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Il progetto

Il documentario riprende le celebrazioni del Kumbh Mela, il più grande raduno religioso induista che si tiene ogni tre anni, in quattro diverse città sacre indiane (a rotazione) e che coinvolge milioni e milioni di fedeli. Il momento principale del rito consiste nel bagno nel fiume sacro, momento di purificazione del corpo e dell’anima che dovrebbe garantire ai partecipanti una migliore rinascita nella vita successiva, avviandosi verso la moksa, la liberazione finale del sé dal corpo. Siamo nel gennaio 1977. Antonioni si trova di passaggio in India durante la celebrazione religiosa, in quell’anno di stanza nella città di Allahabad. Il raduno è convocato alla confluenza dei fiumi Gange, Yamuna e Sarasvati, in un periodo di magra che consente al grande letto del fiume in secca di ospitare i pellegrini. Antonioni trascorre alcune ore a osservare quanto succede, catturando le proprie impressioni con la macchina da presa, senza l’obiettivo di ricavarne un film o un documentario, semplicemente per documentare il rito. È solo nel 1989 che Antonioni, dopo la malattia e in occasione di un suo rientro sulle scene pubbliche, decide di riprendere in mano quel girato e riorganizzarlo in un breve documentario di poco più di un quarto d’ora. Il film viene presentato, insieme ad altri lavori inediti del regista ferrarese, al Festival di Cannes di quell’anno.

Luoghi visitati, durata del soggiorno, location

Allahabad, nella confluenza dei fiumi Gange, Yamuna e Sarasvati. Sinossi

La macchina da presa a spalla di Antonioni gira tra la folla che si raduna per il Kumh Mela. Uomini passeggiano distratti, altri si preparano per il rito. Una banda di musicisti, vestita con divise militari che ricordano quelle anglosassoni, cerca di restare unita. Vicino a loro passa un eremita nudo e malnutrito. I passanti si voltano e guardano verso l’obiettivo della cinecamera. Una sposa viene condotta su un palanchino. Un corteo di donne attraversa l’enorme letto del fiume in secca. Altri sadhu si muovono compatti, gli uni accanto agli altri, abbigliati con semplici corone di fiori. Alcune barche salpano da riva, piene di fedeli. Molti uomini e qualche donna fanno le abluzioni, tra le barche, e pregano.

Il cineasta ora si trova su un’imbarcazione e osserva le celebrazioni a qualche metro da riva. La folla che si è accalcata sulle rive del fiume ora è immensa. Migliaia e migliaia di persone si dispongono davanti alle acque sacre, senza alcuna fretta. Con una piccola imbarcazione, la troupe si muove tra i fedeli che si lavano e pregano. La musica indiana di commento ora è sostituita dalle voci di due indiani che intonano una litania a cui si aggiunge il suono dell’acqua che viene spostata dalla barca o quella che si solleva quando i pellegrini purificano il proprio corpo.

Le lente carrellate sui fedeli che si purificano nelle acque sacre continuano con regolarità per alcuni minuti. Uomini, donne, anziani, bambini, appartenenti a diverse caste si affacciano senza distinzioni innanzi alle acque del fiume per le loro aspersioni. Il rito, tuttavia, sta per concludersi e la folla per disperdersi. Ci sono molte meno persone sul letto del fiume. Si vedono alcune donne con i sari colorati, di rosso, di turchese, di bianco, la maggior parte degli uomini invece è coperto solo da un dhoti. Un uomo – solo – con indosso una giacca, cammina nelle secche guardandosi attorno.

Caratteristiche del film. Evidenze dell’alterità

§ Documentario di osservazione. A differenza di Chung Kuo - Cina, Kumbha Mela si presenta come un cortometraggio di pura osservazione, senza alcun intervento di commento orale di tipo soggettivante da parte del regista e tantomeno senza alcun tentativo di predisporre forme di auto- rappresentazione da parte dei protagonisti del rito, come capitato con le autorità cinesi. Assistiamo all’accumularsi di scene di vita quotidiana, in questo caso legate a una festività particolarmente sentita da parte della comunità indù, senza che vi sia alcuna organizzazione narrativa. Non esiste, infatti, un racconto, un tracciato evenemenziale da seguire né emerge una particolare logica di configurazione estetica delle immagini. Le inquadrature del documentario sono il frutto di una curiosità verso l’esistente che si traduce in una serie d’istantanee più o meno improvvisate, più o meno impressionistiche, sui gesti rituali degli indù.

§ Spazio per l’inespresso e l’inesprimibile. Ciò che ci viene mostrato, proprio perché disorganizzato, disomogeneo o non illustrato dalla voce narrante (Il cui rumore costringe gli animali alla fuga Kumbha Mela è uno dei pochi casi di assenza di voice over nei film qui analizzati) risulta in buona sostanza incomprensibile. Lo spettatore che non ha conoscenze dirette sui significati e le ritualità della manifestazione religiosa si deve così accontentare si osservare ciò che cattura la macchina da presa, senza giudicarne la pregnanza. Certo, le immagini restituiscono una serie di gesti rituali che si ritrovano, pressoché identici, in molti film sull’India: ad esempio quelli delle abluzioni nei fiumi sacri che sono presenti in The River, in L’India vista da Rossellini, in Calcutta, in L’Inde fantôme e in molti altri documentari realizzati tra comunità di indù (si veda ad esempio The Boatman di Gianfranco Rosi o Forest of Bliss di Robert Gardner). Spesso e volentieri sono immagini che introducono i film, in quanto passe-partout di un’idea di civiltà o di cultura. Nondimeno, il fatto che non vi siano altri tipi immagini oltre a queste nel documentario stabilisce il perdurare di un’alterità non organizzata per la visione, dunque inafferrabile, inesprimibile. Se è vero che Antonioni cerca di catturare un’atmosfera, è altresì vero che dimostra di non poter e non saper andare oltre la semplice osservazione non organizzata di un evento.