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ad una salute ottimale e l’attività fisica è un elemento fondamentale per la salute. L’atti- vità sportiva assume una essenziale valenza di integrazione sociale secondo una accezione consolidata a livello europeo e sostanzialmente riconosciuta nel nostro ordinamento. Con- cettualmente ci si riferisce alla visione definita dal Consiglio d’Europa in base al quale Sport è “qualsiasi forma di attività fisica che, mediante una partecipazione organizzata o meno, abbia come obiettivo il miglioramento delle condizioni fisiche e psichiche, lo sviluppo delle relazioni sociali o il conseguimento di risultati nel corso di competizioni a tutti i livelli” (7). Tale definizione vede nell’attività sportiva un veicolo di benessere, socializzazione, inclusio- ne, gestione dei conflitti sociali e solidarietà, in virtù della sua diffusione e della sua capaci- tà di raggiungere ogni strato della società senza distinzioni di sesso, età o provenienza.

Attività motoria e disabilità

Riguardo la disabilità, notevoli cambiamenti del “pensare comune” si sono verificati nel corso degli ultimi trent’anni, buona parte dei quali sono stati determinati da interventi di gruppi di ricercatori e di clinici che, in varie parti del mondo, hanno accettato e, per mol- ti aspetti vinto, la sfida di riuscire a modificare le aspettative e la qualità della vita delle persone con disabilità. L’attività sportiva per i disabili deve essere in questo caso intesa come strumento per educare all’autonomia, per il potenziamento delle capacità esistenti, per accrescere l’autostima. Infatti, oltre che essere centrale in campo riabilitativo (settore in cui, prevalentemente, finora è stata inserita), essa può ricoprire un ruolo essenziale nel favorire la conquista dell’autonomia e lo sviluppo della personalità. Ha, quindi, un valore educativo e non solo di recupero funzionale, anche se le attività svolte non possono che es- sere di aiuto anche in quel settore. La pratica delle attività fisiche rappresenta per i disabili un mezzo privilegiato di sviluppo individuale, di rieducazione e di integrazione sociale (9). L’attività motoria genera la necessità di allontanarsi fisicamente dal nucleo familiare e la possibilità di relazionarsi con il mondo esterno, integrando le incapacità con la scoperta di nuove possibilità che possono contribuire all’accettazione di sé. Risulta evidente la portata educativa dello sport, che offre alle persone con disabilità un’occasione irrinunciabile per compensare le lacune formative ed i problemi di sviluppo dovuti agli specifici deficit. Prati- care attività fisica significa acquisire delle abilità motorie, generali e specifiche, ampliare e differenziare lo sviluppo delle proprie competenze. Qualsiasi semplice gesto è l’effetto di un pensiero e di una attività nervosa corrispondente. Inoltre, la pratica sportiva permet- te di soddisfare in modo produttivo alcuni bisogni propri dell’uomo legati all’esperienza di gioco, movimento, agonismo e vita di gruppo, dimensioni che trovano una integrazione nell’attività sportiva.

L’attività fisica è certamente un mezzo fondamentale per il miglioramento che può of- frire a tutti i livelli di gravità della disabilità:

- per i casi più gravi, l’autonomia negli spostamenti e il riconoscimento dei dati senso- percettivi inerenti alle condotte motorie messe in atto;

- per i portatori di handicap di media gravità, l’acquisizione di capacità motorie e il loro corretto utilizzo nella vita scolastica, di relazione e di preparazione allo sport; - per i meno gravi, l’acquisizione delle capacità motorie più complesse che possono

permettere una pratica delle attività sportive quando i disabili lo desiderano.

La persona disabile rischia spesso di sviluppare un’immagine di sé molto negativa, un senso di impotenza che la induce a considerarsi incapace di affrontare le difficoltà e che può divenire fattore condizionante per ulteriori insuccessi e fallimenti. La dimensione mo- toria può rappresentare per tutti una possibilità di riuscita e di successo, ma per il disabile psichico che si trova in difficoltà sul piano cognitivo, in particolare nel livello dell’astrazio- ne, essa rappresenta un ambito fondamentale di valorizzazione, poiché agganciata all’espe- rienza immediata e concreta della corporeità (2).

È stato dimostrato che in molte malattie croniche il processo disabilitante è aggravato dalla sedentarietà, che diventa essa stessa causa di nuove menomazioni, limitazioni fun- zionali e ulteriore disabilità. In letteratura scientifica una sufficiente quantità di dati porta a concludere che in molte malattie croniche questo circolo vizioso può essere corretto con adeguati programmi di attività fisica regolare e continuata nel tempo (5).

In tal senso si sono ispirati gli ultimi Piani Sanitari Nazionali e Regionali, che individuano come obiettivo specifico l’aumento dell’attività fisica regolare per la popolazione anzia- na, facendo riferimento in particolare all’Attività Fisica Adattata (AFA) rivolta a specifiche alterazioni dello stato di salute e alla prevenzione della disabilità. Non si tratta di attivi- tà motoria di tipo riabilitativo-sanitario, tuttavia essa è rivolta a coloro che hanno avuto una malattia invalidante o, comunque, che si trovino in uno stato di ridotta mobilità, ed è un’attività da svolgere in gruppo (14).

Nelle malattie croniche la sedentarietà determina e accelera il processo di invalidità. L’AFA, per il duplice ruolo svolto nel combattere la sedentarietà e favorire la socializzazio- ne, appare come un valido mezzo in grado non solo di interrompere tale circolo vizioso, ma anche di crearne uno virtuoso. L’AFA è finalizzata a facilitare l’acquisizione di stili di vita utili a mantenere la migliore autonomia e qualità di vita possibile.

Per più di 30 anni i ricercatori hanno condotto studi sperimentali per valutare l’effetto dell’allenamento fisico sullo stato di salute in bambini ed adulti con disabilità intellettiva (ID), ricavando importanti risultati sulla capacità dell’attività fisica di indurre cambiamenti positivi nelle abilità aerobiche, nella forza muscolare e nelle attività di resistenza e flessi- bilità. Le organizzazioni sanitarie mondiali promuovono l’esecuzione di 30 minuti di attività fisica di moderata intensità su tutti, o quasi, i giorni della settimana al fine di ottenere il raggiungimento di uno stato di salute a livello globale, e gli sforzi di ricerca per aumentare l’attività fisica in individui con ID hanno prodotto risultati estremamente positivi.

Anche se non ci sono chiare evidenze sulle abitudini dei comportamenti legati alla salu- te, vi sono evidenze che le persone con ID abbiano livelli di fitness bassi e tassi elevati di morbilità e mortalità associate con la sedentarietà (13). Dalla letteratura risulta che solo il 20-30% circa degli adulti con ID soddisfa le attuali raccomandazioni per la promozione della salute (11) e che i giovani con ID mostrano livelli di fitness cardiovascolare e di forza muscolare bassi, e di contro più elevati livelli di obesità di coetanei senza ID. Per queste ragioni appare necessario promuovere l’adozione della pratica regolare di attività fisica tra le persone con ID; fondamentale è il concetto che le persone con ID possono raggiungere gli stessi livelli di attività fisica della popolazione in generale.

Rimmer e colleghi hanno analizzato alcuni degli studi più recenti basati sull’esercizio in persone con ID implementato mediante diversi tipi di intervento: dai risultati emerge come l’esercizio abbia un effetto positivo sulle capacità funzionali, sul BMI, su comportamenti stereotipati, sulla “salute funzionale”, muscolo-scheletrica, cardiorespiratoria e metaboli- ca (10). L’associazione tra stile di vita sedentario e disabilità intellettive mostra, come già evidenziato, l’importanza di assicurare alle persone con queste problematiche la possibilità di svolgere attività fisica regolarmente. Come per la popolazione generale, infatti, anche per le persone con ID esiste una proporzionalità diretta tra i livelli di fitness raggiunti e i benefici che derivano dalla pratica (12).

Gli aspetti motivazionali rappresentano uno step fondamentale per coinvolgere queste persone. Generalmente le persone con ID sono restie a cercare occasioni per essere fisica- mente attive, altre volte non ne hanno i mezzi o la disponibilità, nel contesto in cui sono in- serite. Lavay e McKenzie, ad esempio, hanno riscontrato un aumento significativo dei livelli di fitness aerobica in adulti con ID che partecipavano a programmi di attività di cammino o jogging (3 giorni alla settimana, per 12 settimane) con la supervisione e l’incoraggiamen- to di un esperto. Il risultato più significativo di questo studio è stato constatare che anche al termine del programma queste persone hanno continuato a fare jogging tre giorni alla settimana per un anno: con un’adeguata supervisione ed un opportuno incoraggiamento, i

soggetti con ID sono in grado di impegnarsi attivamente in programmi raggiungibili a breve termine (6). Importante risulta a tal proposito, come riportato da Bennet e colleghi, moti- vare i partecipanti con ricompense quali gite, cibo o altri oggetti tangibili, quando vengono raggiunti gli obiettivi prefissati; ciò comporta una modifica nel comportamento degli stessi partecipanti con conseguente aumento dell’impegno messo nell’esecuzione degli esercizi (1).

È altresì necessario proporre interventi di tipo educativo che aiutino le persone con ID a conoscere e a diventare consapevoli dei benefici e dei vantaggi che derivano da una rego- lare attività fisica. Quando queste attenzioni trovano compimento in programmi atti a pro- muovere nel quotidiano l’adozione di stili di vita più attivi e più attenti alla prevenzione, si ottengono i migliori risultati (8).

L’attività fisica può rappresentare un mezzo ideale per promuovere l’autonomia della persona, in quanto prevede una routine (appuntamenti regolari, abbigliamento adeguato, regole da rispettare per il buon funzionamento delle attività): ciò favorisce la responsabiliz- zazione del partecipante verso se stesso e verso gli altri. I benefici dell’attività fisica emer- gono anche nelle sfere più personali come la capacità di prendere decisioni a favore della propria vita e della propria salute, la cura di sé e la capacità di confrontarsi con i propri limiti e con le proprie risorse. Questi aspetti si sommano ad altri molto concreti, diretta- mente collegati alla qualità della vita delle persone con ID, come la capacità di camminare e di muoversi da soli. Molto spesso sapersi muovere in maniera autonoma ed essere in grado di compiere azioni che richiedono buone funzioni motorie diventa anche sinonimo d’indi- pendenza e di riduzione del dolore.

Attraverso l’attività fisica viene stimolata la crescita, lo sviluppo di potenzialità indivi- duali, l’incremento di capacità e l’acquisizione di abilità, l’integrazione in contesti di vita ricchi di relazioni significative. Oltre al miglioramento della forma fisica, allo sviluppo co- gnitivo conseguente all’apprendimento motorio, alla socializzazione conseguente all’inte- grazione nel mondo sportivo, vi è un miglioramento dell’autostima; tutto ciò permette ad una persona con disabilità di confrontarsi con gli altri e di condividere le emozioni suscitate dall’attività: tutte esperienze fondamentali per la crescita personale nella sua dimensione relazionale.

Bibliografia

1. Bennet F, Eisenman P, French R et al. The effect of a token economy on the exercise behavior of individuals with Down syndrome. Adapt Phys Activ Q 1989; 6: 230-246.

2. Cannavò C. E li chiamano disabili.RCS Libri – Rizzoli, Milano.

3. Carta Internazionale per l’educazione e lo Sport, art.1, UNESCO 22/11/1979.

4. Giuliani A, Micacchi G, Valenti M. Physical Activity in mental health services: scientific evidence and guidelines - Ital J Sport Sci 2005; 12: 116-124.

5. Kruk J. Physical Activity in the Prevention of the Most Frequent Chronic Diseases an Analysis of the Recent Evidence. Asian Pac J Cancer Prev. Jul-Sep 2007; 8 (3): 325-38.

6. Lavay B, McKenzie TL. Development and evaluation of a systematic walk/run program for men with mental retardation. EducTrain Ment Retard September 1991; 333-341.

7. Manifesto Europeo sui giovani e lo sport Lisbona 17-18 maggio 1995.

8. Mann J, Zhou H, McDermott et al. Healthy behavior change of adults with mental retardation: attendance in a health promotion program. Am J Ment Retard 2006; 111: 62-73.

9. Nichelini L. Handicap e Sport. SEU, Roma.

10. Rimmer JH, Chen MD, McCubbin JA et al. Exercise intervention research on persons with disabili- ties: what we know and where we need to go. Am J Phys Med Rehabil. Mar 2010; 89 (3): 249-263. 11. Stanish HI, Draheim CC. Assessment of walking activity using a pedometer and survey in adults

with mental retardation. Adapt Phys Activ Q 2005; 22:136-145.

12. Stanish HI, Frey GC. Promotion of physical activity in individuals with intellectual disability. Salud Publica Mex 2008; 50 suppl 2: S178-S184.

13. Sutherland G, Couch MA, Iacono T. Health issues for adults with developmental disability. Res Dev Disabil 2002; 23: 422-445.

14. Vicini M, Poletti M. Manuale di attività fisiche adattate, risorse dell’insegnante. Ed B. Mondadori, Milano 2009.

15. World Health Organization. Global recommendations on physical activity for health: 18-64 years old, 2011. In: www.who.int/dietphysicalactivity/physical-activity-recommendations-18-64 years. pdf.

16. Wojtek J, Chodzko-Zajko, D.N. Proctor, C.T. Minson et al. Exercise and physical activity for older adults. Medicine & Sciencein Sports & Exercise, July 2009.

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