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Un gruppo di ricerca australiano ha valutato i dati del Global Burden of Diseases (GBD) riferiti al 2010: su 291 malattie che causano disabilità e/o morte prematura, al quinto posto in classifica, con il 6,8% ci sono le patologie muscolo-scheletriche, che nel 1990 si trovavano al 12° posto con il 4,7% (10).

Il grado di severità delle malattie reumatiche appare molto elevato, comportando signi- ficative ricadute sulla capacità produttiva dei soggetti colpiti da tali condizioni. Tuttavia, l’attuale disponibilità di nuovi mezzi diagnostici (e la conseguente possibilità di diagnosi precoce) e i nuovi approcci terapeutici più efficaci impattano positivamente sulla qualità di vita del paziente.

Evidenze scientifiche

Diversi studi scientifici hanno dimostrato che la pratica di attività fisica di moderata in- tensità migliora la qualità della vita dei soggetti con artrite o altre condizioni reumatiche, senza peggiorarne i sintomi e senza aggravare la malattia. Essere fisicamente attivi può anche ritardare l’insorgenza di disabilità (6, 15).

Nel 2008 il Department of Health and Human Services ha pubblicato le Linee guida dell’attività fisica per gli Americani, con riferimento a persone di ogni età e capacità, tra le quali quelle con malattie croniche, come le patologie muscoloscheletriche (www.health. gov/paguidelines).

Nel 2010 i Centers for Disease Control and Prevention and the Arthritis Foundation hanno rilasciato la National Public Health Agenda for Osteoarthritis, un vero piano di promozione di Salute pubblica. Tale piano promuove l’attività fisica come un intervento prioritario per migliorare i sintomi di tali patologie e prevenirne le limitazioni (3).

Considerando il notevole impatto che queste patologie rivestono sull’autonomia e sull’abilità lavorativa dell’individuo, oltre alla riduzione dell’aspettativa di vita, appare fondamentale contrastarne la diffusione. Occorre considerarle priorità nelle politiche sani- tarie, adottando sia una strategia europea sia piani d’azione nazionali.

È necessario implementare opportune strategie di prevenzione primaria innanzitutto in- coraggiando interventi di contrasto alla sedentarietà e di promozione di stili di vita attivi in tutti i cittadini sani. Inoltre è sicuramente necessario consolidare gli strumenti per la diagno- si precoce, sia aumentando l’informazione e la formazione dei Medici di medicina generale (MMG), che devono essere coinvolti nella diagnosi precoce e nella gestione dei pazienti con malattia, sia sensibilizzando la popolazione e i pazienti, che devono collaborare consapevol- mente alla terapia. Appare quindi fondamentale dal punto di vista prognostico l’immediato invio del paziente, in cui il medico di medicina generale sospetta una patologia reumatica in fase iniziale, allo specialista reumatologo per l’inquadramento diagnostico e l’impostazione terapeutica. Non meno importante la promozione dell’attività fisica come prevenzione ter- ziaria, per il totale recupero del paziente, o, quantomeno, la riduzione dell’inabilità (7).

Il malato reumatico necessita di continuità assistenziale, informazione, sostegno per raggiungere la massima autogestione possibile, nonché di un follow-up regolare e sistema- tico di intensità differente a seconda del quadro clinico.

Il modello maggiormente rispondente a questo tipo di esigenze è rappresentato dal Chronic Care Model (CCM), un insieme di principi e metodologie evidence-based che offre supporto al malato e lo sollecita ad adottare comportamenti volti a prevenire l’aggrava- mento della patologia e descrive, inoltre, aspetti organizzativi ritenuti fondamentali per migliorare l’efficacia e l’efficienza dei servizi di assistenza (5). Si tratta, in pratica, di un modello esteso di percorso diagnostico-terapeutico-assistenziale (PDTA) che coniuga l’evi- dence based medicine (EBM) con aspetti di carattere economico al fine di ottimizzare l’uti- lizzo delle risorse in un’ottica di miglioramento delle prestazioni sanitarie. Tale modello (Fig. 1) si caratterizza per la presenza di sei diversi livelli, due con forte valenza politica

(comunità e risorse politiche) e quattro con essenza meramente assistenziale convergenti verso la stessa direzione: supporto all’autocura, organizzazione del team, supporto alle decisioni e sistemi informativi.

Il modello in questione, in origine sperimentato a Seattle con lo scopo di ottenere dei benefici in termini di outcome e qualità di vita, suggerisce un approccio proattivo tra il per- sonale sanitario ed i pazienti stessi determinando una serie di cambiamenti utili a favorire il miglioramento delle cronicità.

L’organizzazione del percorso assistenziale deve garantire un perfetto coordinamento tra tutto il personale tant’è che gli operatori deputati a tale compito, partendo dalle in- formazioni presenti nei database, possono elaborare e monitorare le migliori strategie assi- stenziali, testandone, successivamente la validità (14).

Esperienze sul campo

L’implementazione di programmi di attività motoria e/o fisica adattata ai soggetti con patologie osteoarticolari, promuovendo uno stile di vita attivo che risulta spesso abban- donato dai pazienti con tali patologie, migliora la qualità della vita, riducendo il dolore, migliorando la funzionalità articolare e potenziando la muscolatura (9).

In Canada, uno studio in singolo cieco condotto in collaborazione tra le Università di Ottawa e Toronto, ha testato l’efficacia di un programma di cammino su 222 soggetti con osteoartrite. I soggetti sono stati suddivisi in tre gruppi con modalità random. Il primo gruppo effettuava un programma di cammino, supervisionato da un esperto, combinato con interventi di educazione comportamentale sui benefici del camminare; il secondo effet- tuava lo stesso programma e riceveva un opuscolo informativo sui benefici del camminare; il terzo riceveva solo l’opuscolo informativo sui benefici del camminare e si autogestiva. A lungo termine i miglioramenti della salute dei soggetti partecipanti sono comparabili in tutti i gruppi. Ciò dimostra che è fondamentale educare ed assecondare nelle sue esigenze il paziente che si avvicina a programmi di attività motoria (2).

Ancora in Canada, l’Università di Toronto ha sviluppato un Programma per il controllo dell’artrite attraverso l’educazione e l’esercizio, il PAGE-ex. Il programma, della durata di 10 settimane, prevede 2 sessioni a settimana di 2 ore ciascuna: un’ora destinata alla forma- zione ed alla discussione sull’importanza dell’esercizio fisico, l’altra dedicata all’esercizio in piscine di acqua calda. Ad ogni sessione partecipano non più di 15 soggetti. L’efficacia di tale programma è stata dimostrata in un recente studio retrospettivo che ha coinvolto 347 partecipanti che, tra il 1998 ed il 2006, avevano tutti completato il PAGE-ex. Il 68% dei partecipanti mostrava miglioramenti statisticamente significativi nelle valutazioni di auto- efficacia per gestire l’artrite, nella qualità di vita e nello stato di salute generale (13).

Diversi studi sono stati altresì realizzati su programmi di esercizi intensivi e specifici in soggetti colpiti da artrite reumatoide. In Svezia è stato condotto uno studio che ha preso in considerazione 40 donne (20 con artrite reumatoide e 20 sane) che hanno eseguito un programma di esercizi per la mano. Dopo 6 settimane di allenamento è stato osservato un miglioramento significativo della forza manuale e della funzione della mano nelle pazienti con artrite; il miglioramento si è rivelato ancora più pronunciato dopo 12 settimane. In de- finitiva, tale “programma motorio”, portando ad una migliore resistenza e funzionalità, si è dimostrato intervento efficace nei confronti dell’artrite reumatoide (1).

In Italia, nella primavera del 2009 la Regione Toscana, riconoscendo i positivi risultati raggiunti nella sperimentazione introdotta nel 2005 con l’attività motoria adattata (AMA), ha deliberato (DGR 459/2009) l’atto rivolto alle ASL per l’organizzazione su tutto il terri- torio Regionale dell’Attività Fisica Adattata (AFA). Nell’atto deliberativo Regionale viene introdotta la differenziazione fra AFA per persone a bassa disabilità e AFA per persone ad alta disabilità, individuando due tipologie di programmi:

- Programmi AFA per persone con “bassa disabilità” disegnati per “le sindromi croniche che non limitano le capacità motorie di base o della cura del sé”;

- Programmi AFA per persone con “alta disabilità”, disegnati per “le sindromi croniche stabilizzate con limitazione della capacità motoria e disabilità stabilizzata”.

Particolare attenzione è stata prestata ai pazienti reumatici, che entrano a pieno titolo nei programmi di AMA e AFA.

L’Associazione Trentina Malati Reumatici (ATMAR), riconosciuta l’importanza che l’at- tività fisica riveste per la cura delle malattie reumatiche, nell’ambito delle attività di assistenza e di supporto ai malati, già da alcuni anni promuove corsi di educazione al movimento, limitati a piccoli gruppi selezionati di pazienti, prevalentemente residenti a Trento. Nell’anno accademico 2012-2013, dalla collaborazione tra l’ATMAR e l’Università della Terza Età e del Tempo Disponibile del Trentino (UTETD), è nato un Progetto finalizzato alla realizzazione di un programma di educazione motoria che prevede anche aspetti mirati per le persone affette da patologie reumatiche. Il progetto si propone di raggiungere alcuni importanti obiettivi formativi:

- imparare un’attività fisica mirata monitorata;

- capire l’importanza di svolgere gli esercizi in modo continuativo ed in forma autono- ma;

- acquisire conoscenza e percezione del proprio corpo;

- aumentare le proprie capacità motorie (forza e resistenza, mobilità articolare, coor- dinazione, equilibrio);

- accrescere il benessere psico-fisico attraverso l’acquisizione di autostima;

- acquisire consapevolezza relativamente alle proprie capacità (residue) e di conse- guenza adeguare le attività alla situazione contingente.

Anche in altre regioni (Calabria, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, etc.), nell’ambito dei progetti di lotta alla sedentarietà e promozione della salute, sono in corso iniziative di programmi AMA ed AFA per malati cronici e, quindi, capaci di apportare signifi- cativi benefici anche ai pazienti con patologie osteoarticolari.

Bibliografia

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Le malattie respiratorie croniche sono un gruppo di patologie caratterizzate da una pro- gressiva riduzione della capacità polmonare. Nella maggior parte delle classificazioni ven- gono incluse come malattie respiratorie croniche la Broncopneumopatia Cronico Ostruttiva (BPCO), Asma, Bronchiectasie e Sindrome delle apnee notturne (12).

La Broncopnumopatia Cronico-ostruttiva (BPCO) e l’asma sono senza dubbio patologie molto rilevanti a livello epidemiologico. L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che circa 300.000 milioni di persone al mondo soffrano di Asma e 80 milioni sia affetto da Bron- copneumopatia Cronico Ostruttiva. Dati forniti dal ministero della salute riportano che nel 2006, in Italia, sono avvenuti 35.751 decessi per malattie dell’apparato respiratorio (57% maschi), che rappresentano il 6.4% di tutte le morti. Il quoziente di mortalità sale marca- tamente dopo i 64 anni d’età. Le malattie respiratorie si confermano quale terza grande causa di mortalità, dopo le malattie dell’apparato cardio-circolatorio e le neoplasie (ISTAT 2009). Più del 50% dei decessi per cause respiratorie è attribuibile a BPCO. L’asma, assieme all’obesità, è la patologia cronica più diffusa nell’infanzia ed è una causa importante di ospedalizzazione. In Italia le malattie respiratorie, dopo le malattie cardiovascolari e neo- plastiche, rappresentano la terza causa di morte e si prevede che, anche a causa dell’invec- chiamento della popolazione, la prevalenza di tali patologie sia destinata ad aumentare” (12).

Le patologie respiratorie croniche riconoscono come agente causale principale l’esposi- zione a fattori esogeni, primo fra tutti l’esposizione al fumo di sigaretta. Molto importanti sono anche l’esposizione professionale o meno a inquinanti outdoor e indoor, condizioni sociali, dieta ed infezioni. Esistono anche fattori genetici che svolgono un ruolo nella genesi e gravità della patologia (6).

Broncopneumopatia Cronico Ostruttiva (BPCO)

La BPCO è una condizione patologica caratterizzata da una progressiva limitazione al flusso aereo parzialmente reversibile. Tale limitazione al flusso è progressiva ed è secon- daria all’inalazione di particelle o gas nocivi. La BPCO è una malattia cronica che prevede fasi quiescenti e fasi di riacutizzazione in occasione di episodi infettivi a carico dell’albero polmonare. Tali episodi possono mettere il paziente in pericolo di vita e, qualora risolti, provocano nella maggior parte di casi una riduzione del perfomance status del paziente. Da un punto di vista anatomo-patologico la BPCO prevede la coesistenza di bronchite cronica ed enfisema polmonare.

I sintomi che caratterizzano la BPCO sono dispnea ingravescente, tosse cronica produt- tiva. La dispnea si instaura di solito dopo anni dall’inizio degli altri sintomi. La diagnosi viene posta in genere quando al protrarsi nel tempo di questa sintomatologia si associano

Ruolo dell’attività motoria nella prevenzione delle

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