini di domani, veicolando l’azione educativa verso i principi di responsabilità (Jonas, 1990) e partecipazione.

La scuola, ad esempio, rappresenta un ambiente assolutamente fecondo di identità e di incontri, a patto che sia percepito e intenzionalmente costruito per questi fini. Tra gli ostacoli a una proficua e costruttiva convivenza nella scuola ma anche nelle relazioni sociali che si sviluppano in altri contesti, vi è la difficoltà di armonizzare visioni e stili di vita diversi all’interno di una società multietnica e multiculturale, in cui coesistono non sempre interagendo, ma spesso scontrandosi, idee politiche, pratiche religiose e atteggiamenti quasi opposti. Il fanatismo, il particolarismo, la delinquenza organizzata, il terrorismo internazionale, le minacce nucleari e ambientali, il rischio di catastrofi, creano negli individui e nei gruppi insicurezza, sospetto e paura. Ciò indebolisce a livello globale la possibilità di vivere insieme, impegnandosi in uno sforzo reciproco di conoscenza, comprensione e coscienza critica.

Convivere significa rendere la vita reciprocamente accettabile e soddisfacente, stabilire reali condizioni di comprensione e relazione fra soggetti di culture diverse. Significa sapersi collegare con gli altri e verificare la possibilità di creare uno stesso percorso di senso. Siffatta condizione si fonda sul “riconoscimento reciproco” (Anolli, 2011, p. 64) come premessa fondamentale per stabilire la propria identità, sul rispetto inteso come considerazione dell’altro, del suo spazio di vita e della legittimità dal suo punto di vista. Purtroppo, però, la scuola risente di modelli socioculturali che contrastano con questi principi, creando disconnessioni che vanno a discapito tanto dell’identità quanto dell’alterità. Gli effetti di questi modelli socioculturali, quindi, sono particolarmente evidenti nel campo delle relazioni intergenerazionali, dove si è progressivamente diffusa l’idea che l’uguaglianza si preservi annullando le differenze, a partire dalla linea verticale del rapporto adulto- minore.

Su questo telaio, i fili di trasmissione intergenerazionale sono stati sciolti e poi riallacciati intorno a una presunta democratizzazione dei ruoli che di fatto crea anarchia, disorientamento e confusione

rispetto alle proposte educative di cui farsi carico. Per l’adulto, educare significa spesso adeguare le proprie modalità relazionali a quelle proposte dalla cultura dominante; una cultura che, mentre propugna il modello di genitore “amico” del figlio e dell’insegnante “complice” dell’alunno, coltiva la rappresentazione dei minori come soggetti autarchici e indifferenti verso le reti di legami in cui sono inseriti (Pati, 2008). La crisi del contesto familiare, quindi, gioca un ruolo determinante nella costruzione del cittadino; fin dai primi anni dell’infanzia, infatti, questi è immerso in una dinamica relazionale oggi sempre più frammentata, priva o quasi di punti di riferimento solidi ed efficaci. La cittadinanza, nella sua accezione restrittiva, è definita in rapporto al sistema giuridico e legislativo di ogni specifico stato; è una categoria generale capace di interpretare e decodificare processi vecchi e nuovi perché, attraverso l’alfabetizzazione, l’orientamento e la coscientizzazione, permette l’accesso alla pluralità dei contesti che, grazie all’acquisizione dei saperi, risultano policromi e polisemantici: fare esperienza di cittadinanza (Balzano, 2017, pp. 3-4) significa per l’allievo essere formato alla convivenza, alla partecipazione consapevole, al rispetto delle differenze e all’esercizio dei propri diritti e doveri. É, sostanzialmente, “un paradigma complesso in cui tutti (bambini, adolescenti, giovani, adulti, anziani e differenti in generale) possono apprendere: secondo una dimensione orizzontale, imparando a vivere insieme nel rispetto delle diversità; in senso verticale, acquisendo l’accesso ai saperi, problematicamente insegnati nel rispetto della collocazione storica e del multiversum ermeneutico” (Salmeri, 2015, p. 108).

Di qui il problema educativo, declinato in termini di educazione alla democrazia, non è già un problema di carattere civico o politico, bensì impegno a porre tutti, democraticamente, a confrontarsi con la conoscenza, con la verità, con la dimensione esistenziale dell’umano. “L’uguaglianza non è un falso egalitarismo. La categoria di una bene intesa eguaglianza può aprirci alla solidarietà, che è condividere e sentire la sofferenza ma anche e soprattutto felicità di vivere e di operare insieme” (De Natale, 2014, p. 84).

L’educazione alla cittadinanza, secondo quel percorso che mira ad andare oltre i confini propri dell’educazione civica, poiché ci si riferisce alla dimensione e ai territori aperti, sconfinati e multiversi della convivenza civile sia nel pubblico che nel privato secondo una concezione democratica, onnilaterale e globale, si fonda su una circolarità tra il vivere bene con sé stessi e con la società, quindi l’incontro tra il singolo e piccolo gruppo e la totalità. La sua natura trasversale, inoltre, permette di analizzare i saperi disciplinari trasformandoli in comportamenti etici capaci di promuovere e migliorare la convivenza civile.

“Quando si parla di cittadinanza attiva e di democrazia in educazione non si fa riferimento al significato giuridico dei termini, ma al legame, all’intreccio di rapporti, alla relazione e al peso della responsabilità verso sé stessi e verso gli altri come gruppo in senso più ampio come società” (Salmeri, 2015, pp. 107-108). La responsabilità permette, quindi, di andare oltre il concetto classico di uguaglianza formale di fronte alla legge, perché diviene fondamenta per un educare alla cittadinanza che significa insegnare il valore fondamentale dei diritti dell’uomo, della libertà, della democrazia, della pace, della giustizia, del rispetto e della tutela delle differenze.

“L’educazione alla cittadinanza, nella forma di nuova paideia, ha l’obiettivo di fornire strumenti per interpretare e utilizzare le conoscenze, i contenuti e i saperi in senso longitudinale lungo l’arco dell’intera esistenza, in modo da accrescere e riorganizzare continuamente e in itinere l’esperienza, da accedere alla cultura e da partecipare attivamente alla vita civile e politica delle istituzioni” (Ibid., p. 17).

L’educazione, in questo scenario, si configura come il terreno naturale in cui cresce rigogliosa la persona-valore dalle cifre multidimensionali, integrali, totali: per via dell’interattività e trasversalità delle sue dimensioni di sviluppo. Sulla scia di questa idea di persona, quindi, il volto delle età

generazionali che abita le pagine della pedagogia più accreditata nel vecchio continente è decisamente distante da quella che popola l’odierna civiltà dei consumi, proprio perché stampa bambini e giovani tramutati in una umanità manichini: creata e impostata culturalmente per ragioni di mercato dall’odierna industria commerciale (Donati, 2013, p. 17). La pedagogia che si sta delineando dalla nostra analisi riflette presupposti teorici orientati a larghi consensi che rinvengono dal vecchio continente ma, al tempo stesso, orientata a combattere sia la cultura mercantile che nega l’identità storico-sociale dei giovani e, di conseguenza, i loro diritti di cittadinanza, sia le pedagogie tolemaiche ideologicamente al servizio dell’odierna società delle globalizzazioni (Sirignano, 2015).

Il recupero della singolarità, dunque, come tensione alla libertà, come orizzonte aperto a un repertorio infinito di testimonianze, opzioni, assiologie; l’idea pedagogica che la sottende è assunta con forza in sede continentale per la sua dirompenza teoretica. Questo perché la pedagogia, in sella alla singolarità, si apre sia alle praterie del possibile, del futuro, dell’utopico, sia alla frontiera ultima del soggetto- persona: il solo in grado di distaccarsi dalle metafisiche che espropriano il corredo esistenziale dell’individuo, nonché dall’illusione romantica di una naturalità individuale quale valore assoluto (Elia, 2016, p. 14).

Di qui l’attualità storico-culturale della singolarità per una pedagogia europea che aspira a legittimarsi come antidogmatica e aperta a quell’altrove dove regna il possibile e l’inattuale. L’umanità del ventunesimo secolo, quindi, dovrà decidere se porre sullo stesso piano di analisi la singolarità e l’interiorità, alla ricerca di un possibile percorso educativo moderno per la costruzione di nuovi percorsi di cittadinanza responsabile (Santelli Beccegato, 2009).

Il diritto alla cittadinanza sociale, perciò, quale proposta di questo breve saggio, diventa elemento di riflessione fondamentale per la costruzione di percorsi educativi orientati a un educare fin dai primi anni di vita. È qui, infatti, che si presta attenzione non solo ai risultati ottenuti, all’efficacia e all’efficienza, ma principalmente alla qualità delle relazioni e pertanto si praticano collaborazione, corresponsabilità, dialogo e rispetto reciproco. La scuola è, pertanto, il contesto formativo nel quale la relazione educativa si presenta in tutta la sua complessità; e non tutte le relazioni che sorgono nel contesto scolastico facilitano la formazione di percorsi educativi orientati alla costruzione di cittadinanza. Questo perché, come ampiamente dibattuto, la base di una relazione che si definisce educativa è costituita dalla disponibilità a uscire dalla propria singolarità per incontrare l’altro in nome della comunità; accettazione della diversità riconoscendola come valore inestimabile; comprensione di tale differenza messa in atto in una ricerca continua di strategie e percorsi migliori, sostenuti dall’impegno e dalla passione per aiutare gli allievi a intraprendere il percorso verso la conquista della propria umanità. Tutti elementi che è necessario sviluppare nei bambini fin dalla prima infanzia, in un contesto sano e collaborativo, ricco di stimoli che possano “tirar fuori” quanto di buono e positivo c’è in ogni persona. di buono e positivo c’è in ogni persona.

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Educare al co-sentire per una cittadinanza attiva e una sostenibilità etica

Nel documento Democrazia e Nuova Cittadinanza (pagine 47-52)

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