• Non ci sono risultati.

Processi di formazione e quantificazione dei manufatti

CAPITOLO 5. I dati: acquisizione, classificazione, quantificazione

5.4 Processi di formazione e quantificazione dei manufatti

Un altro dei problemi affrontati in questo studio è quello della quantificazione dei reperti. Per le finalità di questo lavoro, è necessario ricostruire le quantità di manufatti documentati nei vari contesti. Ciò pone particolari difficoltà nel caso dei manufatti fittili, sia locali sia di provenienza extraeoliana, i quali, come ovvio, sono quelli più soggetti alla frammentazione. Il problema della quantificazione, e dei metodi adoperati a tal fine, è legato a !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

520 Per la bibliogr. relativa alla figurina, v. la prec. nota 102; per la funzione di questo tipo di oggetti, v. la prec. nota 489.

521 MACCHIAROLA 1987, 1995.

522 MARTINELLI 2005, pp. 179-184.

523 V. rif. bibliogr. nella prec. nota 521.

524 PERONI 1994; RECCHIA 1997; 1999; BELARDELLI et alii 1999.

525 Si veda, ad es., il caso del manico a nastro sopraelevato tipo Cocchi Genik 577 (COCCHI GENIK et alii 1995, p. 336), attestato nella capanna 11 di Panarea (BERNABÒ BREA 1968, p. 98, n. inv. 1448; tav. XXXVI, n. 9), che ricorre tanto sulle ciotole carenate che sulle tazze attingitoio (cfr. COCCHI GENIK et alii 1995, p. 169, fig. 84, tipo 259; p. 231, fig. 120, tipo 382).

87

quello della condizione di ritrovamento dei reperti e, di conseguenza, ai processi di formazione del deposito archeologico. Gli studi della scuola della behavioural archeology di M. B. Schiffer hanno analizzato nel dettaglio i modi in cui il record archeologico va incontro a processi di formazione di varia natura, sia a carattere naturale sia legati all’azione umana, che ne alterano caratteristiche e composizione, e che è necessario tenere presente in qualsiasi tipo di analisi rivolta all’interpretazione delle evidenze archeologiche526. Dalla relazione tra stato di conservazione dei reperti, processi di formazione, e tipi di quantificazione adoperabili, discende la necessità di premettere alla descrizione del metodo di conteggio dei reperti una discussione preliminare su cosa rappresentino i materiali da quantificare, cioè che grado e/o tipo di relazione essi possano avere con il complesso di manufatti originariamente in uso nelle strutture in esame. In altre parole, usando la terminologia di Schiffer, che relazione esista tra l’originario systemic inventory e l’archaeological inventory.

Nella storia d’uso delle strutture, intese in senso ampio come luoghi in cui si svolgono attività, lo studioso distingue tre ampi insiemi di processi diversi, raggruppati sotto le rubriche di fase abitativa, abbandono, e post abbandono527.

La prima comprende processi legati alle attività svolte quotidianamente, come: a) la formazione di rifiuti primari (primary refuses), cioè insiemi di oggetti abbandonati presso o vicino il luogo del loro utilizzo; b) la creazione di rifiuti secondari (secondary refuses), termine con il quale si indica il processo di sottrazione di materiali da un contesto, derivante dalla rimozione dei rifiuti da un’area di attività, e la loro deposizione in altro luogo; c) la creazione di rifiuti provvisori (provisional refuses), cioè di insiemi di oggetti rotti o consumati che sono accumulati temporaneamente, in attesa di un riutilizzo e di una eliminazione successiva. Secondo lo studioso, i rifiuti primari non rappresenterebbero la regola nelle fasi d’uso delle strutture, poiché il loro accumulo comporterebbe un intralcio per le attività svolte. Le pratiche di pulizia rutinaria implicherebbero la periodica manutenzione delle strutture e l’asportazione dei rifiuti. La magnitudine e la completezza della pulizia risultano, tuttavia, variabili. Nello studio di strutture domestiche dell’insediamento preistorico di Little Egypt (Georgia) negli Stati Uniti, D. J. Hally, ad esempio, ha dimostrato come un’elevata quantità di vasi incompleti, conservati anche sotto forma di piccoli frammenti, possa esistere, accanto a vasi completi o parzialmente tali, anche in strutture con piano pavimentale e deposito interno ben preservato dal crollo della copertura, cosa che porta ad escludere la loro presenza come intrusiva. Tale evidenza è spiegata con la mancata completa rimozione di quelle forme ceramiche utilizzate all’interno delle varie strutture e che, col tempo, sono andate incontro a processi di rottura sul posto528. I vasi integri sono identificati come de facto refuse, mentre quelli conservati solo in forma di frammenti isolati sono identificati con i rifiuti primari residuali di Schiffer (residual primary refuse)529. Quanto al trattamento e disposizione dei secondary refuses, esistono casi in letteratura che contemplano sia la loro dislocazione in aree periferiche degli insediamenti (in aree non importanti per le attività o l’accesso all’abitato), sia in aree all’esterno delle unità abitative530.

Per quanto riguarda la fase di abbandono, lo studioso distingue tra rifiuti di fatto (de facto refuses), rifiuti da fase di abbandono (abandonment stage refuses), e curate behaviour. Il primo termine indica il complesso di manufatti, integri e utilizzabili, lasciati in posto quando un’area viene abbandonata. Il secondo termine indica quei rifiuti primari che sono lasciati presso le aree di attività come conseguenza del rilassamento delle normali pratiche di pulizia rutinaria che si verifica quando l’abbandono di un sito è previsto. La terza espressione si riferisce al !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

526 In generale, v. SCHIFFER 1987; LAMOTTA-SCHIFFER 1999.

527 SCHIFFER 1987, pp. 58-64, 89-98; LAMOTTA-SCHIFFER 1999, pp. 20-25.

528 HALLY 1983, pp. 169-172.

529 SCHIFFER 1987, pp. 63, 302.

88

processo di rimozione selettiva di oggetti che avviene in caso di abbandono graduale e pianificato531. La prima condizione comporta che il numero e la proporzione di oggetti abbandonati riflette con una certa fedeltà quelli originariamente utilizzati. La situazione ideale in cui ciò si verifica è quella di eventi eccezionali, come catastrofi naturali: non a caso Schiffer indica con l’espressione Pompeii-like la condizione di contesti con reperti esclusivamente de facto. Negli altri casi, i complessi di reperti da strutture non abbandonate in maniera imprevista possono presentare un certo grado di rimozione selettiva di reperti. I repertori de facto possono inoltre comprendere, secondo quanto descritto a proposito dei processi che interessano la fase di utilizzo delle strutture, sia rifiuti primari sia rifiuti primari residuali.

Quanto alla fase post-abbandono, le strutture dismesse possono essere utilizzate come discarica di rifiuti secondari. Ciò comporta l’introduzione di nuovi insiemi di reperti che non hanno relazione con le attività originariamente svolte. Nel caso in cui esista un livello di crollo dell’elevato che separi il piano pavimentale di una struttura da ciò che si accumula nelle fasi post abbandono, è possibile discriminare tra i due complessi di reperti532. Negli altri casi, nel corso del progresso della disciplina, sono stati sviluppati, specialmente in ambito di studio statunitense, metodi basati su vari aspetti quantitativi della documentazione, nel tentativo di distinguere reperti de facto da materiali accumulatisi come rifiuti secondari in fase post abbandono. Ad esempio, nell’analisi delle complesse fasi di utilizzo ed abbandono dei pueblo dei nativi d’America, J. J. Reid ha esaminato il rapporto tra numero di manufatti integri e densità di frammenti isolati (cioè appartenenti a forme non ricostruibili). Secondo questo approccio, i primi sarebbero numericamente più consistenti in depositi contenenti complessi di materiali de facto, mentre i secondi prevarrebbero nei livelli formatisi progressivamente nelle fasi successive all’abbandono di una struttura533.

Di fronte al quadro fin qui tracciato, è lecito chiedersi come si rapporti ad esso la situazione delle strutture eoliane oggetto del presente studio. Che tipo di repertorio rappresenta l’insieme di materiali rinvenuti, all’interno delle capanne, sui piani pavimentali o in strati che possono riferirsi alla fase (finale) d’uso delle capanne?534

Se si muove dal presupposto che i repertori de facto si caratterizzano per una significativa presenza di manufatti utilizzabili, integri e/o ricostruibili, allora il quadro dei contesti in esame si presenta variegato. Dall’esame dei manufatti fittili (sia di tipo vascolare che non), si rileva come a Lipari (Tav. 17) siano presenti capanne che non hanno restituito manufatti integri o ricostruibili, mentre altre ne hanno restituito un numero variabile. Complessivamente si va da un minimo di 0 a un massimo di 5, con una media 1,6 oggetti per contesto (su un totale di 14 capanne). È escluso dal computo l’insieme di reperti dalla buca all’esterno della capanna Gamma 08, che ha restituito il più alto numero di manufatti ceramici integri o ricostruibili (18 unità). A Filicudi (Tav. 18) il numero minimo è 0, il massimo 10, la media 2,5 (su un totale di 11 strutture). A Panarea (Tavv. 19/a, 19/b), il minimo è 0, il massimo 10, la media è pari a 2 (su un totale di 27 capanne). A Salina (Tav. 20), il minimo è 0, il massimo 17, la media è 5,4 (su un totale di 17 strutture).

Il fatto che questi numeri escludano i materiali che, poiché provenienti da livelli sovrapposti al crollo delle strutture, non possono considerarsi pertinenti agli orizzonti d’uso delle capanne, autorizza a formulate due ipotesi, non per forza mutualmente esclusive: gli insiemi di manufatti fittili in questione possono considerarsi o rifiuti primari o di fatto. Ovviamente, la prima ipotesi è l’unica probabile nei casi di assenza di oggetti fittili integri/ricostruibili. In questa evenienza, i materiali ceramici presenti possono considerarsi derivanti dalla rottura !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

531 SCHIFFER 1987, pp. 89-98.

532 DIEHL 1998, p. 621; O’BRIEN 2002, pp. 167, 184.

533 V. le considerazioni su tale metodo, con riferimenti precedenti agli studi di Reid, in CIOLEK TORELLO 1985, pp. 49-40; SCHIFFER 1987, pp. 325-326; LIGHTFOOT 1993, p. 169; MONTGOMERY 1993, pp. 157-159.

89

degli oggetti utilizzati e, nella misura in cui ciò avvenga presso il luogo d’uso, tali reperti possono comunque fornire informazioni sulle attività svolte nell’area di rinvenimento535. In linea teorica, tra questi materiali possono essere compresi sia provisional refuses sia abandonment stage refuses, di cui si è detto in precedenza. Anche in questi casi, si ripete quanto detto per i rifiuti primari circa il legame con i tipi di attività svolte nelle strutture e il potenziale informativo fornito. Nel caso in cui accanto a reperti fittili non completi ne siano presenti altri completi, è lecito supporre che i rifiuti primari si accompagnino a una certa quantità di rifiuti de facto. Esiste, al riguardo, un’ampia varietà di situazioni negli insediamenti eoliani, con un numero di reperti fittili completi che va, come visto sopra, da un minimo di 1 a un massimo di 17. La coesistenza di reperti frammentari non completi (rifiuti primari) e di altri completi (rifiuti di fatto), con un netto prevalere dei primi sui secondi, non è una condizione ignota alla letteratura archeologica. Nell’insediamento di Snaketown (Arizona) analizzato da J. Seymour e Schiffer, ad esempio, quasi la metà delle unità abitative esaminate conteneva sia vasi completi che esemplari frammentari536. La stessa situazione è quella analizzata da Hally, citata più sopra, in cui il repertorio di materiali ceramici restituito da tre unità abitative comprendeva 47 oggetti completi o parzialmente tali, e più di 2000 frammenti isolati, rappresentanti un numero minino di 282 vasi537. Un quadro simile è quello che caratterizza l’abitato mississipiano di Powers Fort (Missouri) studiato da M. J. O’Brien, dove, su un totale di cinque strutture che hanno restituito oggetti fittili, il numero medio di esemplari completi è di 2 unità e quello medio di esemplari frammentari non completi è di 16 unità538. In un diverso ambito culturale e geografico, il discorso si ripete, ad esempio, per la casa D della polis greca di Halieis (Argolide) studiata da B. A. Ault, dove in un deposito de facto contenente 34 vasi completi erano presenti più di 1000 frammenti, rappresentanti un minimo di 276 vasi539.

In sintesi, l’analisi preliminare degli insiemi di manufatti fittili dai livelli d’uso delle strutture in esame suggerisce che ci si trova di fronte a situazioni diverse. Se, da un lato, l’assenza di oggetti fittili completi in alcune strutture suggerisce la presenza solamente di rifiuti primari (o anche di provisional e/o abandonment stage

refuses), dall’altro, la compresenza in altri contesti di reperti fittili completi o parzialmente tali lascia aperta la

possibilità che ai rifiuti primari si accompagni una certa proporzione, variabile da caso a caso, di rifiuti di fatto. Tra gli insediamenti eoliani in esame, il caso che forse più si avvicina alla condizione Pompeii-like di Schiffer è quello del villaggio di Portella a Salina, dove, come i dati esposti più sopra evidenziano, il più alto numero massimo e il più alto valore medio di oggetti fittili integri indicano la presenza, in termini generali, di una maggiore quantità di repertori de facto. Diverso è il caso di Filicudi, dove l’assenza di manufatti fittili integri, il basso numero di frammenti, e l’assenza anche di reperti diversi da quelli ceramici, in buona parte delle strutture, è interpretabile come indice di una scarsissima quantità di rifiuti primari (v. l’analisi svolta nel § 10.3.1) Quanto agli insediamenti nel loro complesso, il discorso generale va ovviamente contrastato sulla composizione globale degli arredi delle strutture. Infatti, come evidenziato dallo stesso Schiffer, se la presenza di manufatti fittili integri depone a favore della presenza di rifiuti (fittili) di fatto, la mancanza di tali oggetti non necessariamente implica la completa assenza di rifiuti di fatto540.

Poiché, nell’interpretazione dei repertori di oggetti fittili fin qui offerta, i materiali frammentari non completi rivestono un ruolo importante, non fosse altro per il loro numero, è divenuto necessario individuare un criterio operativo che rendesse possibile stimare il numero di individui rappresentati. Questo problema ha avuto !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

535 HALLY 1983, pp. 169-170; SCHIFFER 1987, p. 302; SCHIFFER 1989, p. 56; AULT-NEVETT 1999, p. 50; VERHOEVEN 1999, p. 61; AULT 2005, pp. 9-10; FLANNERY 2009, p. 27.

536 SEYMOUR-SCHIFFER 1987, p. 560, tab. 12.1.

537 HALLY 1983, pp. 166-169.

538 O’BRIEN 2002, p. 189, tab. 7.1.

539 AULT-NEVETT 1999, p. 48.

90

ampia discussione in letteratura e diversi approcci sono stati proposti. Ad esempio, in alcuni casi, il calcolo del numero minimo di individui di una determinata tipologia presenti in un contesto è stato stimato pesando il numero di frammenti rinvenuti, e dividendo tale valore per il peso di un esemplare completo. In altri casi, può essere utilizzata, ad esempio, la somma delle percentuali degli orli conservati, pertinenti a una specifica forma ceramica, in modo da ottenere una stima della quantità minima di individui interi rappresentati dagli orli rinvenuti. Chiaramente, entrambi gli approcci presuppongono che la produzione ceramica sia fortemente standardizzata, sia negli aspetti morfologici che nella qualità e densità delle fabbriche ceramiche541.

Il metodo utilizzato nel presente lavoro è più semplice, e si basa essenzialmente sul coordinamento e l’incrocio delle informazioni che Bernabò Brea e Cavalier hanno reso disponibili nelle pubblicazioni degli scavi e nell’edizione dei materiali. Le quantità ricostruire in questo studio sono da intendere come minimo numero di

individui (MNI), cioè come la quantità minima di oggetti fittili a cui possa ritenersi appartenere un dato insieme di

frammenti. Questo tipo di conteggio, che trova riscontro in letteratura archeologica542, si basa su un principio relativamente semplice: dato un insieme di frammenti, si considera ciascuno come derivante dallo stesso oggetto, a meno che non ci siano motivi per cui ritenerlo pertinente ad uno diverso. Da ciò deriva che questo tipo di quantificazione può considerarsi una stima prudente. Infatti, sebbene essa si basi su materiali frammentari, di differenti dimensioni, e potrebbe teoricamente produrre una sovrastima del numero originario di oggetti, questa possibilità è da escludere proprio per il fatto che gruppi di frammenti, qualora non esistano indicazioni contrarie, vengono accorpati e considerati come espressione di un singolo individuo543.

Nel processo di ricostruzione del MNI, il caso più semplice è rappresentato da manufatti rinvenuti integri, e da quelli frammentari ma ricostruibili, ai quali è facile assegnare un valore pari ad 1 unità. Lo stesso vale nei casi in cui un manufatto non sia integro ma mancante di una qualche sua parte. In maniera simile si opera nell’eventualità in cui una forma vascolare sia rappresentata da una sua parte diagnostica e questa, per una serie di motivi (dimensione, impasto, trattamento della superficie, tipo di decorazione), sia identificabile come un esemplare diverso dagli altri simili presenti nello stesso contesto. Valore pari a 1 è assegnato anche nel caso in cui una forma sia attestata da frammenti di parti non diagnostiche (vedi, ad esempio, i frammenti di ventri), ma essi per i motivi sopra esposti siano attribuibili ad un unico esemplare.

Nel caso di resti di parti differenti della stessa forma vascolare, il MNI si è stabilito secondo il seguente criterio. Se, ad esempio, in un contesto si conservano 3 piedi di coppe su piede, 2 vasche diverse ed un certo numero di frammenti di vasca, il numero minimo di individui sarà pari al numero di piedi conservati, vale a dire al valore massimo delle parti diagnostiche conservate. Lo stesso vale, nella casistica inversa, nel caso in cui il numero delle coppe sia maggiore di quello dei piedi conservati; in questo caso, ovviamente, farà fede il numero delle coppe rinvenute. Similmente, nel caso in cui si conservino diversi frammenti di ventri di brocche e 2 colli, quest’ultimo valore sarà usato per la ricostruzione del numero minimo di individui. Nel caso, ad esempio, di vari frammenti di brocche che presentano due motivi decorativi differenti (o due tipi diversi di impasti), si utilizza !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

541 Su queste e altre metodologie, v.: EGLOFF 1973; ORTON 1980, pp. 161-167; CHASE 1985; ORTON et alii 1993, pp. 166-175; BANNING 2002, pp. 93-115.

542 Per considerazioni generali sull’utilizzo del MNI, nell’analisi sia dell’evidenza ceramica che di fauna, v. BANNING 2002, pp. 94-102. Per l’uso del MNI in sede di analisi dei reperti ceramici di, v. ad es. DONACHIE 2001, p. 32; GUEVARA 2002; SAUNDERS 2004; AULT 2005, pp. 19-20; PITTS 2005, p. 145; MOORE et alii 2006; WILSON 2008, p. 94.

543 La scelta della quantificazione in base al MNI è stata dettata anche dal fatto che non si conosce il tipo e l’intensità delle procedure di restauro delle forme ceramiche frammentarie, che devono aver avuto luogo nelle fasi successive agli scavi. Non si hanno informazioni per poter capire se i frammenti registrati nelle pubblicazioni siano effettivamente isolati o, più semplicemente, non sono stati attribuiti, nelle fasi del restauro, ad altri insiemi presenti negli stessi contesti. L’esistenza di casi in cui frammenti (di diverse dimensioni) vengono attribuiti ipoteticamente ad altre forme frammentarie nelle stesse strutture, lascerebbe propendere anche per la seconda ipotesi. Per il problema del rapporto tra quantificazione e restauro dei manufatti ceramici, v. SEYMOUR-SCHIFFER 1987, pp. 570-571.

91

come valore di quantità quello del numero di motivi decorativi (o di impasti) attestati nell’insieme di frammenti rinvenuti.

Prendendo come esempio la forma vascolare dell’olla, se in un contesto sono presenti due olle parzialmente integre ed un certo numero di frammenti di olle, il numero minimo delle olle nel contesto è ricostruito come 2 unità, ed al gruppo di frammenti si attribuisce quantità 0, dato che essi potrebbero in teoria essere pertinenti (se non diversamente indicato in letteratura) alle due olle conservate. Infine, nel caso in cui in un contesto la forma dell’olla sia rappresentata solo da frammenti, il MNI è identificato con 1 unità.

Da quanto fin qui descritto, discende che nella descrizione dei contesti e nell’analisi delle evidenze operate nei successivi capitoli, con il termine 1 unità si fa riferimento ad una unità di computo, che può corrispondere (per quanto riguarda le forme ceramiche) o ad un vaso (conservatosi in maniera completa o parziale), o da un insieme di frammenti che si considerano pertinenti (a meno che non esistano ragioni contrarie) ad uno stesso vaso. Per ciascun contesto, l’indicazione dei manufatti integri/ricostruibili sarà fornita (oltre che nel catalogo dei materiali provvisto su supporto informatico) nelle tabelle a corredo della descrizione delle singole strutture.