Il progetto
Rossellini atterra in India nel dicembre del 1956 – a pochi mesi di distanza dal primo soggiorno langhiano – insieme al direttore della fotografia Aldo Tonti1. È da almeno un anno che cova il
desiderio di realizzare un film in India e sull’India. Le ragioni che lo guidano sono molte, prima fra tutte la curiosità per la cultura millenaria del paese confrontata con la grande opera modernizzatrice voluta dal nuovo corso democratico2. Certo, un peso nella scelta di abbandonare momentaneamente
l’Europa deve averla avuto anche la situazione di difficoltà finanziaria e professionale che l’autore attraversa in quel periodo, determinata dagli esiti deludenti dei suoi film i più recenti (da Viaggio in
Italia a La paura e Giovanna d’Arco al rogo) e dalla crisi matrimoniale con Ingrid Bergman, che
1 Buona parte delle informazioni raccolte sull’esperienza rosselliniana in India è tratta dai seguenti volumi: S. Sen Roy,
“Notes” in A. Aprà (a cura di), Rossellini. India 1957, Roma, Cinecitta international, 1991; A. Aprà, In viaggio con
Rossellini, Alessandria, Edizioni Falsopiano, 2006; N. Bourgeois, B. Benoliel (a cura di), India. Rossellini et les animaux,
Parigi, Cinémathèque Française, 1997; P. Brunette, Roberto Rossellini, Los Angeles, University of California Press, 1996; L. Caminati, Roberto Rossellini documentarista. Una cultura della realtà, Roma, Carocci, 2012; S. Dasgupta, Altro mondo, Milano, Longanesi, 1961; J. Herman, Rossellini tourne India 57, «Cahiers du cinéma», n. 73, Luglio 1957, pp. 77-78; Id., Rossellini. L’anti-digest défakirisateur, «Cinéma 57», n. 21, Settembre/Ottobre 1957, pp. 44-49; D. Padgaonkar,
Under Her Spell. Roberto Rossellini in India, New York, Penguin Group, 2008 (tr. it. Stregato dal suo fascino. Roberto Rossellini in India, Torino, Einaudi, 2011); A. Quintana A., J. Oliver, Roberto Rossellini, la Herencia de un maestro,
Valencia, Ediciones della Filmoteca, 2005; G. Rondolino, Roberto Rossellini, Torino, UTET, 2006; R. Rossellini, La
mia “India”, «Filmcritica», Vol. XXXIX, n. 390, Dicembre 1988, pp. 571-574; Id., Quasi un’autobiografia, Milano, A.
Mondadori, 1987 (edizione a cura di S. Roncoroni); Re. Rossellini, O. Contenti (a cura di), Chat room Roberto
Rossellini, Roma, Luca Sossella Editore, 2002; A Tonti, Odore di cinema, Firenze, Vallecchi, 1964; J. Vautrin, J’ai fait un beau voyage. Photo journal 1955-1958, Parigi, Editions du Cercle d’Art, 1999; T. Gallagher, The Adventures of Roberto Rossellini. His Life and his Films, New York, Da Capo Press, 1998.
2 L’ampia letteratura prodotta sull’esperienza indiana di Rossellini ci permette di ricostruire con una certa precisione il
bacino di intenzionalità che spinge il cineasta al viaggio e che ne giustifica decisioni di natura produttiva, tecnica, estetica. Rossellini, peraltro, si è speso molto in prima persona per raccontare i motivi che lo hanno indotto a girare la serie televisiva L’India vista da Rossellini e il lungometraggio di finzione India Matri Bhumi. Torneremo nel capitolo 11 su molti dei temi qui affrontati e sulle questioni via via sollevate, e ci concentreremo in modo particolare sul senso di molte dichiarazioni rilasciate negli anni dallo stesso cineasta. In questa sede, per ogni riferimento circa le intenzioni rosselliniane, ci si accontenta di rimandare ai principali testi vergati in prima persona da Rossellini o che ospitano sue riflessioni raccolte in varie circostanze. Cfr. R. Rossellini, Il mio metodo. Scritti e interviste Venezia, Marsilio, 1987 (edizione a cura di A. Aprà); R. Rossellini, La mia “India”, cit.; R. Rossellini, Quasi un’autobiografia, cit.
spingerà la coppia a seguire strade lavorative sempre più divergenti3. A metà degli anni Cinquanta,
Rossellini è dunque in un periodo particolarmente delicato della sua carriera. Ha abbandonato l’Italia, trasferendosi a Parigi (per accompagnare la Bergman impegnata in città sul set di Eliana e gli
uomini di Jean Renoir), accarezza l’idea di realizzare diversi progetti cinematografici o su
committenza (persino uno che arriva da una major americana per un film da girare in Giamaica) o su iniziativa personale, maturando lentamente quelle convinzioni sul cinema didattico che ne contraddistingueranno la seconda parte della carriera, quella «pedagogica», della sperimentazione televisiva4. In questi stessi mesi, nella capitale francese, ha occasione di riallacciare i rapporti con
vecchi amici come Jean Renoir (che gli parla a lungo della sua esperienza bengalese) e di conoscerne di nuovi: il gruppo dei giovani critici che ruota attorno alla redazione dei «Cahiers du cinéma», ad esempio, tra cui in modo particolare c’’è François Truffaut5; o ancora come Jean Rouch, cineasta-
etnografo del quale dimostra di apprezzare i primi film e che raccomanda ad amici e colleghi6.
Secondo la ricostruzione di Gianni Rondolino, i primi ragguagli pubblici sul film indiano Rossellini li esterna già nell’autunno del 1955, dichiarando alla rivista «Cinema Nuovo»7 di essere intenzionato
a visitare l’India per
3 Rossellini è piuttosto restio a raccontare eventi che appartengono alla sua vita privata (peraltro a ragione, vista la
continua eccessiva esposizione mediatica che subisce, spesso da parte di una stampa scandalistica particolarmente retriva), ma una fonte diretta di alcuni passaggi della sua vita si può reperire nella biografia dell’altra protagonista della vicenda, vale a dire Ingrid Bergman. Per ulteriori dettagli si rimanda pertanto a I. Bergman, A. Burgess, Ingrid Bergman.
My Story, New York, Delacorte Press, 1980 (tr. it. Ingrid Bergman. La mia storia, Milano, A. Mondadori, 1983). 4 Cfr. A. Aprà, Roberto Rossellini. La télévision comme utopie, Parigi, Ed. Cahiers du cinéma, 2001.
5 N. Bourgeois, “À la recherche du pays réel. Histoire et geographie du tournage d’India” in N. Bourgeois, B. Benoliel (a
cura di), op. cit., pp. 13-16.
6 Il rapporto tra Rouch e Rossellini è decisivo tanto per il primo cineasta, ancora giovane e alla ricerca di punti di
riferimento nel mondo del cinema, quanto per il secondo, alla ricerca di chi avesse esperienze d’uso di tecnologie leggere e dei primi sistemi di registrazione sincrona del suono. Sul rapporto Rossellini-Rouch si veda: P. Henley The Adventure
of the Real. Jean Rouch and the Craft of Ethnographic Cinema, Chicago, University of Chicago Press, 2010; C. Marabello, Sulle tracce del vero. Cinema, antropologia, storie di foto, Bompiani, Milano, 2011, pp. 321-420. Per ritrovare un
commento al cinema di Rouch da parte del cineasta romano si legga anche: F. Hoveyda, E. Rohmer, Nouvel entretien
avec Roberto Rossellini in «Cahiers du Cinema», n. 145, luglio 1963, pp. 2-13. Claude Bourdet, Roberto Rossellini. L’Inde que j’ai vue..., «France Observateur», 4 luglio 1957 (tr. it. L’India che ho visto, in R. Rossellini, Il mio metodo, cit., pp.
133-142).
7 Il brano, tratto dall’originale francese comparso sui «Cahiers du cinéma» e poi tradotto (o meglio, pubblicato nella
versione italiana dello stesso Rossellini, su «Cinema nuovo») fa parte di una serie di tre articoli scritti in prima persona dallo stesso cineasta intorno alla metà degli anni Cinquanta. Cfr. R. Rossellini, Dix ans de cinéma, «Cahiers du cinéma», n. 50, Agosto-Settembre 1955, pp. 3-9; Id., Dix ans de cinéma II, «Cahiers du cinéma», n. 52, Novembre 1955, pp. 3-9; Id., Dix ans de cinéma III, «Cahiers du cinéma», n. 55, Gennaio 1956, pp. 9-15 (La versione italiana dei tre articoli, comparsa sotto il titolo Il mio dopoguerra, si trova nei numeri 70, 72, 77 della rivista «Cinema Nuovo» ora raccolti in R. Rossellini, Il mio dopoguerra, Roma, edizioni E/O, 1995).
studiare l’atmosfera, analizzare i problemi maggiori, porne in evidenza qualcuno che possa permettermi di valorizzare la tradizione magica, fachiristica e filosofica contrapponendola alle voci attuali, a quelle nuove che sorgono, a quelle che già si vanno imponendo8.
Si registra, in queste frasi, l’eco di una volontà precisa e consapevole nel mescolare e rendere contigui l’antico e il moderno, gli immaginari «esotici» (la magia, i fachiri) e le trasformazioni sociali imposte dalla recente modernizzazione del paese. A ogni buon conto Rossellini assicura di essersi documentato a lungo sulla situazione del subcontinente prima di pianificare concretamente il suo soggiorno, leggendo libri, articoli di giornali, saggi e pubblicazioni di varia natura9. Se è del 1955 la
prima idea di un film sull’India, sarà solo nel novembre del 1956, un anno dopo, che il progetto riceve la sua più importante accelerazione quando il regista incontra di persona Jawaharlal Nehru a Londra, durante un ricevimento in suo onore. Dopo avergli illustrato a grandi linee la sua idea di film, ottiene rassicurazioni direttamente dal Primo Ministro indiano sul pieno appoggio del governo e degli uffici che operano in campo cinematografico per la realizzazione del suo film in India e sull’India.
Il soggiorno di Rossellini durerà quasi un anno, un periodo certamente molto lungo rispetto a quelli degli altri suoi colleghi, che si motiva sia per ragioni professionali sia, almeno in parte, per ragioni sentimentali/personali. Iniziamo dalle prime. Fin dalle interviste rilasciate in quel periodo, egli sembra consapevole del tipo di operazione che vorrebbe compiere: trascorrere un periodo relativamente lungo di ambientamento nel paese, viaggiando da nord a sud, da est a ovest, riprendendo con una macchina da presa leggera (una 16 mm.) situazioni, luoghi, paesaggi, popolazioni incontrate; operare, nel medesimo periodo, i giusti correttivi ad una serie di abbozzi di sceneggiatura che aveva già scritto durante il periodo parigino insieme al critico Hoveyda; iniziare le riprese di una serie di episodi sul subcontinente che dovevano costituire una sorta di affresco sulla nazione sulla falsariga di quanto fatto nel dopoguerra in Italia con Paisà. Per la preparazione degli script (e per evitare gli errori e le ingenuità degli stranieri), Rossellini può contare sull’aiuto di Sonali Dasgupta, moglie di Hari Dasgupta, già assistente di Renoir per The River, segnalatogli dallo stesso regista francese a Parigi e che conosce durante i primi mesi di soggiorno a Bombay. Hari Dasgupta, in un primo momento coinvolto per fare da assistente a Rossellini durante la prime fase della
8 Rondolino, op. cit., p. 240.
produzione cinematografica, rigetterà l’invito per impegni lavorativi pregressi e lo «passerà» alla moglie, ovverosia convincerà Rossellini e la sua troupe ad affidarsi alle sue conoscenze dell’India per verificare la pertinenza dei soggetti e non incorrere in gravi errori culturali. Come è noto il regista di
Viaggio in Italia instaurerà con Sonali una relazione sentimentale destinata non solo a chiudere
definitivamente la pagina matrimoniale con Ingrid Bergman, ma – per quel che pertiene questo studio – a influenzare il piano di lavorazione originariamente predisposto10.
Pur con i cambiamenti in corso di cui daremo conto più avanti, Rossellini riesce in qualche modo a portare a termine i propri propositi iniziali. Con le riprese svolte nella prima esplorazione indiana dal suo operatore / direttore della fotografia Aldo Tonti, Rossellini compone una serie televisiva per la televisione francese e italiana, intitolate J’ai fait un beau voyage e L’India vista da
Rossellini (a tal proposito si veda il prossimo paragrafo). Con le riprese predisposte nella seconda
parte del suo soggiorno realizzerà invece una sorta di film di docu-fiction (con molti inserti documentari, ma ne riparleremo) intitolata India Matri Bhumi. Vediamo nei dettagli i due momenti produttivi, partendo da quest’ultimo per questioni di rilievo storiografico11
Luoghi visitati, durata del soggiorno, location di India Matri Bhumi
Eccolo dunque nell’allora Bombay già un mese dopo l’incontro con Nehru, ovvero nel dicembre 1956, accolto dai media locali con grande entusiasmo. Ricorda Tonti nella sua autobiografia:
Ci insediammo al Taj Mahal Hotel considerato dagli indiani alla stregua di un monumento nazionale. Da questo momento in poi le conferenze-stampa non si contarono più. Letterati, pittori, ministri, tutti offrivano al regista il credito più ampio12.
In quei mesi, oltre a lavorare alla pre-produzione dei film, a tenere alcune conferenze e a partecipare alla vita culturale della città13, Rossellini imbastisce quelle relazioni che poi diventeranno
fondamentali per il proseguimento della sua «spedizione». Riallaccia i rapporti con Kittu (soprannome di M. V. Krishnaswamy), un documentarista che aveva lavorato con lui sul set di
Viaggio in Italia, ora assunto dalla Film Division, l’unità governativa che offre sostegno logistico e
10 Sulla relazione tra Rossellini e Sonali rimandiamo alla ricostruzione romanzata (ma fondata su fonti storiche
abbastanza attendibili) di Dileep Padgaonkar già citata.
11 Solo recentemente si è iniziato a riflettere sulle caratteristiche delle due serie televisive. Negli anni passati, l’attenzione
critica si è soffermata quasi esclusivamente su India Matri Bhumi. Ne consegue che esiste una bibliografia estesa solo su quest’ultimo titolo. c riferimenti si rinvia alla sezione bibliografica in fondo al volume.
12 A. Tonti, Odore di cinema, Firenze, Vallecchi, 1964, pp. 184.
tecnico alla produzione; incontra e conosce Jean Herman, un francese che insegna letteratura a Mumbai e che lo seguirà in quasi tutto il suo soggiorno; come anticipato, entra in contatto con Hari Dasgupta, già assistente di Renoir per The River e soprattutto con sua moglie Sonali, che verrà scelta prima come possibile attrice del film e poi come «co-sceneggiatrice» del film India Matri Bhumi14.
Dopo un viaggio di tre mesi nel sud e nel nordest del paese per raccogliere immagini e fare sopralluoghi (vedasi a tal proposito il paragrafo sulla serie televisiva), Rossellini ritorna in alcuni siti già visitati per realizzare i primi due episodi del film di fiction. Il metodo di organizzazione del lavoro, in questa come nelle successive circostanze, è piuttosto flessibile e a basso impatto economico. Forte di una sceneggiatura scritta in precedenza, si trasferisce sui luoghi di ripresa per pochi giorni e con una troupe di poche unità: qui sceglie le location, seleziona gli attori (non professionisti), completa il tournage vero e proprio in appena una settimana e poi si trasferisce nella successiva località. Siamo a metà del mese di marzo, quando inizia l’allestimento del primo episodio – quello dell’innamoramento e del matrimonio del Mahout – nella riserva naturale di Khanapur, nello stato federato del Karnataka, a cinquecento chilometri a sud di Mumbai, luogo dove vivevano e lavoravano i grandi elefanti che vediamo sullo schermo, della cui «vita lavorativa» Rossellini e Tonti avevano già avuto modo di documentare lo svolgimento poche settimane prima. A parte alcuni problemi alle apparecchiature in dotazione15, il piano di lavorazione prosegue piuttosto
speditamente, tanto che l’8 aprile la troupe è già a Hirakud nello stato dell’Orissa, pronta per i sopralluoghi, il casting e le riprese del secondo episodio, quello che vede protagonista un operaio della grande diga che ha appena terminato il suo contratto di lavoro e che sta per trasferirsi altrove. Anche in questo caso, la lavorazione dura pochi giorni e termina il 26 dello stesso mese. Da fine aprile Rossellini si stabilisce a Mumbai.
Come raccontano Dileep Padgaonkar e Maurizio Giannussi nei rispettivi testi, proprio in questo periodo Rossellini inizia a essere oggetto di pesanti quanto virulenti campagne stampa da parte di alcuni giornali scandalistici che vengono a conoscenza del rapporto sentimentale instaurato con Sonali. In poche settimane la situazione si complica tanto da ridurre la libertà di manovra di
14 D. Padgaonkar, op. cit., p. 61. Si veda anche S. Dasgupta, op. cit.
15 Se ne parla nel racconto romanzato di Padgaonkar, ma si veda anche: F. Hoveyda, J. Rivette, Entretien avec Roberto Rossellini, «Cahiers du cinéma», n. 94, Aprile 1959, pp. 1-11 (tr. it. “Intervista con i Cahiers du cinéma”, in R.
Rossellini. Anche in ragione di questi eventi, il regista si vede costretto a realizzare gli ultimi due episodi del film (quello della tigre e quello della scimmia) non più a Rourkela e a Bodhgaya nel Bengala occidentale, come inizialmente previsto, ma in location situate a pochi chilometri dalla metropoli: il terzo episodio viene girato in un parco nazionale oggi intitolato a Sanya Gandhi, dall’8 al 16 giugno e il quarto a Mumbra, un sobborgo della città di Thane, a circa trenta chilometri dal centro di Mumbai, dal 18 al 22 maggio. I mesi di maggio e giugno sono così dedicati alle riprese dei due episodi, mentre quelli successivi vengono investiti nei primi passi della postproduzione (favoriti dallo spostamento della coppia in luoghi meno soggetti all’attenzione dei media). Ad agosto, grazie all’intercessione della Bergman e di Nehru16, la pellicola sovrimpressa lascia l’India alla volta
dell’Italia, mentre il regista parte per l’Europa con quella che diventerà la sua futura moglie soltanto verso la fine del mese di ottobre, poco meno di un anno dopo il suo arrivo nel paese.
Sinossi
Il film si regge su quattro episodi autonomi, separati da un prologo, da alcuni inserti documentaristici che facilitano la transizione tra un sotto-intreccio e l’altro e da un breve e rapido epilogo.
Si comincia con un prologo ambientato a Mumbai (allora ancora chiamata Bombay). Una voce narrante introduce lo spettatore alla complessità indiana, a un popolo composto di diverse etnie, organizzato in caste, così numeroso da apparire in un continuo brulicante movimento. La stessa voce racconta che l’India più vera è quella dei cinquantotto mila villaggi sparsi lungo tutto il suo territorio. In uno di questi, in una foresta non lontana da Madurai (di cui vediamo – velocemente – alcuni squarci dei templi sacri), è ambientata la prima storia.
Essa è incentrata sulle vicende di un giovane mahout (un guidatore di elefanti) che lavora nell’industria del legname. Una voce extradiegetica in italiano (quella dello stesso protagonista visto che parla in prima persona) racconta come trascorre le sue giornate accanto a un pachiderma così imponente. Lo vediamo trasportare pesanti tronchi d’albero, assistiamo al rituale del bagno in un lago e poi alle fasi dell’alimentazione. Un giorno, mentre il suo elefante mangia le foglie di un albero adiacente alla strada principale del villaggio, il mahuot assiste all’arrivo di una compagnia di burattinai e, giunta la sera, allo spettacolo allestito per gli abitanti del villaggio. Il giorno seguente s’imbatte nella stessa compagnia durante il suo itinerario che lo conduce sul posto di lavoro. In questi brevi e fugaci incontri, l’uomo prima vede e poi progressivamente s’innamora della figlia del «capocomico». D’altronde è il tempo degli amori anche per gli elefanti che lavorano insieme al mahout. Si avvia così una curiosa e parallela storia d’amore tra due pachidermi e tra la ragazza dei burattini e il guidatore di elefanti. Quest’ultimo è intenzionato a chiedere la mano della giovane e si fa scrivere dal maestro del villaggio una lettera per il padre della ragazza. Passano pochi giorni e i due si sposano. Trascorrono altri dieci mesi e l’elefantessa che prima avevamo visto amoreggiare con il suo compagno allontana il maschio, un comportamento tipico dei pachidermi quando giungono a metà della gravidanza. I due animali si separano. Anche il mahout e la sua signora in dolce
attesa sono costretti a lasciarsi per alcuni mesi. L’uomo deve riprendere il lavoro con l’elefante mentre la moglie torna nel suo villaggio per trascorrere vicino alla madre gli ultimi mesi di gestazione.
Primo intermezzo. Vediamo le nevi dell’Himalaya sciogliersi e alimentare i fiumi del subcontinente, consentendo di raggiungere, nelle tante ramificazioni fluviali che attraversano l’India, i luoghi dove all’epoca vivevano quattrocento milioni di abitanti. È quanto ci ricorda la stessa voce narrante del prologo incaricata di «trasferire» lentamente il racconto a diverse centinaia di chilometri da Khanapur. La macchina da presa, intanto, riprende paesaggi montuosi, fiumi placidi, poi giunge sul Gange sulle rive della città santa di Varanasi, mentre la voce extradiegetica illustra allo spettatore il senso della morte per gli indiani e il concetto di Karma. Scorrono poi altre immagini: sono quelle del fiume Mahanadi e della diga lunga quarantotto km costruita nell’Orissa per domare la potenza devastante del corso d’acqua durante la stagione dei monsoni.
Dopo alcune immagini di operai al lavoro, la parola passa a un tecnico che per sette anni ha lavorato allo sbarramento artificiale. Egli rammenta a se stesso (e allo spettatore) in cosa è consistito il suo lavoro. La cinepresa indugia sul viavai di uomini e donne che trasportano massi o ceste di terra. Ora che è terminata la grande impresa, al protagonista del secondo episodio, che vediamo firmare alcuni documenti prima di lasciare la sua occupazione, tocca trasferirsi in un’altra città e cercarne una nuova. Si aggira e vagabonda, una ultima volta e con mestizia, all’interno della gigantesca struttura: passa vicino alla centrale elettrica, fa visita al monumento che ricorda il numero delle vittime cadute durante la costruzione dell’impianto; assiste a una cremazione, su una roccia scrive la sua storia, fa un bagno rituale nel lago. Di ritorno a casa, trascorre l’ultima sera a Hirakud cenando con la moglie e alcuni amici. Quando la coppia rimane sola, si accende un’improvvisa discussione: lei non vuole spostarsi, ma l’uomo è irremovibile e con molta sofferenza rimane fermo sui propri propositi. Il giorno dopo li vediamo incamminarsi per la strada polverosa che li porterà verso un’altra città.
Secondo intermezzo. Si risale la costa, lenti camera-car laterali mostrano un florido paesaggio tropicale e poi una serie di ampie distese coltivate a riso. Poco dopo, è la volta d’immagini – sempre riprese dal volante di un’automobile – di una cittadina medievale costruita dai mussulmani con le fortificazioni esterne e la moschea che si erge al centro. Si susseguono paesaggi montuosi, altri collinari, probabilmente riferibili alla parte interna e