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Il progetto

Nel 1967, in mezzo a una ridda di progetti compiuti o in via di definizione, ritorna prepotentemente il desiderio di girare un film sull’India. All’indomani della conclusione dei lavori di Edipo Re Pasolini scrive un breve soggetto appuntandosi – come afferma in un’intervista comparsa su «Vie nuove» nel gennaio 1968 a firma del giornalista Romano Costa29 – i tratti

narrativi principali di una leggenda indiana che gli ha raccontato Elsa Morante una sera a cena e che lo ha profondamente colpito. La vicenda riguarda un ricco Maharajah che, durante una perlustrazione o una battuta di caccia nei suoi possedimenti ricoperti di neve, in pieno inverno, s’imbatte in una coppia di tigrotti affamati. Di fronte alla loro sofferenza, l’uomo s’impietosisce e in spregio alla propria vita, decide di offrirsi loro in pasto per garantirne la sopravvivenza. Il motivo per cui Pasolini resta profondamente colpito dalla storia della Morante – dicono molti suoi biografi – probabilmente risiede nel legame che essa istituisce con un episodio dell’infanzia particolarmente importante, riportato nei suoi Quaderni rossi.

Avevo cinque anni e la mia famiglia allora abitava a Conegliano. La sera di una domenica io la mamma e il babbo eravamo appena tornati dal cinematografo. Io aspettavo che fosse pronta la cena e sfogliavo certi foglietti che erano stati dati al cinematografo come réclame. Ricordo ancora una sola illustrazione ma la ricordo con grande precisione che mi turba ancora. Quanto la osservai! Che soggezione e voluttà mi diede! La divoravo con gli occhi e tutti i miei sensi erano eccitati per poterla gustare a fondo. Provavo allora lo stesso spasimo che ora mi stringe il cuore di fronte a un’immagine o a un pensiero che non sono capace di esprimere. La figura rappresentava un uomo riverso tra le zampe di una tigre. Del suo corpo si vedevano solo il capo e il dorso; il resto scompariva (lo immagino ora) sotto la pancia della belva. Ma io credetti invece che il corpo fosse stato ingoiato, proprio come il topo tra le fauci di un gatto… il giovane avventuriero, del resto, pareva ancora vivo, e conscio di essere semilavorato dalla tigre stupenda. Giaceva col capo supino, in una posizione quasi di donna - inerme, nudo. L’animale intanto lo inghiottiva ferocemente. […] Davanti a questa figura […] sentivo un brivido dentro di me, e come un abbandono. […] Intanto cominciavo a desiderare di essere io l’esploratore divorato vivo dalla belva. Da allora spesse volte prima di addormentarmi fantasticavo di essere in mezzo alla foresta e di essere aggredito dalla tigre. Mi lasciavo divorare da essa. E poi naturalmente… escogitavo il modo di riuscire a liberarmi e a ucciderla30.

29 R. Costa, L’India di Pasolini, «Vie nuove», 25 gennaio 1968.

30 P.P. Pasolini, “Quaderni rossi” in Id., Romanzi e racconti, Milano, Mondadori, 1998, Vol. I, pp. 135-136 (a cura di

Come vedremo nella prossima parte dello studio, sono diversi i motivi che spingono Pasolini a immaginare e tentare di realizzare un film in India, primo tra tutti l’esperienza sconvolgente avuta nel subcontinente qualche anno prima – tra il 1961 e il 1962 – allorché aveva visitato l’India in compagnia della stessa Elsa Morante e di Alberto Moravia, in occasione delle celebrazioni del centenario della nascita del poeta Tagore. A quel tempo, non ancora passato dietro la macchina da presa, si era «limitato» a restituire le impressioni del viaggio in forma scritta, attraverso una serie di articoli giornalistici pubblicati sul quotidiano «Il Giorno» e poi riuniti nella raccolta L’odore

dell’India. L’interesse pasoliniano verso le lotte di autodeterminazione dei paesi del Terzo mondo,

interesse che proprio negli anni Sessanta stava crescendo in molta parte dell’opinione pubblica, trovava nell’India un crocevia dal quale probabilmente non era possibile prescindere, non fosse altro perché quella di Nehru e di Gandhi era la prima grande nazione a essersi affrancata dal dominio coloniale britannico subito dopo la Seconda guerra mondiale. Fatto sta che, conclusa la produzione di Edipo Re e impostata quella per Teorema, Pasolini torna nel continente indiano tra la fine del 1966 e l’inizio del 1967, deciso a indagare sulla plausibilità di tale vicenda e sulla praticabilità di una simile produzione, intervistando intellettuali, religiosi, contadini, politici, gente comune, compiendo alcuni sopralluoghi per possibili location, individuando ipotetici attori tra le persone incontrate durante il viaggio. Nel primo soggetto che Pasolini scrive qualche settimana prima di partire per l’India – intitolato Storia indiana e poi pubblicato, anni dopo, nella raccolta di scritti e interviste sul cinema curata da Luciano De Giusti in occasione di un’importante retrospettiva sul regista svoltasi a Pordenone nel 197931 – è già prevista una seconda e più corposa parte narrativa,

inventata dallo stesso regista e ambientata nell’India contemporanea, quella democratica post 1949. In questa seconda e più preponderante parte dell’ipotetico film, la famiglia del Maharajah, morto il capofamiglia e persi tutti gli averi, comincia a errare in preda alla fame attraversando un paese impoverito e colpito dall’ennesima terribile carestia. La moglie e i quattro figli del Maharajah, nel tentativo di raggiungere la città santa di Benares, moriranno, secondo l’idea Pasoliniana, uno dopo l’altro durante il tragitto, in una sorta di tremendo contrappasso al primo sacrificio del Maharajah. La verifica in loco di questa seconda parte del soggetto, sempre seguendo un approccio da giornalismo d’inchiesta, diventa occasione per Pasolini per informarsi su altri temi indiani come il

31 P.P. Pasolini, “Storia indiana” in Id. Il cinema in forma di poesia, (a cura di L. De Giusti), Pordenone, Cinemazero,

controllo delle nascite, l’abolizione delle caste, gli effetti dell’industrializzazione, interrogando politici, direttori di giornale, intellettuali ecc.

Presentato in una sezione collaterale della Mostra del cinema di Venezia del 1968, Appunti per un

film sull’India passa pressoché inosservato tra gli addetti ai lavori. Durante la prima e unica

proiezione cinematografica in sala, la critica, l’opinione pubblica e persino lo stesso regista sono «distratti» da altri episodi più «scottanti» che si svolgono in quei giorni al lido. Nel concorso principale di quella stessa edizione Pasolini presenta Teorema, opera ideologicamente scomoda che vale al cineasta l’ennesimo sequestro del film e la relativa denuncia alla magistratura per «oscenità»32;

la Mostra, come altri eventi pubblici di quel periodo, è sottoposta a forti tensioni sociali, a moti di protesta e agitazione, in un’edizione particolarmente travagliata che vede – con Pasolini sempre in prima fila – manifestazioni di piazza, occupazioni simboliche del Palazzo del Cinema, trattative tra dimostranti e organi istituzionali, contestazioni alle feste e celebrazioni più sfarzose, rinvii dell’inaugurazione, critiche all’establishment e le dimissioni finali del direttore Chiarini33. Al di là di

questa prima sfortunata proiezione, è più in generale la forma ibrida di Appunti a risultare difficilmente collocabile nelle griglie un po’ strette dei format audiovisivi: non è un lungometraggio destinato alle sale, è un prodotto televisivo non particolarmente vendibile (andato in onda all’interno della trasmissione TV7 il 5 luglio 1968), non appartiene ad alcun genere codificato (non è una fiction, non è un documentario, non è un film d’arte), ha una durata troppo breve (persino irrisoria se paragonata ad esempio ai lavori di Rossellini o Malle), si presenta come banale materiale di documentazione di un progetto; vede la luce in un periodo creativo-produttivo talmente ricco e fertile di altre pellicole e, con esse, di polemiche, discussioni, provocazioni, da subissare letteralmente di altre immagini e di altri discorsi il già gracile corpo filmico di quel lavoro34. Come

vedremo, in verità, Appunti è un film centrale sia dal punto di vista delle esperienze pasoliniane

32 Cfr. E. Siciliano, Vita di Pasolini, Milano, Rizzoli, 1978.

33 Per un approfondimento sul cinema di quegli anni si rimanda a: L. Chiarini, Un leone e altri animali. Cinema e contestazione alla Mostra di Venezia 1968, Milano, Sugar Editore, 1969; M. Bongiovanni, A. Scwrz, Venezia provvisoria / La XXX Mostra del cinema un anno dopo la contestazione, Torino, ECS/Centro Studi cinematografici, 1970; C. Cosulich, ’68 e dintorni, Milano, Il Castoro, 1998; P. Rizzi, E. Di Martino, Storia della Biennale, 1895-1982, Milano, Electa,

1982.

34 Pasolini realizza nel giro di tre/quattro anni una decina di prodotti audiovisivi, tra fiction, documentari ed episodi di

film collettivi: nel ’66 firma Uccellacci uccellini, nel ’67 Edipo Re, Le streghe (episodio La Terra vista dalla Luna) e

Capriccio all’italiana (episodio Che cosa sono le nuvole?), nel ’68 oltre agli Appunti firma Teorema e Amore e rabbia

(episodio La sequenza del fiore di carta), poi, nel ’69 è la volta di Porcile, Appunti per un’Orestiade africana e, infine,

dell’alterità, sia da quello della pratica formale e narrativa che svilupperà in altri successivi lavori come, ad esempio, in Appunti per un’Orestiade Africana

Luoghi visitati, durata del soggiorno, location

Sebbene sia difficile ricostruire gli esatti movimenti di Pasolini in India seguendo solo le immagini del film, che si articolano senza seguire alcun criterio di omogeneità temporale o spaziale, è possibile definire i luoghi di passaggio del regista grazie ai documenti raccolti dal Fondo Pier Paolo Pasolini ora situato presso la Cineteca Lumière di Bologna35. Nelle poche settimane di viaggio, dalla

fine di dicembre del 1967 all’inizio di gennaio del 1968, Pasolini è di stanza per diversi giorni a Mumbai, nello stato del Maharashtra. Qui incontra romanzieri, intellettuali, sceneggiatori, registi presso il giardino del Taj Mahal Hotel, visita la sede del Parlamento Indiano, la Porta dell’India, il Palace Kailas (dove si trova l’appartamento del Maharajah vestito in abiti occidentali), la fabbrica della Fiat nella periferia della metropoli, davanti ai cui cancelli ha modo di intervistare alcuni operai, e infine la sede del quotidiano «The Times of India». Nello stato di Uttarakhand, nel nord dell’India, transita per Rishikesh, visitando un convento induista, Ganga Kinare (la zona del mahatma locale che rifiuta l’intervista) nei pressi di Gita Bhawan nel quartiere di Garhwal (dove scorre il Gange), per la capitale Dehradun. Nello stato del Rajastan visita Udaipur e i suoi monumenti (il palazzo della Citta, il palazzo del Lago), Jaipur e Ajmer. A New Delhi Pasolini si trattiene per intervistare uno dei rappresentanti del Partito Comunista e, presso l’Urdu Bazar, alcuni degli abitanti della città (interrogandoli sulla politica di controllo delle nascite). Dal diario di produzione risultano come tappe del soggiorno anche Ramel nell’Uttar Pradesh, Gurdaspur nel Punjab (dove incontra e filma il soldato che dovrebbe recitare la parte del Maharajah), la Connaught Place, il Qutub Minar e il Forte Rosso di Nuova Delhi, il villaggio di Wawarli, il quartiere di Kamathipura a Mumbai.

Sinossi

Le prime immagini sono di difficile decodifica. Il ritratto che fa da sfondo ai titoli di testa è quello di un giovane uomo con un turbante che guarda fisso davanti a sé. Non sappiamo chi sia (ma lo scopriremo più avanti). Di seguito alcune camera car riprese dall’abitacolo di una automobile, giustapposte a dettagli di difficile collocazione toponomastica, ci conducono innanzi ad alcuni simboli identitari di Mumbai: il Gate of India, il Parlamento, la

35 P.P. Pasolini, Le regole di un’illusione. I film, il cinema, Roma, Associazione «Fondo Pier Paolo Pasolini», 1991, pp.

bandiera della Repubblica indiana. Attraverso un veloce montaggio parallelo osserviamo anche alcuni avvoltoi che si alzano in volo, altri che divorano le carni di un bovino e, a seguire, i dettagli delle mani e dei piedi di alcuni lebbrosi, poi un uomo che prega.

Con uno stacco rapido e improvviso, ci ritroviamo innanzi a un convento di Rishikesh, nello stato federato dell’Uttarakhand, nell’India settentrionale; siamo in un barcone, in mezzo a molti indiani che osservano la macchina da presa con curiosità, senza distogliere lo sguardo dall’obiettivo. Siamo sulle acque del Gange, al confine con la Cina. Davanti al convento, sotto un porticato affrescato, Pasolini incontra un giovane portatore d’acqua. La voce narrante del regista – che vediamo per pochi istanti mentre tiene in mano un libro – spiega qual è l’obiettivo del viaggio in India: fare «un film su un film sull’India», vale a dire verificare se è possibile realizzare un film ambientato nel grande subcontinente che affronti i due «temi decisivi dell’intero Terzo mondo: la religione

e la fame». Il film che Pasolini progetta di girare verte sulla leggenda del Maharaja narratagli dalla Morante.

Pasolini visita il convento Rishikesh per capire, direttamente dalla voce dei monaci, se l’episodio del Maharajah sia plausibile per la religione indiana oppure no. Il giovane portatore d’acqua è il primo degli intervistati da Pasolini. Per il ragazzo i monaci oggi si comporterebbero nello stesso modo se si trovassero nella medesima situazione del Maharajah.

Sul greto del fiume Gange, la macchina da presa di Pasolini insegue uno dei Mahatma più noti della zona per interrogarlo sullo stesso quesito. L’uomo si rifiuta di rispondere e si allontana ritirandosi nella sua grotta. A rispondere è un secondo sadhu che afferma di essere disposto a sacrificarsi, ma di poter parlare solo per se e non per gli altri religiosi del convento. Un terzo sadhu, intervistato in riva al fiume, dopo aver spiegato il motivo per cui un Maharajah, così come ogni indiano, è disposto a sacrificare se stesso per il bene di un altro essere vivente, alla domanda di Pasolini sulla verosimiglianza del gesto nell’India contemporanea, spiega che la storia del Maharajah non va presa alla lettera, ma come una sorta di parabola che insegna il valore della compassione per gli altri.

Con un brusco stacco siamo a Bombay, dove Pasolini va in visita a un Maharajah che vive in un ricco quartiere residenziale, vestito con abiti occidentali, in un appartamento arredato con gusto moderno. Il Maharajah di Bhavnagar sostiene che il suo avo avrebbe catturato le tigri e le avrebbe condotte a palazzo per dare loro da mangiare, rifiutando l’idea di sacrificarsi in prima persona a meno di non avere un sentimento profondamente religioso. La moglie del principe, seduta accanto e vestita con un elegante sari – a precisa domanda di Pasolini che le chiede come si comporterebbe se dovesse recitare nel ruolo della moglie di un Maharajah caduto in disgrazia – replica che non si sentirebbe diversa dal solito, vivrebbe senza imbarazzo in mezzo ai poveri e agli intoccabili.

Vediamo in primo piano il giovane con il turbante che era già comparso nei titoli di testa. Sembra che stia parlando, ma non sentiamo la sua voce, così come era avvenuto per il portatore d’acqua di Rishikesh. Sempre in

voice over è il regista ad «aprire bocca» e affermare che ha scelto il giovane come attore-protagonista del suo

eventuale film: anche lui – ci dice Pasolini – si sacrificherebbe per permettere ai tigrotti affamati di sopravvivere. Il ragazzo, dal diario di produzione, risulterebbe essere Arjun Singh, un soldato ventottenne incontrato a Ramel – Gurdaspur nel Punjab

Un elefante. Panoramiche sul City Palace di Udaipur, vegliato da un elefante, dove vive tuttora un Maharajah. Altre immagini dall’esterno del Palazzo sul Lago sempre a Udaipur, già location scelta da Lang per il suo dittico indiano (e, infatti, Pasolini lo definisce «un po’ troppo esotico») e infine riprese in camera car della facciata del Hawa Mahal (il Palazzo dei Venti) di Jaipur, residenza del Maharajah Sawai Pratap Singh, che il cineasta reputa essere adatto per la residenza principesca dove ambientare la prima parte del film.

Ora la macchina da presa è «scesa per le strade». Tra le strade di Mumbai, vediamo un addensarsi di persone attorno a un musicista che suona uno strumento a corde. Insieme a lui, un bambino con un tamburo. Un rapido movimento di macchina ci mostra sullo sfondo le mura e la loggia dalla quale – ci dice Pasolini – Gandhi parlava al popolo. Poco distante dalle mura, mentre la voce extradiegetica descrive, per sommi capi, la trama del «film da farsi», soffermandosi sulla parte «contemporanea», ambientata dopo l’indipendenza, in un’India che deve risolvere il problema della sovrappopolazione, delle caste, della sterilizzazione, altri musici suonano e altri curiosi si fermano, chi osservando la partitura melodica, chi la troupe al lavoro. Mentre la colonna sonora propone la Sonatina tratta dalla Cantata BWV106 «Actus Tragicus» di Bach, un lento movimento di macchina si sofferma – spesso fuori fuoco – sui primi e i primissimi piani di alcuni uomini, cercando di catturarne la profondità dello sguardo. Così è per una serie d’inquadrature di bambini, donne, anziani, altri uomini, incontrati per le strade: tutti o quasi fissano la macchina da presa con espressioni che vanno dal corrucciato all’imbarazzato, dall’incuriosito all’infastidito. Il ciclo di ritratti si conclude con il primo piano di un ragazzo non vedente con il volto tumefatto dalla lebbra.

Sotto il Gate of India, in riva al mare, Pasolini intervista una consigliera comunale della capitale chiedendole se è pensabile che la moglie di un Maharajah caduta in disgrazia si mescoli con le altre caste più umili e accetti il pane anche se offerto dai cosiddetti «intoccabili». L’anziana signora afferma che, in condizioni di reale indigenza, questa situazione potrebbe accadere, ma che sarebbe una prova difficile per la moglie del Maharajah oltre che improbabile. D’altronde – continua, sollecitata dalle domande del regista – ancora oggi gli «intoccabili» vivono segregati, ai margini della società, principalmente impiegati come netturbini e dunque è difficile mescolarsi con loro. A quel punto, il regista vorrebbe intervistare un «intoccabile» e la consigliera comunale si attiva, nei pressi del Gate, per trovare qualche rappresentante di questa casta. Individua prima una donna che si limita a segnalare il suo paese d’origine e in seconda battuta un giovane ragazzo sorridente.

Per indagare ancora sul problema della sovrappopolazione, il regista si sposta a Nuova Delhi dove intervista il segretario locale del Partito Comunista a proposito della legge sulla sterilizzazione della popolazione. L’uomo, ripreso dal basso in alto, alle spalle sventolante la bandiera comunista, risponde che il partito non è d’accordo con la proposta di legge in quanto occorre educare responsabilmente la popolazione, coinvolgendola con metodi più democratici. Di contro, nelle strade della città, i lavoratori incontrati da Pasolini, interrogati sul medesimo quesito, ripresi attraverso altrettanti primi piani, si rivelano favorevoli a metodi statali per il controllo delle nascite. La stessa cosa accade quando – dopo una serie di camera car dedicate ai cartelloni pubblicitari dei film – il regista interpella alcuni intellettuali incontrati davanti alla fiera del libro. Solo l’ultimo degli intervistati afferma che la lotta all’indigenza e alla fame si combatte producendo di più e adottando metodi meno coercitivi. Pasolini si inoltra in un villaggio di contadini. La voce narrante mescola toni elegiaci e altri di disillusione. Mentre l’operatore – camera in spalla – si incammina verso il villaggio, riprende abitazioni, cortili, sguardi di anziane e bambini, oppure di uomini allegri, il regista chiosa «Ci siamo entrati quasi clandestinamente, timorosi di

rompere chissà che incanto. Il villaggio era immerso in una profonda pace meridiana, una pace preistorica, e non priva di una dolcezza quasi elegiaca. Gli abitanti del villaggio ci hanno colto sorridendo, con grande dolcezza e uno spirito di ospitalità addirittura commovente essi ci hanno accolto e sorriso. Ci hanno mostrato come lavorano, quali siano le loro tecniche, che sono le stesse di due o tremila anni fa, ma quando abbiamo chiesto loro di parlarci sulla sterilizzazione, non hanno voluto saperne. […] Sono estranei a questo problema». Gli uomini si allontanano,

gentilmente declinano l’attenzione del regista e della macchina da presa.

Jaipur. Totale del Palazzo del Vento. La voce over ora s’interroga su quali potrebbero essere gli attori che interpreteranno i co-protagonisti del film: la moglie del Maharajah, i suoi quattro figli. Mentre riprende la Sonatina di Bach, vediamo scorrere sullo schermo alcune illustrazioni di donne indiane, tra le quali il regista individua un tipo-ideale (una specie di Maternità, ovvero una donna con in braccio un neonato), poi primi piani

di preadolescenti che, ripresi tra la folla, guardano sorridenti in macchina, tra cui sceglie il volto di colui che potrebbe interpretare il figlio maggiore della famiglia. Stesso meccanismo di «selezione» viene seguito per quanto riguarda il fratello minore e la sorella più piccola: dopo diversi primi piani di bimbi e bimbe, l’attenzione della macchina da presa si sofferma su una ragazzina che Pasolini definisce un «tenero e dolce agnellino».

Mentre – sempre in camera car – vediamo scorrere l’enorme tubatura di un oleodotto, la voce del regista precisa