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Autonomia delle households, scalar stress, e strutture integrative

CAPITOLO 4. Quadro teorico, obiettivi, metodologia di indagine

4.5 Obiettivi di analisi e quadro teorico

4.5.3 Autonomia delle households, scalar stress, e strutture integrative

Al tema dell’autonomia dei gruppi familiari e delle tensioni che da questa possono nascere, si lega quello dell’uso di spazi e pratiche che hanno un ruolo importante nel mantenimento della coesione interna delle comunità. L’argomento si basa sul concetto di scalar stress ed è stato sintetizzato recentemente da M. S. Bandy in uno studio su alcune comunità preistoriche dell’America meridionale363. L’autore sottolinea le caratteristiche del fenomeno definito irritation coefficient o scalar stress rispettivamente da R. Rappaport e da G. Johnson, che per primi lo hanno analizzato in ambito antropologico ed archeologico. Lo scalar stress è quel fenomeno di conflittualità interna che nasce nelle comunità umane e che cresce in proporzione all’aumento delle dimensioni dei gruppi. La loro capacità di prendere decisioni che riguardano la comunità nel suo complesso si basa sullo scambio di informazioni a livello dei singoli individui. Di conseguenza, maggiore è il numero di elementi che compone una comunità, maggiore è il numero di informazioni che devono essere scambiate, ed il volume di quest’ultime cresce in maniera sproporzionata in rapporto al numero di soggetti364. Bandy sottolinea, sulla scorta di dati etnografici, !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

359 NAROLL 1962.

360 V. la sintesi in CHAMBERLAIN 2006, pp. 126-127, anche con riff. prec. a Le Blanc, Kramer, Casselberry, Kolb. Per gli altri riff., v. KUIJT 2000, pp. 80-85; BYRD 2002, pp. 80-83; STEADMAN 2004, p. 520; PORCIC 2011, spec. pp. 4-11.

361 CAZZELLA-RECCHIA 2009, p. 76 anche con rif. prec.

362 FISHER 2006, pp. 126-129; FISHER 2009, pp. 444, 453.

363 BANDY 2004, spec. pp. 322-324, 331-332, anche con rif. prec. a Rappaport e Johnson. Sullo scalar stress nell’interpretazione dei dati in specifici contesti archeologici, v. anche HEGMON 1989, pp. 125-130; HEGMON 1994, pp. 171-173; BERNARDINI 1996, spec. pp. 372-379; LOWELL 1996, pp. 85-87; FRIESEN 1999, pp. 23-24; LEE 2007, pp. 652-653; PEREGRINE et alii 2007, pp. 82-83; RAKITA 2009, pp. 48-50; ROSCOE 2009, p. 75.

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che lo scalar stress può nascere anche a densità di popolazione molto basse, ben inferiori a 50 individui. L’osservazione è in linea con quanto originariamente rilevato da Johnson, il quale indicava per lo scalar-stress soglie comprese tra 10 e 40 individui365. Di fronte alla conflittualità, le risposte del gruppo umano si muovono in diverse direzioni. La prima è di tipo orizzontale, e prevede fenomeni di fissione della comunità, cioè di divisione in gruppi più piccoli. Tale opzione è percorribile quando non esistono fattori ambientali contrastanti, come forme di insediamento con strutture stabili o legame verso specifiche risorse locali. Una variante di questa prima opzione, messa in evidenza da Friesen, è quella che prevede non la separazione totale dei gruppi, ma la rimodulazione dell’insediamenti in modo che i gruppi occupino spazi discreti366. La seconda opzione prevede una risposta, per così dire, verticale, che si traduce nella creazione di forme gerarchiche in cui figure centrali o leaders riducano il livello di conflitto mediante la loro autorità o carisma. Una terza opzione, che può esistere in concomitanza o meno con la precedente, è quella legata alla nascita di pratiche svolte a livello comunitario, destinate a mitigare i conflitti. Quest’ultime sono svolte in strutture definite integrative poiché deputate al consolidamento della coesione sociale dei gruppi.

Esiste un’ampia letteratura sulle strutture integrative, sviluppatasi principalmente in ambiti di ricerca statunitensi, i cui risultati teorici hanno poi trovato utilizzo come chiave interpretativa in orizzonti cronologici e culturali diversi. Si deve a M. A. Adler e R. H. Wilshusen l’aver affrontato l’argomento in maniera sistematica367. Sulla base dell’analisi di un grosso campione etnografico costituito da società contemporanee site nel nord e sud America, Nuova Guinea, e Africa, i due studiosi hanno constatato che la quasi totalità delle comunità, con una popolazione variabile da un minimo di 50/75 individui ad un massimo di 500, sono dotate di strutture comuni speciali, di tipo non abitativo, e utilizzate per finalità comunitarie. Nei pochi casi in cui tali ambienti costruiti non sono documentati, esistono comunque degli spazi aperti, utilizzati per simili finalità. Gli studiosi distinguono, inoltre, tra strutture integrative di basso e di alto livello: le prime sono destinate ad accogliere individui appartenenti a households diverse della stessa comunità, mentre le seconde sono utilizzate per integrare segmenti diversi di comunità differenti. Le due distinzioni implicano, generalmente, una diversa dimensione di tali strutture, con le prime più piccole delle seconde. Nel campione studiato, le strutture integrative di basso livello presentano una superficie interna compresa tra i 30 ed i 60 metri quadri, mentre solo pochi casi risultano più grandi368. Gli studiosi rilevano, inoltre, che esiste una correlazione, tuttavia non forte, tra dimensione delle strutture e popolosità delle comunità, e una più forte tra dimensione e numerosità del gruppo che la utilizza. Le pratiche svolte in queste strutture sono di carattere vario, e oscillano tra attività più prettamente rituali (danze, iniziazioni) ad altre più mondane (preparazione e consumo del cibo; su quest’ultimo aspetto, v. §§ 4.5.4, 4.5.5).

Al di là degli esempi etnografici che costituiscono la base dello studio prima descritto, strutture integrative sono state identificate in contesti archeologici pertinenti ad orizzonti culturali e cronologici diversi. Esse possono presentare caratteristiche strutturali peculiari ed essere site in punti diversi degli insediamenti. Nel contesto neolitico cinese discusso da Lee, citato in precedenza, strutture interpretate come integrative presentano dimensioni maggiori rispetto la media delle unità a carattere domestico, e sono localizzate in una posizione tale da consentire l’accesso a tutti gli abitanti dell’insediamento369. Per l’insediamento neolitico di Beidha, in Giordania, Byrd rileva come strutture integrative destinate a promuovere la coesione sociale a un livello superiore all’household, controbilanciando le spinte fissorie derivanti dallo scalar stress, si caratterizzino per dimensioni !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

365 JOHNSON 1982, pp. 390, 392-393, 402.

366 FRIESEN 1999, pp. 23-24.

367 ADLER 1989;ADLER-WILSHUSEN 1990.

368 ADLER 1989, p. 43, fig. 4b; ADLER-WILSHUSEN 1990,p. 137, fig. 1.

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maggiori del normale, come nel precedente esempio cinese, e per la loro posizione centrale nell’insediamento370. Stesse caratteristiche ritornano, ad esempio, per la grande struttura centrale dell’insediamento neolitico di Nea Nikomedeia in Macedonia, per la quale S. G. Souvatzi propone l’identificazione con un ambiente funzionale a pratiche volte alla promozione della coesione sociale a livello comunitario371. Simili aspetti distinguono strutture integrative anche in altri ambiti culturali e cronologici. Ad esempio, nell’insediamento di Baker Village (Utah) relativo agli indiani americani Fremont (XI-XII sec. d.C.), B. S. Hockett identifica in una struttura a carattere integrativo quella che nel sito spicca (oltre che per l’evidenza faunistica; v. § 4.5.5.1) per dimensioni maggiori e posizione centrale372. Nello stesso ambito geografico e culturale, funzioni integrative a livelli superiori all’household erano svolte anche in ambienti costruiti di tipo diverso ed anche in spazi aperti. Nel primo ambito rientrano, ad esempio, ampie strutture semi interrate come le kivas o le grandi strutture a fossa (oversized

pit-structures); nel secondo, le piazze (plazas) sulle quali si affacciavano le diverse unità domestiche373.

Gli esempi fin qui citati concorrono a dipingere un’immagine considerevolmente varia degli spazi a carattere integrativo. Esse possono configurarsi, quindi, sia come ambienti costruiti, chiusi, generalmente di grandi dimensioni, siti in posizioni variabili ma comunque tali da consentire l’accesso a differenti segmenti comunitari. Possono, altresì, presentarsi come ambienti non costruiti, o per meglio dire, come spazi comuni. La letteratura citata, inoltre, contribuisce a rimarcare che gli spazi “pubblici” possono essere arene comuni utili a interazioni sociali di tipo vario, che non necessariamente implicano o presuppongono l’esistenza di forme asimmetria sociale, ma che possono essere volte al mantenimento e al rafforzamento degli equilibri sociali esistenti374.

È necessario sottolineare che la linea di demarcazione tra luoghi a carattere integrativo e spazi domestici non è netta. Questa prospettiva è stata recentemente messa in rilievo da B. J. Bowser e J. Q. Patton, in uno studio etnografico sul significato sociale dello spazio domestico nella comunità residente a Conambo in Ecuador375. Esso contribuisce a sfumare l’immagine di una netta demarcazione tra la sfera domestica e quella pubblica, e suggerisce che non è necessario individuare solo nella seconda la sede di scelte, interazioni, e pratiche socialmente rilevanti. Al contrario, si evidenzia il ruolo importante svolto dagli spazi integrativi domestici nella sfera delle decisioni e delle relazioni sociali. Questi sono essenziali nella vita delle comunità, specie in quelle in cui l’assenza di una figura “politica” centrale rende necessario che decisioni comunitarie risultino ampiamente condivise. Sulla scorta di un’analisi svolta lungo tre linee direttrici (organizzazione spaziale dell’insediamento in relazione al tessuto sociale della comunità; organizzazione degli spazi integrativi domestici; studio delle pratiche simposiache e delle caratteristiche decorative dei supporti ceramici utilizzati), emerge come gli spazi integrativi domestici siano al contempo luogo privato e pubblico, un luogo cioè dove le due sfere si incontrano e sono inseparabilmente fuse. Le abitazioni diventano luoghi in cui pratiche quotidiane a carattere sociale importanti per la comunità sono messe in atto, e in cui in cui ampie reti relazionali sono create, mantenute, e negoziate.

Un altro aspetto interessante messo in rilievo da questo studio è quello della relazione tra le dimensioni degli spazi, il tipo di interazioni che in essi si svolge, ed altri aspetti della cultura materiale come, segnatamente, la !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

370 BYRD 1994, pp. 643, 656-657. V. anche TWISS 2008, pp. 429, 436.

371 SOUVATZI 2008, pp. 70-74, 216-217.

372 HOCKETT 1998, pp. 290, 294.

373 Per le kivas e le strutture a fossa, v. ADLER 1989, pp. 44-47; HEGMON 1989, pp. 125-128; ADLER-WILSHUSEN 1990,p. 138-143; BERNARDINI 1996, pp. 386-396; SCHACHNER 2001,pp. 178-182. Per le piazze (plazas), v. POTTER 1997, pp. 355-362; POTTER 2000, pp. 375-385. Per altri tipi di strutture integrative, in altri ambiti geografici e culturali, si veda, ad esempio, il caso dei khirigsuurs dei pastori nomadi delle steppe della Mongolia, discussi in WRIGHT 2007; HOULE 2009, spec. pp. 370-373.

374 Su questo punto, v. inoltre SOUVATZI 2008, p. 225; SPIELMANN 2002, p. 196.

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dimensione e visibilità della decorazione sulle forme ceramiche legate al simposio (v. § 4.5.5.3). Bowser e Patton fanno riferimento agli studi dell’antropologo statunitense E. T. Hall, il quale ha esaminato il modo in cui l’essere umano usa lo spazio interpersonale nelle sue interazioni con gli altri, ed il modo in cui, a sua volta, il diverso uso dello spazio fisico influisca su diversi aspetti del comportamento. Questa relazione dialettica tra comportamento e spazio (inteso come distanze interpersonali che in esso possono essere accomodate) è definita dallo studioso con il termine di prossemica376. In base all’osservazione di soggetti umani in contesti sociali, Hall ha definito quattro zone prossemiche (intima, personale, sociale, e pubblica, ciascuna distinta ulteriormente in due fasi, definite vicina e lontana) basate su distanze interpersonali via via crescenti, ciascuna caratterizzante tipi diversi di interazioni sociali, dalle più intime e meno formali a quelle pubbliche e maggiormente formalizzate (Tav. 88 bis/a). Ciascuna sfera prossemica si caratterizza per aspetti diversi relativi, ad esempio, alla postura dei partecipanti, al tono di voce, alla capacità di vedere dettagli personali del volto o del corpo, e di entrare o meno in contatto fisico diretto. Lo spazio definito “sociale lontano” è quello in cui possono accomodarsi distanze interpersonali adeguate a interazioni meno intime e caratterizzate da una maggiore formalità dei toni e nei gesti377. Quello “pubblico” è lo spazio in cui è possibile accomodare distanze interpersonali estremamente formali nei toni e nei gesti; è lo spazio delle occasioni pubbliche, che richiedono un cambiamento della magnitudine della tonalità della voce e dei movimenti per essere percepibili da chi è presente378. Sebbene nel corso del tempo le conclusioni di Hall siano state discusse e sottoposte a ulteriori precisazioni, la sua prospettiva prossemica è ancora utilizzata come strumento di analisi sia in ambito antropologico e psicologico, sia in contesti di analisi archeologica379. Nel loro studio, utilizzando appunto le zone prossemiche come strumento per dare una caratterizzazione agli spazi dell’interazione in ambito domestico, Bowser e Patton hanno evidenziato come questi ultimi abbiano dimensioni tali da accomodare distanze interpersonali coincidenti a quelle in uno spazio pubblico, e che ciò si accompagna ad altri particolari aspetti della cultura materiale, come ad esempio la visibilità della decorazione su forme ceramiche legate a pratiche simposiache (su cui vedi più avanti il § 4.5.5.3). Come rilevato dai due studiosi, il caso da loro analizzato evidenzia come gli spazi domestici possano essere anche spazi adatti ad accogliere interazioni di carattere “pubblico”, e che in società di piccola scala, prive di figure centrali, la linea di demarcazione tra privato e pubblico, tra sfera privata e sfera comunitaria, non è netta. In esse, pratiche importanti per l’intera comunità sono intrecciate a quelle di carattere più quotidiano.