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Si è detto poche pagine fa che questo capitolo voleva presentarsi come una sorta di documento di «responsabilità editoriale», un’introduzione paratestuale nella direzione data dal foglio volante de

L’Afrique fantôme. A ben vedere, le tre caratteristiche qui sopra evidenziate – volatilità/dispersività,

fallimento come innesco per nuovi viaggi, messa in discussione della relazione gerarchica centro/periferia – rappresentano un trait d’union tra il contenuto di questo volume, l’impostazione metodologica scelta per la ricerca e il soggetto che abbiamo deciso di studiare. Nel delineare questa sorta di gioco di specchi e di reciproche assimilazioni c’è – non troppo nascosto – il desiderio di trasformare in forza speculativa quella che rappresenta, a tutti gli effetti, la debolezza insita nel tracciato analitico intrapreso. Come scritto qualche riga fa, alla luce delle ricerche svolte sui singoli film qui riuniti, abbiamo maturato la convinzione di una difficile collazione tra i testi, almeno sul piano delle corrispondenze dirette e dei riferimenti immediati (ad esempio tra strategie configurative scelte, luoghi di viaggio frequentati, contesti sociali-politici-ideologici di riferimento). Non abbiamo a che fare con pellicole che appartengono a un genere prestabilito e dall’identità solida (ad es. il film d’avventura, il melodramma, il roadmovie, ecc…) né che partecipano a un movimento cinematografico coeso come nel caso (pur parziale) del Neorealismo o della Nouvelle Vague, dunque

13 F. Ciaramelli, La distruzione del desiderio. Il narcisismo nell’epoca del consumo di massa, Bari, Edizioni Dedalo, 2000,

con opere raffrontabili tra loro nel segno di una tassonomia. Se i titoli qui studiati condividono, in modi epidermici, la dinamica del viaggio, nondimeno conservano tratti specifici, personali e radicali, seguono traiettorie centrifughe, adottano stilemi e registri ampiamente variabili.

Come avviene per il diario di Leiris, il fallimento di un’iniziale ipotesi di ricerca non ci ha spinto ad arrestare il cammino, bensì a riprenderlo adottando alcune cautele e direzioni di marcia tra loro eterogenee. Si è innanzi tutto scelto di concentrarci – nella seconda parte della tesi, intitolata

Avvicinamenti – su «microstorie», presentando approfondimenti di taglio essenzialmente

storico/descrittivo dedicate alle vicende produttive che hanno portato alla realizzazione delle pellicole odeporiche moderniste. L’idea è stata di avvicinarsi progressivamente al tema discusso affrontando, uno per volta, la genesi e la storia dei singoli film di viaggio, offrendo al lettore un quadro generale del fenomeno attraverso la presentazione di alcune tessere che scoprirà essere talora giustapponibili talora no, ognuna indipendente e autonoma dalle altre, ognuna ricondotta a una propria narrazione generativa. I focus così concepiti hanno inteso valorizzare le specificità dei viaggi e soprattutto ripercorrere i tragitti compiuti dai registi e dalle loro troupe con lo scopo di individuare le tracce lasciate durante il cammino. Intendiamo per tracce, o per impronte, sia i riferimenti concreti a luoghi, situazioni, ambienti, circostanze vissuti e attraversati in prima persona dai cineasti (desumibili da fonti dirette e indirette – testi critici, testi autobiografici, testi biografici – e/o catturate dall’occhio della macchina da presa e riconfigurate come diario audiovisuale di viaggio), sia le questioni teoriche che gli stessi film sollevano in particolar modo riguardo i temi dell’alterità, dell’esotismo/orientalismo, dell’estraneità. Come avremo modo di vedere, alcuni nodi problematici qui identificati si riveleranno comuni a più film (ma mai a tutti), mentre altri resteranno confinati nei perimetri di pertinenza della singola produzione. Essi potranno riguardare ad esempio aspetti di natura tecnica (la collocazione della macchina da presa nei «luoghi dell’altro», l’uso ambivalente di immagini ibride, sintetiche o di repertorio, la scelta di affidarsi a registri finzionali o documentaristici o sperimentali, la reificazione o meno dell’autore nella diegesi), oppure ambiti di orientamento relazionale (l’approccio didattico/maieutico con l’alterità, i modi configuranti vicinanze e/o distanze tra culture allogene e indigene, l’attrazione per l’«altro» nell’alveo della sessualità, o del rituale, o dello spirituale); potranno concernere questioni di carattere

rappresentativo (l’ambivalenza dell’immagine esotica, la «comodità» dello stereotipo, la ricerca dello specifico etnico, la funzione dell’attore) oppure di respiro autobiografico (l’immaginario infantile del viaggiatore, il ruolo della memoria, i ventaglio di sentimenti provati); potranno veicolare considerazioni di valore estetico (il recupero dell’orientalismo pittorico europeo, il piacere dell’arte o della scultura indigena, le dinamiche intertestuali e metadiscorsive interne ai testi), oppure arroccarsi alle contraddizioni ideal-tipiche del culturale (l’ideale della vita agreste, i legami con il mito, le aporie della modernizzazione) e così via.

Aggiungiamo un’altra precisazione: ogni approfondimento è assegnato, per comodità, a capitoli suddivisi per aree geografiche (India, Cina, Giappone e resto del continente asiatico) ed elaborato seguendo un unico format che faciliti tanto eventuali, parziali e solo successive comparazioni, soprattutto sul fronte della cristallizzazione di certi itinerari di viaggio, quanto differenze e peculiarità di ogni tragitto. Senza transizioni che facciano sfumare un’esperienza produttiva nell’altra, senza avanzamenti diacronici, senza progressività evenemenziali, le «mappe» disegnate possono essere ripercorse dal lettore in maniera libera e autonoma, secondo raggruppamenti che seguono criteri di lettura anche alternativi a quello da noi preferito: si potrà ripercorrere ad esempio in serie i film di un medesimo autore, oppure quelli che appartengono a un medesimo genere o registro (film documentario, sperimentale, film diaristico, ecc…), o ancora quelli che appartengono a una determinata stagione cinematografica (gli anni Cinquanta, il Sessantotto) e così via. Detto altrimenti: ci si potrà costruire un proprio percorso di viaggio nei viaggi14.

Declinate le «mappe» nella direzione pendolare di un fallimento che sospinge egualmente alla pluralità dei cammini, abbiamo deciso di comporre le successive parti del lavoro sperimentando le altre due caratteristiche individuate nella preghiera leirisiana: la volatilità/dispersione su un versante,

14 Se c’è un rammarico nella struttura «pendolare» adottata – ovverosia nella decisione di compiere tante spedizioni

isolate quante sono i film studiati per poi ritornare ogni volta alla base e ripartire per una nuova «scorreria» – riguarda la relativa «povertà» dell’apparato storico-testimoniale riprodotto a supporto dei singoli approfondimenti. La sintesi del contesto dentro il quale si sono realizzate le produzioni filmiche qui riunite si è rivelata una scelta obbligata per almeno due ragioni: da una parte per riuscire a dare «voce» e valore ai reali itinerari odeporici, ovvero a quell’insieme di tragitti scelti, tappe e città attraversate, incontri esperiti, atteggiamenti adottati che si possono tastare con mano solo attraverso la ricostruzione minuziosa ed estesa delle sinossi filmiche, qui considerate come un luogo proto-narrativo ideale per sentire fisicamente la fatica di un cammino e per imbattersi nella prevedibilità o nell’imprevedibilità dell’esperienza odeporica; dall’altra parte per poter garantire una estensione sostenibile al volume, per cercare di evitare – come forse non siamo riusciti a fare – una monumentalità del testo esagerata e, dunque, improduttiva.

la perdita di relazione centro/periferia sull’altro. L’impostazione dei successivi capitoli si presenta, infatti, come una specie di compilazione duttile e parzialmente dispersiva di alcune argomentazioni tra loro raccolte e abbinate per echi e risonanze, senza mai cercare un moto centripeto verso un nucleo di indagine definito e stabile. Al contrario, si sono individuati alcuni nodi problematici – relativamente alle questioni sopra accennate: la relazione con l’«altro» e l’«alterità», lo sguardo etnografico ed etnocentrico, la posizione dell’«autore», la questione della mimesis, la spazio della finzione, la (in)consapevolezza modernista – e si sono percorsi in tutta la loro estensione speculativa, accogliendo le gibbosità del terreno, accettando di compiere deviazioni di marcia, arrestandoci in alcuni punti «panoramici». La terza parte – intitolata Approssimazioni – ha raccolto così alcune riflessioni sulla produttività dello spazio timico insito nella dinamica del viaggio, in modo particolare sul valore relazionale affidato all’alveo dell’impressionistico, del malinteso, dello stereotipo, dell’approssimato (in tutte le sue accezioni). Optando, causa obbligo di sintesi, per l’indagine di soli tre casi studio, ovvero quelli di Rossellini e Pasolini in India e Antonioni in Cina (scelti per ragioni di omogeneità culturale, anche se i medesimi discorsi potevano abbracciare le vicende produttive di altri cineasti), si è costatata quanta importanza abbia giocato nella proliferazione di determinate e nient’affatto scontate percezioni dell’alterità, il profilo autoriale, autorevole e sociale assegnato ai suoi protagonisti. In estrema sintesi, abbiamo notato un portato «soggettivante» fatto di atteggiamenti, prese di posizioni, convinzioni politico/ideologiche, bisogni identitari, che si è scontrato con un portato «oggettivante» fatto di paradigmi culturali cristallizzati, contingenze di viaggio, negoziazioni impreviste, dalla cui conflittualità è stato possibile evincere, plasticamente, la fruttuosità dell’approccio semio-pragmatico teorizzato e praticato da Odin, grazie al quale la tensione verso l’immanenza del testo non si scontra mai, ma convive e dialoga con la sua pragmatica15; o ancora, su altri piani, la produttività di quella «fenomenologia responsiva» così come

l’ha intesa Waldenfels, fatta di reazioni, prese in carico, collocazioni nei discorsi della/sulla diversità in modi eterogenei e del tutto imprevisti16. Nella quarta parte del volume – intitolata Seduzioni – si

sono invece dispiegati dei ragionamenti direttamente legati alle forme e ai modi della

15 R. Odin, Les Espaces de communication. Introduction à la sémio-pragmatique, Grenoble, Presses Universitaires de

Grenoble, 2011 (tr. it. Gli spazi della comunicazione. Introduzione alla semio-pragmatica, Bologna, Editrice La Scuola, 2013, pp. 17-32).

16 A tal proposito, oltre ai testi già citati nei precedenti capitoli si rinvia a F. G. Menga, La “passione” della risposta. Sulla fenomenologia dell’estraneo di Bernhard Waldenfels, «AUT AUT», n. 316-317, 2003, pp. 209-237.

rappresentazione esotico/orientalista, elaborando ipotesi di lettura sulle forme narrative del film odeporico, sull’uso della voce extradiegetica, sull’importanza dei processi di finzionalizzazione della rappresentazione dell’«altro», sul valore etnografico – se ne esiste uno – dell’esperienza sul/in campo (intendendo campo sia in termini etnografici che cinematografici) dei registi odeporici.

Non si cerchi un principio coagulante dei discorsi, salvo che non si voglia valutare uniformante la determinazione di muoversi nelle periferie delle immagini, dei formati e delle esperienze, oppure la scelta di trasferire l’approccio semio-pragmatico (o la fenomenologia responsiva) su un mesocosmo teorico che s’innalza parzialmente dalla materialità del film. Non si cerchi neppure una coesione degli approcci assunti. Contrariamente a quanto solitamente fanno gli studi di area, sottoponendo un oggetto di studio a uno sguardo disciplinare omogeneo e strutturato, qui si è preferito affidarsi a una letteratura eterogenea e sfaccettata per cercare di mantenere fitto e ricco di spunti significanti un fenomeno a sua volta impostato – ci venga perdonata la ripetizione di un punto nondimeno decisivo – sulla dispersione, la marginalità, la volatilità degli assunti. Ci è sembrato utile, in altre parole, sottomettere i film studiati a un ventaglio di letture eteroclite che cercasse di attualizzarne i discorsi, sottraendoli alle contingenze storiche in cui sono nati e spesso all’impostazione ideologica che ne ha determinato la genesi, lasciando che fossero le problematiche sollevate a costruirsi una propria «semiosfera» di riferimento, a cercarsi le proprie fonti e le proprie autorità discorsive di riferimento: parti del testo saranno pertanto attraversate da alcune teorie dell’«altro» emerse in ambito filosofico o linguistico, altre saranno influenzate da posizioni maturate all’interno dell’antropologia «postmoderna», altre restituiranno l’eco degli studi narratologici dedicati ai cosiddetti «mondi immaginari», altre ancora annetteranno ricerche di stampo cognitivista declinate però sul fronte delle ricezioni delle immagini della diversità, altre ancora interrogheranno nuovamente le teorie ontologiche del cinema, altre infine seguiranno i tracciati di alcuni cultural e postcolonial studies e così via. La reticolatura così prodotta ambisce a sorreggere e rendere credibili e resistenti attività di comparazione filmica che rischierebbero, di fronte a un’unica prospettiva metodologica, di cadere in essenzialismi o in eccessive semplificazioni. Detto altrimenti: cambiare sguardo, alternare analisi di prossimità e ragionamenti astrattivi, è diventato, con il procedere della scrittura, quel grimaldello

capace di mettere in salvo il testo dalla lusinga dell’approccio finalistico o dall’abitudine rassicurante alla tassonomia.