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Con l’espressione «Grand Tour» solitamente ci si riferisce alla tradizione dei viaggi di formazione che i giovani benestanti di origine anglosassone, fiamminga, tedesca o francese – a partire almeno dal Diciassettesimo secolo in avanti – compivano nell’Europa meridionale e in Italia in particolare, con lo scopo di affinare il proprio senso estetico attraverso lo studio sul campo dell’arte classica, apprendere le buone maniere frequentando l’alta società e acquisire le astuzie dell’attività politica. Si trattava per lo più di spostamenti non dettati da contingenze, bisogni alimentari o altre necessità pratiche e che, generalmente, seguivano itinerari predeterminati, all’interno dei quali alcune città (Firenze, Roma, Bologna, Venezia), alcuni siti archeologici (Pompei, Paestum, la Grecia antica), alcuni particolari ambienti naturali (le montagne della Svizzera, il mare della Sicilia, il Vesuvio e il golfo di Napoli) costituivano altrettante tappe del viaggio dalle quali spesso non si poteva prescindere. Il Grand Tour era, in altre parole, un’esperienza di turismo colto che non mirava solo all’osservazione di monumenti, chiese o musei, bensì che anelava una conoscenza profonda dei siti visitati. Si trattava di un rito sociale codificato: metteva alla prova la futura classe dirigente di un paese, ad esempio nelle sue abilità di adattamento a situazioni e condizioni di vita (relativamente)

«disagiate» e «difficili» come quelle che caratterizzavano il sud dell’Europa, e collocava dentro un perimetro prestabilito – e pertanto controllabile – un’esperienza di evasione individuale dalle regole comuni. Irreggimentava l’esperienza, lo sguardo, il linguaggio dell’alterità. Riproduceva luoghi comuni rendendoli luoghi in comune. Lo dimostrano, tra le altre cose, i risultati artistici di quei viaggi. Quando a mettersi in viaggio sono romanzieri o artisti, la tradizione della letteratura odeporica o della pittura di paesaggio viene arricchita sì, ma in modi uniformi e ripetitivi, almeno per ambienti raffigurati, repertori stilistici e retorici adottati, sensibilità ed emozioni comunicate1.

Se Grand Tour è un termine che generalmente indica il viaggio nei paesi dell’Europa meridionale, in verità, anche grazie alla sempre più estesa colonizzazione dell’Asia (e dell’Africa) da parte di stati europei (Inghilterra, Francia, Olanda, Portogallo su tutti) esso può essere agevolmente esteso anche ad altre aree geografiche e, in particolare, a quelle di cui qui ci occupiamo. Dalla fine del Settecento, grazie ad alcuni eventi di una certa rilevanza storica (la campagna in Egitto e in Siria condotta da Bonaparte nel 1798, la conquista francese dell’Algeria tre decenni dopo, le guerre dell’Oppio a metà Ottocento e la conseguente riapertura dei commerci con la Cina e, dopo la restaurazione Meiji, con il Giappone, l’inaugurazione del Canale di Suez nel 1869, eccetera), si assiste a un lento, ma costante intensificarsi delle spedizioni di viaggiatori europei verso Oriente, con un’attenzione particolare verso quelli paesi asiatici dalle antiche tradizioni culturali come Israele, Iran, India, Cina, Giappone2. Se i protagonisti di queste spedizioni non sono dei giovani

rappresentanti delle aristocrazie del Vecchio Continente, appartengono comunque agli strati elevati delle rispettive società: funzionari ministeriali, militari, diplomatici, etnografi, professori, scrittori, politici. Si tratta di personalità capaci, grazie alla loro cultura, di trasferire l’esperienza del viaggio in un’esperienza narrativa ed estetica. Così, non solo la tradizione del viaggio nell’Europa continentale, ma anche quella nelle regioni asiatiche e africane annovera come protagonisti, nel corso dei decenni e dei secoli, luminari, artisti, intellettuali europei che non sfigurerebbero in un ipotetico pantheon

1 Riferimenti bibliografici: C. De Seta, L’Italia del Grand Tour da Montaigne a Goethe, Milano, Electa, 1992; C.

Hibbert, The Grand Tour, Londra, Weidenfeld and Nicholson, 1987; G. Botta (a cura di), Cultura del viaggio, Milano, Unicopli, 1989; C. De Seta, Grand Tour. Viaggi narrati e dipinti, Milano, Electa, 2001; J. Black, The Grand Tour, Londra, Routledge, 1985.

2 Per uno sguardo introduttivo sul fenomeno si rimanda a A. Brilli, Il viaggio in Oriente, Bologna, Il Mulino, 2012.

Altre letture utili possono essere G. Bossi, Immaginario di viaggio e immaginario utopico. Dal sogno del paradiso in terra al

mito del buon selvaggio, Udine, Mimesis, 2003; B. Parry, Imperial Eyes. Travel Writing and Transculturation, Londra,

Routledge, 1992; G. Borsa, La nascita del mondo moderno in Asia Orientale. La penetrazione europea e la crisi delle società

transnazionale di grandi viaggiatori. Ne ricordiamo solo alcuni, i più noti. Si può partire ad esempio da François-René de Chateaubriand il cui Itinéraire de Paris à Jérusalem rappresenta il resoconto di un viaggio compiuto a inizio Ottocento in Egitto, Palestina e Asia minore3; o da George Gordon

Byron il cui poema Childe Harold’s Pilgrimage restituisce tracce dei suoi trascorsi in Albania, Grecia, Turchia tra il 1809 e il 18114; o da Alphonse de Lamartine che scrive Impressions, souvenirs, pensées

et paysages pendant un voyage en Orient, 1832-1833 (poi successivamente intitolato Voyage en Orient)

come una trasposizione letteraria degli appunti dei suoi viaggi in Libano, Siria e nella Terra Santa5.

Si può poi citare una volta ancora Gérard de Nerval anch’egli autore di una raccolta di testi intitolata Voyage en Orient, frutto di un’esperienza odeporica trascorsa in Egitto, in Libano, in Siria e in Turchia nel 18436; oppure Gustave Flaubert che insieme al giornalista e scrittore Gautier Du

Camp trascorre un lungo soggiorno in Egitto, in Libano, in Terra Santa, in Libia, in Siria, ad Atene e nel Peloponneso, catturando esperienze e atmosfere che ritorneranno – nell’articolazione della fiction – in diversi romanzi (tra cui bisogna menzionare almeno Salammbô e La Tentation de Saint

Antoine), prima di essere catturate in maniera «documentaria» nella pubblicazione postuma delle

corrispondenze e delle note di viaggio (Voyage en Orient: 1849-1851) 7; oppure Théophile Gautier

famoso per il suo Voyage en Espagne (1843), ma con trascorsi anche in Turchia, in Algeria, in Egitto8. Meriterebbero una menzione anche quei viaggiatori che trascorrono soggiorni all’estero non

nei paesi che si affacciano sul Mediterraneo ma anche in quelli più distanti.

Con i primi anni del Novecento e la sempre più estesa rete di rapporti politico/diplomatici, commerciali ed economici tra i continenti, essi aumentano considerevolmente di numero. Il

3 F. R. de Chateaubriand, Itineraire de Paris a Jerusalem et de Jerusalem a Paris, en allant par la Grece, et revenant par l’Egypte, la Barbarie et l’Espagne, 3 Voll., Parigi, Le Normant, 1811 (tr. it. Itinerario da Parigi a Gerusalemme e da Gerusalemme a Parigi andando per la Grecia e ritornando per l’Egitto, la Barberia e la Spagna, Milano, Sonzogno, 1820). 4 G. G. Byron, Childe Harold’s Pilgrimage, Londra, J. Murray, 1818 (tr. it. Il pellegrinaggio del Giovine Aroldo, Genova,

Tipografia Arcivescovile, 1836).

5 A. de Lamartine, Souvenirs, impressions, pensées et paysages pendant un voyage en Orient, 1832-1833 ou Notes d’un voyageur, Bruxelles, J. P. Meline, 1835 (tr. it. Rimembranze di un viaggio in Oriente, Milano, Pirotta e C., 1835). 6 G. de Nerval, Voyage en Orient, Parigi, Charpentier, 1851 (tr. it. Viaggio in Oriente, Milano, Istituto Editoriale

Italiano, 1917).

7 G. Flaubert, Salammbô, Parigi, Charpentier, 1962 (tr. it. Salammbo, Napoli, Bideri, 1904); Id., La Tentation de Saint Antoine, Parigi, Charpentier, 1874 (La tentazione di Sant’Antonio, Napoli, Romano, 1902); Id., Voyage en Orient, 1849- 1851, Parigi, Librairie de France, 1925. Su Flaubert e i suoi viaggi nel Maghreb e nel Vicino Oriente si veda. L.

Pietromarchi, L’Illusione orientale. Gustave Flaubert e l’esotismo romantico, 1836-1851, Milano, Guerini Studio, 1990.

8 T. Gautier, Tra los montes. Voyage en Espagne, Parigi, Magen, 1843 (tr. it. Id., Tra le montagne. Viaggio in Spagna,

Milano, Signorelli, 1935); Id., Voyage en Russie, Parigi, Charpentier, 1878; Id., Voyage en Italie, Parigi, Charpentier, 1884 (tr. it. Viaggio in Italia, Milano, La Vita Felice, 2010.

riferimento è, ad esempio, a Pierre Loti, che in virtù dei gradi di ufficiale della Marina, nel corso della sua lunga carriera militare ha occasione di soggiornare in Turchia, ma poi anche in Cina, in Indocina, in Vietnam, in Cambogia e in Giappone, trovando ispirazione per molti romanzi, cronache storiche o diari di viaggio come Trois journées de guerre en Annam (1883), Madame

Chrysanthème (1888), Fantôme d’Orient (1892), Les Derniers Jours de Pékin (1901), La Troisième jeunesse de Madame Prune (1905), Les Désenchantées (1906), ecc. 9; o a Paul Claudel, una carriera

diplomatica alle spalle come console in Cina a fine Ottocento e ambasciatore francese in Giappone dal 1921 al 1927, autore di svariati diari, corrispondenze, saggi, conversazioni, romanzi, articoli giornalistici in modo particolare dalla Cina10; o ancora al conte Ludovic de Beauvoir, il cui giro del

mondo – «trascritto» nei tre volumi intitolati Voyage autour du monde – lo conduce in Indonesia, in Tailandia, in Cina, in Giappone, nell’isola di Giava, a Macao11. Pensiamo al già citato Victor

Segalen, medico, scrittore, etnografo, che nei primi anni del Novecento soggiorna a lungo nella Polinesia amministrata dai francesi e a Tahiti (da cui trarrà idee e spunti per il suo Les

Immémoriaux), poi dal 1910 in Cina (da cui si genereranno Stèles, René Leys, e i postumi Essai sur l’exotisme, Lettres de Chine) 12; o a André Malraux e ai suoi viaggi in Indocina negli anni Venti, le cui

turbolente esperienze (anche un arresto per aver cercato di sottrarre un reperto archeologico) ispireranno la sua trilogia asiatica: Les conquérants (1928), La voie royale (1930) e soprattutto La

9 P. Loti, Trois journées de guerre en Annam, Parigi, les Éditions du Sonneur, 2006; Id., Madame Chrysanthème, Parigi,

Calmann-Lévy, 1888 (tr. it. La signora dei crisantemi, Milano, Società Ed. Milanese, 1908); Id., Les dernièrs jours de

Pékin, Parigi, Calmann-Lévy, 1901 (tr. it. Gli ultimi giorni di Pechino. Un avventuroso viaggio nella Cina dei Boxer,

Padova, F. Muzzio, 1997); Id., La troisième jeunesse de Madame Prune, Parigi, Calmann-Lévy, 1905; Id., Fantôme

d’Orient, Parigi, C. Lévy, 1892 (tr. it. Fantasma d’Oriente, Palermo, R. Sandron, 1910), Id., Les Désenchantées, Parigi,

Calmann-Lévy, 1906. Si veda anche: S. Funaoka, Pierre Loti et l’Extrême-Orient, Tokyo, Librairie-Éd. France Toshō, 1988; Y. Hsien, From Occupation to Revolution. China through the Eyes of Loti, Claudel, Segalen, and Malraux (1895-

1933), Birmingham, Ala, 1996.

10 P. Claudel, Oeuvres complètes, Parigi, Gallimard, 1962-1965 (in particolare Extrême-Orient, voll. 1-2). Si veda anche il

romanzo Id., Sous le signe du dragon, Parigi, la Table ronde, 1948. Per un approfondimento sui rapporti tra la sua produzione letteraria e i viaggi in Asia si rimanda a: B. Hue, Littératures et arts de l’Orient dans l’œuvre de Claudel, Parigi, C. Klincksieck, 1978.

11 L. de Beauvoir, Voyage autour du monde, Parigi, Plon, 1871-72 (tr. it. Viaggio intorno al mondo, Milano, Tipografia

Editrice Lombarda, 1876).

12 V. Segalen, Les Immémoriaux Parigi, Mercure de France, 1907 (tr. it. Gli immemoriali, Roma, Lestoille, 1980); Id., Stèles, Pechino, Presses du Pei-t’ang, 1912 (tr. it. Stele, Parma, Guanda, 1987); Id., René Leys, Parigi, Plon, 1922 (tr. it. René Leys o il mistero del Palazzo Imperiale, Torino, Einaudi, 1973); Id., Lettres de Chine, Parigi, Plon, 1967 (tr. it. Lettere dalla Cina, Milano, Rosellina Archinto, 1990). All’interno della copiosa bibliografia su Segalen, rimandiamo

almeno a Y. Hsieh, Victor Segalen’s Literary Encounter with China. Chinese Moulds, Western Thoughts, Toronto, University of Toronto press, 1988.

condition humaine (1933) 13. Rammentiamo ancora Claude Farrère e il suo Mes Voyages - La

promenade d’Extreme-Orient, autobiografia dei soggiorni dello scrittore e diplomatico in Giappone,

Cina, Corea del Nord nei primi decenni del Novecento14; non si può non citare Henry Michaux,

dal cui viaggio in Giappone, Cina, India nel 1931-1932 nasce Un barbare en Asie (1933) 15 e

nemmeno gli «indiani» Rudyard Kipling (The Jungle Book, 1894, Kim, 1901, From Sea to Sea and

Other Sketches, Letters of Travel, raccolta di scritti di viaggio in India, Cina, Birmania, Giappone) 16,

Hermann Hesse (nei primi anni Dieci del Novecento a Ceylon, a Sumatra e in Malesia, da cui Aus

Indien, 1913, Siddharta, 1922, e, indirettamente, Die Morgenlandfahrt, 1933) 17, Edward Morgan

Forster (A Passage to India, 1924) 18, Mircea Eliade (Maitreyi, 1933, India, 1934) 19 o il nostro

Guido Gozzano (il postumo Verso la cuna del mondo. Lettere dall’India) 20.

Quello appena svolto è un elenco ristretto e parziale delle esperienze letterarie più importanti tra la fine del Settecento e l’inizio del Novecento (a cui potrebbe aggiungersene uno uguale sul fronte delle arti figurative o coreutiche o musicali), utile essenzialmente per capire che i viaggi ancora più numerosi che si organizzano e si realizzano a partire dal secondo dopoguerra – nei cui flussi si vanno a collocare le vicende dei vari Rossellini, Marker, Pasolini, Varda – appartengono a una lunga e radicata storia odeporica verso l’Asia che peraltro mette radici su terreno ricco di sedimentazioni più o meno passate: le crociate, i pellegrinaggi in Terra Santa, i viaggi di scoperta delle Nuove Terre, le spedizioni etnografiche e antropologiche, la nascita dell’orientalismo come branca di studio a se stante. Non è un caso – forse è persino superfluo notarlo – che Said, nel suo celebre pamphlet,

13 A. Malraux, Les Conquérants, Parigi, Grasset, 1928 (tr. it. I conquistatori, Milano, A. Mondadori, 1947); Id., La Voie royale, Parigi, Grasset, 1930 (tr. it. La via dei re, Milano, A. Mondadori, 1952; Id., La Condition humaine, Parigi,

Gallimard, 1933 (tr. it. La condizione umana, Milano, Bompiani, 1934).

14 C. Farrère, Mes Voyages. La Promenade d’Extreme-Orient, Parigi, Flammarion, 1923. Si veda anche Id., L’Inde perdue,

Parigi, Flammarion, 1935; Id., L’Extraordinaire aventure d’Achmet pacha Djemaleddine, pirate, amiral, grand d’Espagne et

marquis; avec six autres singulieres histoires, Parigi, Flammarion, 1925; Id., L’Europe en Asie, Parigi, Flammarion, 1939. 15 H. Michaux, Un Barbare en Asie, Parigi, Gallimard, 1933 (tr. it. Un barbaro in Asia, Torino, Einaudi, 1974).

16 R. Kipling, The Jungle Book, Londra, Macmillan Publishers, 1894 (tr. it. Il libro della giungla, Milano, Alberto

Corticelli, 1928); Id., Kim, Londra, Macmillan Publishers, 1901 (tr. it. Kim, Milano, Alberto Corticelli, 1926); Id.,

From Sea to Sea and Other Sketches. Letters of Travel, Londra, Macmillan Publishers, 1910.

17 H. Hesse, Aus Indien, Berlino, Fischer Verlag, 1913 (tr. it. Dall’India, Milano, Garzanti, 1987); Id. Siddharta. Eine indische Dichtung, Berlino, Fischer Verlag, 1922 (tr. it. Siddharta, Torino, Frassinelli, 1945, ; Id., Die Morgenlandfahrt,

Francoforte, Suhrkamp Verlag, (tr. it, Pellegrinaggio in Oriente, Milano. Adelphi, 1981).

18 E. M. Foster, A Passage to India, Cambridge, King’s College, 1924 (tr. it. Passaggio in India, Einaudi, Torino, 1962). 19 Cfr. M. Eliade, Maitreyi, Bucarest, Editura Cultura Najionala, 1933 (tr. it. Maitreyi. Incontro bengalese, Milano, Jaca

Book, 1989); Id., India, Bucarest, Editura Cugetarea, 1932 (tr. it. India, Torino, Bollati Boringhieri, 1991).

dedichi la medesima attenzione che rivolge ai testi di politici, militari, uomini di Stato, diplomatici anche a quelli dei letterati e dei romanzieri, considerando dunque la narrazione, qualunque configurazione essa acquisti, un modo discorsivo (nel senso di Foucault) essenziale per l’articolarsi di logiche di controllo del sapere/potere.

La genealogia intellettuale ufficiale dell’orientalismo includerebbe senz’altro Gobineau, Renan, Humboldt, Steinthal, Burnouf, Rémusat, Palmer, Weil, Dozy, Muir, per menzionare, quasi a casaccio, solo alcuni dei nomi più celebri del secolo XIX. Comprenderebbe poi alcune celebri associazioni di carattere scientifico e culturale: la Société asiatique, fondata nel 1822; la Royal Asiatic Society, fondata nel 1823; l’American Oriental Society, nata nel 1842, e così via. Ma portebbe essere costretta a trascurare il grande contributo della narrativa, dai diari di viaggio ai romanzi d’avventure, al consolidamento delle suddivisioni introdotte dagli orientalisti tra le varie componenti geografiche, storiche ed etniche del Levante. Tale trascuranza sarebbe ingiusta, dal momento che proprio riguardo all’Oriente islamico la letteratura è particolarmente ricca, e ha dato un contributo specialmente significativo all’edificazione del discorso orientalista. Vi figurano opere di Goethe, Hugo, Lamartine, Chateaubriand, Kinglake, Nerval, Flaubert, Lane, Burton, Walter Scott, Byron, Vigny, Disraeli, George Eliot, Gautier. Più tardi, tra la fine del secolo scorso e l’inizio di quello attuale, si aggiunsero Doughty, Barrès, Tutti autori che hanno contribuito ad arricchire la fisionomia del “grande mistero asiatico”21.

Ciò che stabiliscono le esperienze di viaggio dei registi europei in Asia può essere letto, sotto certi aspetti, come la riproposizione di una medesima narrazione, di un ritornello orecchiabile (nel senso di apparentemente già sentito e dunque riconoscibile), di una linea melodica consolidata nel tempo. Malgrado, infatti, le mete siano diverse, i mezzi di locomozione più rapidi e tecnologicamente avanzati, le regioni industrializzate, le nazioni nel frattempo decolonizzate, i viaggi in Asia di cui qui ci occupiamo – in India, in Cina e in Giappone in modo particolare – sembrano rispondere a logiche simili a quelle che informavano i viaggiatori dei secoli precedenti. Anche Pasolini, Rossellini e colleghi appartengono, in qualche modo, a un’aristocrazia (un’aristocrazia di «intellettuali con la macchina da presa», certo, ma non meno esclusiva di quella di sangue blu), vivono l’esperienza del viaggio come una forma di trasgressione dalla routine socialmente accettata e ben vista dalla cultura di riferimento. Anche nel loro caso si tratta di un turismo colto, nel senso che vivono il soggiorno in luoghi altri come un’occasione per entrare in contratto con radici culturali millenarie estranee alla loro koinè, come ad esempio quelle buddhiste o induiste, seguendo, come vedremo, itinerari spesso

21 E. Said, Orientalism, Londra, Penguin, 1978 (tr. it. Orientalismo. L’immagine europea dell’Oriente, Roma, Feltrinelli,

coincidenti e, in alcuni casi, sovrapponibili. Possiamo, infatti, già anticipare che molti luoghi, città, ambienti, attività documentate ritornano da un viaggio all’altro, a volte riprese, in film diversi, dallo stesso punto di vista, quasi rispondendo ai dettami di un genere pittorico/cinematografico particolare. Le ragioni di tante analogie tra i percorsi e le tappe dei diversi viaggi possono dipendere da questioni di ordine burocratico (richiesta o ritiro di documenti), logistico (dovute alle difficoltà negli spostamenti e ai rapporti con le autorità centrali e locali, spesso inflessibili, come nel caso del regime cinese, rispetto agli itinerari seguiti), oppure da una mera fascinazione turistica (mete caratteristiche, monumenti religiosi o nazionali, siti artistici, paesaggi tropicali). Eppure è giusto considerare gli elementi genealogici che stanno alla base di pratiche sociali comuni, di reazioni affini, di abitudini scopiche condivise, che rappresentano delle possibili tracce da seguire nelle successive parti di questo studio, quando si cercherà di incrociare i dati, di articolare provvisori bilanci, e, allo stesso tempo, possibili collazioni tra le varie esperienze di viaggio.