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Effetti sistemici dell’attività motoria

La sarcopenia è un evento regressivo a carico del tessuto muscolare che può presentarsi in seguito a differenti situazioni di ordine fisiologico, così come clinico ed è, infatti, spesso presente tra le manifestazioni avverse dovute a sviluppo e trattamento della patologia on- cologica. La sarcopenia presenta associazioni con esiti negativi quali bassa qualità di vita, aumento della fatigue e del rischio di mortalità non onco-specifica. Essa risulta, inoltre, as- sociata con la progressione tumorale e la mortalità riferita al cancro alla mammella (14).

Risulta cristallino che la pratica di attività fisica sia il mezzo più diretto per contrastare o quantomeno rallentare l’avvento di tale situazione, aumentando la forza e prevenendo la perdita muscolare. In particolare, allenamenti contro resistenza o, eventualmente, combi- ned training, sono da preferire per il raggiungimento di tale scopo.

Alterazioni cancro-correlate altresì evidenti sono riscontrate a livello del sistema im- munitario. Come è noto, sebbene a breve termine e soprattutto se condotto con modalità ad alta intensità l’esercizio fisico possa risultare immunosoppressivo (vedi fenomeno open- window), i suoi effetti sul medio e lungo termine agiscono su meccanismi di potenziamento del sistema immunitario. La pratica di un programma fisico studiato sulle caratteristiche specifiche del paziente/ex paziente oncologico risulta in un miglioramento dei parametri correlati alle difese dell’organismo; nello specifico, i valori della PCR – marcatore di stato infiammatorio cronico – sono risultati diminuiti in diversi trials riguardanti la patologia on- cologica per seno, polmone e prostata. L’attività fisica ha, inoltre, la capacità di modulare in senso restrittivo la quantità di citochine infiammatorie circolanti (vedi IL-6; TNFα) che a livello oncologico trovano correlazione con la progressione tumorale, situazioni di sarco- penia/cachessia, la percezione della fatigue. In aggiunta, è stata riportata un’aumentata efficacia della citotossicità delle cellule NK, un incremento nella conta dei granulociti e nella proliferazione linfocitaria (3).

Il bilanciamento positivo che la pratica costante di attività fisica determina nella fun- zionalità endocrina è evidente ma relativamente poco indagato se ci riferiamo alle sue correlazioni con l’oncologia. Aumentati livelli di insulina sono stati associati con un incre- mento del rischio di recidiva e di morte per il cancro al seno ed al colon retto. L’attività motoria influisce positivamente sui livelli d’insulina circolanti e sulle pathways implicate nella sua regolazione e, come risulta semplice intuire, i suoi effetti positivi sono tanto più pronunciati nel caso di controlli effettuati su individui obesi/sovrappeso e sedentari. Studi inerenti a biomarcatori endocrini – come cortisolo, IGFs, serotonina, bilirubina, etc. – sono ancora insufficienti per giungere a conclusioni incisive sull’effetto della regolazione endo- crina nell’ambito degli esiti oncologici (1).

Attività fisica e cancro

Dati derivanti da studi epidemiologici e sperimentali attestano l’esistenza di una relazio- ne scientificamente comprovata tra la mancanza di attività fisica ed un aumentato rischio di sviluppare la patologia oncologica, oltre che una correlazione inversa tra attività motoria e prognosi, con una riduzione della mortalità cancro-specifica tra il 15% ed il 67%, soprat- tutto per quanto riguarda cancro del seno, colon e prostata (2). Tale variabilità statistica va spiegata tenendo in considerazione, da un lato la molteplicità di patologie tumorali e le caratteristiche eziopatogenetiche che le differenziano tra loro, e dall’altro tipologia, volume e durata dell’attività motoria presa in considerazione. Per le medesime ragioni, oltre che per l’esistenza di un’ovvia suscettibilità interindividuale alla pratica motoria, non esiste una precisa indicazione riguardo migliori modalità e parametri dell’attività fisica da eseguire per l’onco-prevenzione. Le linee guida internazionali, in ogni caso, riportano che per un soggetto adulto, che voglia ottenere sostanziali benefici in termine di salute, è

necessario praticare settimanalmente almeno 150 minuti di attività aerobica d’intensità moderata, o 75 minuti di attività motoria intensa. La suddetta pratica motoria deve esse- re preferibilmente distribuita in maniera equilibrata durante il corso della settimana e le singole sedute di attività non devono avere una durata inferiore ai 10 minuti. A maggiori volumi di attività fisica corrisponde il guadagno di maggiori benefici in termini di salute, che sono altresì ricavati attraverso una diversificazione della tipologia di allenamento – come esercizio per lo sviluppo di forza; interval-training; etc. (13).

Thomson e colleghi riportano in un follow-up della durata di 12 anni condotto su un cam- pione di 65.838 donne, le relazioni esistenti tra la pratica motoria, il rischio di ammalarsi di cancro e relativa mortalità. Il recentissimo studio indica che seguire le raccomandazioni precedentemente descritte sulla pratica di attività fisica, unite ad un corretto compor- tamento dietetico, equivale ad una riduzione dell’incidenza del 17% per ogni tipologia oncologica, del 22% per il cancro al seno e del 52% per il tumore del colon-retto. Inoltre, la mortalità cancro-specifica risulta ridotta del 20% e quella relativa ad ogni causa di morte raggiunge una diminuzione del 27% (12).

Come accennato precedentemente, è stato comprovato che l’attività fisica (allenamen- to aerobico + allenamento vs resistenza) è in grado di migliorare i parametri relativi a fatigue, forza muscolare e resistenza, e che il suddetto miglioramento è percentualmente maggiore comparato al solo utilizzo delle terapie abituali; interessante è la conferma di tale dato sia a livello di prevenzione terziaria (attività fisica dopo terapia specifica), sia a livello di prevenzione secondaria (attività fisica in concomitanza di terapia specifica) (3). Ovviamente i protocolli motori cui sottoporre il paziente oncologico dovranno tener conto delle sue particolari condizioni e avranno, nel dettaglio, indicazioni particolari in caso di severa anemia, compromissione del sistema immunitario, intensa fatigue, cateteri inseriti e atassia o neuropatia periferica; più in generale, un ottimale programma di allenamento è studiato “ad hoc” e tiene conto del livello di fitness pre-trattamento, eventuali co-morbidi- tà, risposta alla terapia ed effetti negativi della medesima, immediati o a lungo termine.

Nel 2010, l’American College of Sports Medicine (ACSM) ha creato delle linee guida per la pratica motoria specificatamente riferita ai cancer survivors, sottolineando come, in gene- rale, sia importante evitare la sedentarietà e ritornare alle attività abituali e quindi anche alla pratica motoria il prima possibile dopo l’intervento chirurgico; nel caso di terapia non chirurgica, lo svolgimento delle attività giornaliere e di attività fisica dovrebbe essere man- tenuto durante e dopo il periodo di trattamento. Fatta eccezione per particolari situazioni controindicanti - quali problemi a braccia e spalle secondari a trattamento di k mammario, colostomia, cateterismo e infiammazioni addominali/inguinali - le raccomandazioni alla pratica di attività fisica aerobica, esercizi per lo sviluppo di forza e flessibilità rimangono assolutamente le medesime da applicarsi alla restante popolazione (10).

Aspetti molecolari: miRNAs e attività motoria

Negli ultimi decenni la comunità scientifica mondiale ha attentamente analizzato il si- stema regolatorio dei microRNA (miRNAs), trovando sempre maggiore interesse nell’inda- gine dei fini meccanismi che sottendono i processi trascrizionali. I miRNAs sono una classe di piccoli RNA non codificanti, rappresentanti il meccanismo fondamentale della regolazio- ne dell’espressione genica a livello post trascrizionale. Attualmente siamo a conoscenza dell’esistenza di più di 1900 diversi microRNA espressi nell’uomo, ed ognuno di essi è in grado di interagire su una molteplicità di geni, i quali, a loro volta, possono fare altrettanto a livello trascrizionale. La presenza di situazioni patologiche, o più semplicemente, l’esi- stenza di modificazioni organiche esogene e/o endogene correlano con variazioni espressive dei miRNAs. La pratica di attività motoria risulta in grado di modulare l’espressione di dif- ferenti miRNAs che, nello specifico, appaiono correlati e aventi fattore protettivo nei con-

fronti di patologie oncologiche e cardiovascolari. Una recente sperimentazione condotta su soggetti diabetici ha dimostrato che anche una sessione di attività fisica aerobica a bassa intensità e, contestualmente, di breve durata (45 minuti) risulta sufficiente a modulare il livello espressivo di 15 differenti miRNAs oncoprotettivi. L’attività fisica ha diminuito a livello sierico l’espressione dei microRNA. Esperimenti condotti nel topo hanno dimostrato che esiste una correlazione inversa tra l’espressione dei microRNA nei tessuti bersaglio e nel sangue. Infatti, in un modello di cancerogenesi sperimentale polmonare indotta da fumo di sigaretta, alla down regolazione dei microRNA polmonari corrisponde una up regolazione dei miRNA sierici (6). Questa correlazione inversa è dovuta al fatto che l’agente modulante l’espressione dei microRNA interferisce con la loro maturazione a livello dell’enzima DICER bloccando così, nel caso del fumo di sigaretta, la maturazione dei microRNA precursori. Pertanto tali precursori sono estrusi dalla cellula nel sangue risultando in tale fluido in- crementati rispetto ad una corrispondente diminuzione dei microRNA maturi riscontrata nel polmone. Sulla base di tali dati, è quindi possibile ipotizzare che alla diminuzione dei microRNA sierici indotta dall’attività fisica riscontrata nello studio citato, corrisponda una up-regolazione a livello del tessuto bersaglio dell’intervento e cioè del muscolo scheletrico. L’attività fisica promuove quindi la maturazione di microRNA protettivi, attestando il suo potere preventivo, non solo per mezzo di una modulazione organico-sistemica, ma già a livello pre-trascrizionale. La varietà di meccanismi protettivi implicati e la molteplicità di livelli entro i quali agisce in fase preventiva, pongono l’attività motoria in una posizione di eccellenza tra i mezzi necessari ad attuare una completa opera di igiene e prevenzione.

Bibliografia

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Le malattie endocrino-metaboliche rientrano attualmente tra le patologie multifattoria- li più diffuse su scala globale. Tra queste, il diabete mellito, l’alterata tolleranza al gluco- sio, l’obesità e la sindrome metabolica rappresentano condizioni comunemente associate a scorretti stili di vita (7).

Con 347 milioni di persone colpite, il diabete rappresenta una delle principali cause di mortalità e morbilità al mondo (5). La prevalenza della malattia ha mostrato negli ultimi decenni un rapido aumento come conseguenza della crescita e del progressivo invecchia- mento della popolazione mondiale, dell’urbanizzazione e della diffusione di scorretti stili di vita (5, 8, 17). Per il futuro, le proiezioni riportano un incremento ancora più marcato, fino a raggiungere nel 2030 un tasso di prevalenza pari a quasi il doppio di quello registrato nel 2000 (4, 8, 17). Nel nostro Paese ne risulta affetto il 4,9% della popolazione (9).

Il diabete è una condizione cronica che si verifica quando il pancreas non produce in- sulina in quantità sufficienti (diabete mellito di tipo I) o quando il corpo non può usare efficientemente quella che viene prodotta (diabete mellito di tipo II). L’iperglicemia che ne consegue e altri disturbi del metabolismo possono condurre a gravi danni a carico di diversi sistemi corporei, soprattutto a livello di nervi e vasi sanguigni. Le persone con diabete di tipo I necessitano di iniezioni quotidiane di insulina per sopravvivere, mentre quelle affette da diabete di tipo II possono gestire la loro condizione agendo sul proprio stile di vita, anche se per ottenere un buon controllo metabolico devono spesso ricorrere a farmaci e talvolta all’insulina (19).

Il diabete di tipo II, che rappresenta il 90% del totale dei casi, è correlato a fattori di rischio comportamentali quali sovrappeso e sedentarietà: circa il 58% dei casi è associato ad un Indice di Massa Corporea (IMC) superiore a 21. Il peso eccessivo e l’inattività contribu- iscono a determinare l’insulino-resistenza, che provoca un’aumentata richiesta di insulina al pancreas, e il diabete si manifesta quando il fabbisogno corporeo di insulina supera la capacità del pancreas di produrla (19).

Prima dell’insorgenza del diabete vero e proprio, però, il soggetto si viene a trovare in una condizione di rischio intermedia, caratterizzata da un’alterata tolleranza al glucosio (Impaired Glucose Tolerance, IGT) e dall’assenza di manifestazioni cliniche. L’intolleranza al glucosio rientra tra una serie di fattori di rischio cardiovascolare, quali obesità centrale, ipertensione, elevati livelli di trigliceridi e bassa concentrazione di lipoproteine ad alta densità nel sangue, che insieme definiscono la cosiddetta sindrome metabolica (16).

I soggetti diabetici possono comunque condurre una vita sana e intensa: molti studi hanno dimostrato che attraverso l’adesione alla terapia medica e l’adozione di compor- tamenti salutari quali seguire una dieta adeguata, praticare attività fisica, mantenere un peso appropriato ed evitare il fumo è possibile gestire la patologia diabetica e prevenirne o ritardarne le complicanze.

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