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CAPITOLO 10. Analisi delle evidenze

10.2.6 Descrizione e analisi dell’evidenza faunistica .1 Premessa

10.2.6.3 Finalità dell’analisi e metodologia

Come sottolineato da Villari, è possibile ipotizzare che la composizione del campione dei reperti dai vari livelli sull’Acropoli di Lipari sia stata in qualche modo influenzata da due ordini di fattori, che potremmo qui definire strutturali e contingenti. Nella prima casistica, si inseriscono i possibili processi di fossilizzazione selettiva dovuti all’acidità dei suoli vulcanici; nella seconda casistica rientra la metodologia di recupero utilizzata nel corso degli scavi, realizzati principalmente nel corso degli anni ’50 del ’900805. Verosimilmente a causa di questi motivi, nella sezione sulle faune da Lipari lo studioso rinuncia alla ricostruzione del Numero Minimo di Individui rappresentati dai vari insiemi di reperti faunistici (nella terminologia anglosassone, Minimum Number of !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

802 VILLARI 1995, pp. 228-230.

803 VILLARI 1995, pp. 233-236 (tagli 8-9-10-11); cfr. BERNABÒ BREA 1980a, p. 41.

804 Non è stato possibile operare un confronto specifico simile per i reperti dai livelli di Capo Graziano: infatti, nello studio di Villari (1995, pp. 226-227) dei resti faunistici non si specificano i contesti di provenienza. Per quanto riguarda l’Ausonio I (pp. 230-233), nessuna delle strutture citate presenta una quantità di frammenti confrontabile con quelli della Gamma 12 e dell’Alfa 02.

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Individual o MNI), fornendo solamente il numero di frammenti (corrispondente a quello che in letteratura

anglosassone è definito come Number of Identified Specimens o NISP)806. Di fronte alle riserve espresse da Villari, è necessario chiarire preliminarmente i motivi per cui ritengo utilizzabili i dati faunistici da Lipari, e fattibile (nonché utile) un approfondimento di analisi. Pur tenendo in considerazione i caveat suggeriti dallo studioso, esistono le basi teoriche per ritenere che i fattori più su citati abbiano alterato la composizione della fauna di Lipari solo nella misura in cui possano non aver consentito la conservazione e/o il ritrovamento di resti di microfauna (ad esempio, pesci e uccelli). Questi, infatti, risultano effettivamente assenti nel corpus delle evidenze in esame807. Invece, per le specie di taglia maggiore documentate, se è verosimile pensare che la raccolta “manuale” dei reperti abbia favorito i frammenti più grandi rispetto a quelli di minori dimensioni, è lecito altresì ritenere che ciò abbia riguardato trasversalmente tutte le specie attestate, diventando dunque ragionevolmente ininfluente ai fini dell’analisi che si intende svolgere808. Anche la postulabile influenza negativa di fattori post-deposizionali sulla conservazione dei reperti, non sembra invocabile per il repertorio in esame, come lo studio del rapporto tra frequenza e densità delle parti ossee conservate sembra dimostrare (v. più avanti).

Per le finalità del presente studio, oltre all’identificazione delle singole specie animali offerta in letteratura, interessa approfondire due aspetti. Da un lato, il numero di individui delle singole specie che può essere stimato in base ai frammenti ossei rinvenuti; dall’altro e soprattutto, la quantità e proporzione delle varie parti anatomiche rappresentate nel record archeologico. Quest’ultima prospettiva di analisi è volta a comprendere se e quanto la presenza di possibili differenze possa rispecchiare usi preferenziali e diversificati di specifici parti anatomiche a differente resa nutrizionale. Il prerequisito per questo tipo di analisi è che il complesso dei resti di fauna a disposizione non sia stato significativamente alterato da processi post-deposizionali. In altre parole, al fine di riscostruire comportamenti e strategie nutrizionali antiche (da correlare ad altri aspetti del record archeologico e della cultura materiale), bisogna essere ragionevolmente certi che quanto rappresentato dai resti di fauna sia un’immagine verosimilmente fedele del repertorio faunistico sfruttato in antico. Per questi motivi, l’analisi delle parti anatomiche attestate è preceduta dallo studio del rapporto tra frequenza e densità dei reperti ossei rinvenuti. Questo tipo di esame, canonico in letteratura archeozoologica, è volto a verificare se nel record archeologico si siano conservate solamente le porzioni ossee a maggiore densità o, in altre parole, se fattori post-deposizionali, aggiunti al diverso grado di densità (e quindi di degradabilità) delle porzioni ossee, abbiano alterato l’originaria composizione del repertorio faunistico809.

Com’è ovvio, le prospettive di analisi fin qui delineate presuppongono una quantificazione dei resti ossei. Proprio questo tema è molto dibattuto in letteratura archeozoologica. Nello sviluppo della disciplina sono stati formulati vari sistemi di quantificazione dei resti ossei e per la stima di vari aspetti della fauna antica. Oltre al NISP ed al MNI prima citati, sono stati messi a punto altri indici come, ad esempio, il Minimum Number of !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

806 Su NISP e MNI, v. RENFREW-BAHN 1995, p. 252; O’CONNOR 2007, pp. 54-63; LEE LYMAN 2008, pp. 21-82.

807 Sull’influenza dell’acidità del suolo sulla conservazione dei resti di microfauna, v. già VILLARI 1991, p. 317. Per quanto riguarda le tecniche di ritrovamento, seguendo il ragionamento di Loyet (2000, p. 30) è possibile ritenere che nel recupero senza setacciatura non è probabile che sfuggano frammenti ossei di macrofauna, mentre è molto probabile che la microfauna sia sistematicamente sottorappresentata. Su questo punto, v. anche O’CONNOR 2007, p. 31; ZIMMERMANN

HOLT 2005, p. 50. Per una conferma di tale ipotesi, v. anche MEADOW 1980, p. 69, fig. 2.

808 Il problema dell’influenza dei metodi di recupero (raccolta manuale vs setacciatura) sulla quantità e dimensione dei frammenti ossei ritrovati è discusso ampiamente in LEE LYMAN 2008, pp. 152-159. Quanto sostenuto da me nel testo si basa, oltre alla letteratura indicata nella prec. nota 807, su alcune considerazioni fatte dallo studioso (p. 159): (a) small

fragments will be lost more often than large fragments; (b) small skeletal elements of a taxon will be lost more often than large skeletal elements; (c) small specimens will be lost more often than large specimens, regardless of the taxonomy.

809 Per i presupposti teorici e i metodi di analisi: LEE LYMAN 2008, pp. 235-294; REITZ-WING 2008, pp. 231-233. Per lo svolgimento di tale analisi in specifici contesti archeologici, v., ad esempio, LOYET 2000, pp. 36-38; PLUCKHAHAN et alii

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Elements (o MNE) ed il Minimum Animals Unit (o MAU), che esprimono (facendo uso di metodologie di calcolo

e terminologie spesso simili) il numero minimo di elementi relativi a ciascuna sezione anatomica ricostruibili per una data specie in base al numero di frammenti ossei810. Questi metodi rappresentano solo alcune delle strategie messe in campo per la quantificazione: altre se ne sono affiancate nel corso dello sviluppo degli studi, con gradi di complessità via via maggiori, e comunque tutte contemperanti sia aspetti positivi che lati negativi quanto a sovra o sotto rappresentazione delle quantità stimate811. Ad esempio, con riferimento al MNI ed al NISP, entrambi presentano vantaggi e svantaggi, e sono egualmente influenzati dalla frammentazione dei reperti e dal loro stato di conservazione. Il NISP tende a sovrastimare il vero numero di individui: esso soffre, infatti, del problema dell’interdipendenza, cioè alla possibilità di attribuire a due animali diversi parti anatomiche originariamente pertinenti ad un solo organismo. Il MNI è incline a sottorappresentare il vero numero di organismi viventi. Inoltre, la procedura che consente di stimare il MNI può giungere a fornire due valori, con un valore minimo ed uno massimo. In condizioni ideali, comunque, i due metodi tendono a fornire risultati simili812.

Poiché l’analisi qui realizzata si basa non sull’esame diretto dei materiali ma sui dati forniti in letteratura, si è ritenuto velleitario (oltre che impossibile nella pratica) adoperare i metodi più raffinati rintracciabili in letteratura. A fronte del fatto che il dato di partenza, cioè quello fornito dalla letteratura, è rappresentato solo dal NISP, e poiché esso è ritenuto (non senza pareri discordanti) un indicatore non privo di problematiche (come si è accennato più sopra) né per la stima del numero di individui rappresentati dai frammenti ossei né per la quantificazione delle singole parti anatomiche (e successivo calcolo del rapporto tra le stesse), è divenuto necessario individuare una strategia d’analisi che consentisse di raggiungere questi ultimi due obiettivi.

Nel novero degli approcci individuabili in letteratura, ho ritenuto utilizzabile il metodo usato da Hesse e Perkins, e da Gilbert e Steinfeld813. La scelta è motivata da due ordini di fattori: la chiarezza espositiva e metodologica che caratterizza i due studi; la similarità tra le evidenze lì analizzate e quelle liparote qui in esame, per quanto riguarda la frammentazione dei resti ossei. Secondo la metodologia individuata, dapprima si prendono in esame tutti i frammenti ossei, relativi alle varie parti anatomiche delle diverse specie; si tiene conto, cioè, tutti i valori del NISP forniti in letteratura. Per stimare la quantità delle varie sezioni anatomiche, si escludono quelle parti delle ossa lunghe che non possono essere ricondotte ai settori distali o prossimali. Come rilevato da Gilbert e Steinfled, questo consente di ridurre la sovrarappresentazione delle ossa più grandi (e delle specie di taglia maggiore) dovuta al maggior numero di frammenti che esse possono produrre814. Si divide, poi, il numero totale di frammenti di ciascun elemento osseo (senza distinzione di pertinenza a parte destra o sinistra) per il numero di volte in cui ciascun elemento osseo compare nello scheletro completo dell’animale (ad esempio, 6 femori distali diviso 2 uguale 3)815. I valori così ottenuti si definiscono frequenze corrette (corrected frequencies)816, e possono !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

810 Per NISP e MNI, v. nota 806; per MNE e MAU, v. LEE LYMAN 2008, 215-241. Per il MNI, MNE e MAU, e per il loro utilizzo non univoco in letteratura archeozoologica, v. i rilievi critici in REITZ-WING 2008, pp. 226-230.

811 BANNING 2002, pp. 93-106; LEE LYMAN 2008, pp. 83-140.

812 LEE LYMAN 2008, pp. 53-55.

813 HESSE-PERKINS 1974;GILBERT-STEINFELD 1977;lo stesso metodo è usato, più recentemente, inFAITH-GORDON 2007,p. 874.V. anche TCHERNOV-BAR YOSEF 1982; O’CONNOR 2007, pp. 71-72; PRENTISS et alii 2007, p. 315 (tab. 9); REITZ -WING 2008, pp. 224-225.

814 GILBERT-STEINFELD 1977,p. 331, nota 9.

815 Per i vari divisori, in base alla varie sezioni anatomiche, v. GILBERT-STEINFELD 1977,pp.346-351. È da specificare che in letteratura i frammenti di vertebre e costole da Lipari sono registrati insieme, senza distinzioni. Al fine di calcolare le frequenze corrette, ho ritenuto opportuno dividere il NISP per 43, che è la media tra il numero delle vertebre (56 [5+15+7+5+24]) e delle costole (30 [2 per ciascuna vertebra toracica]). Bisogna specificare, inoltre, che sebbene si registrino delle piccole differenze nel numero di alcuni elementi ossei tra le varie specie animali (bovini vs caprovini/suini), in questa sede sono stati utilizzati i valori maggiori. Ne consegue che le frequenze corrette sviluppate in quest’analisi sono da considerarsi conservative, cioè lievemente sottodimensionate.

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essere utilizzati per due finalità: a) per ricostruire la proporzione tra le varie parti anatomiche nelle varie specie animali (e, per estensione, per comprendere se esistano differenze nell’attestazione delle varie parti anatomiche

tra le specie); b) per stimare il numero minimo di esemplari viventi rappresentati dal complesso di resti ossei; esso

corrisponde al valore massimo delle frequenze corrette registrate per ciascuna specie817.

Oltre ai dati quantitativi, per le finalità specifiche di questo studio, una serie di altri dettagli (non disponibili in letteratura) è stata aggiunta durante l’analisi. I frammenti sono stati classificati in base alla loro pertinenza a grossi comparti anatomici, come arti anteriori superiori, arti posteriori superiori, parti assiali, pelvi, piedi, e testa818. Inoltre, per ogni comparto anatomico si è calcolato il Food Utility Index (FUI) (indice di resa di cibo): per bovini e caprovini ho utilizzato i valori proposti da Metcalfe e Jones, mentre quelli pubblicati da Rowley Conwy ed altri autori sono stati adoperati per i suini819. Nei calcoli realizzati per la presente analisi, il FUI ricostruito per i vari comparti anatomici è uguale alla somma dei valori di FUI proposti in letteratura per le parti ossee comprese in ciascun settore anatomico. Infine, per l’analisi del rapporto tra frequenze e densità delle porzioni ossee (a cui si è accennato in precedenza), si è tenuto conto dei valori di densità recentemente forniti dallo studio di Ioannidou per bovini, ovini e suini820.

10.2.6.4 Analisi

Il numero totale di frammenti da contesti del Milazzese registrati in letteratura è pari a 192 unità, alle quali si aggiungano le 134 dalla capanna Alfa 02, per un totale di 326 unità (Tav. 102, tab. 1). Quantità, questa, che sebbene non elevata in termini assoluti, non è ignota ad analisi, anche recenti, sulla fauna da contesti archeologici821. Ragionando solo in termini di frammenti ossei, è possibile rilevare come, tranne nel caso degli caprovini, la Gamma 12 abbia restituito un numero più elevato di resti. Il dato diviene ancora più evidente e interessante se si tiene conto della differenza in superficie tra la struttura del Milazzese e l’Alfa 02. Nella Tav. 102, tab. 2, il numero di frammenti è stato normalizzato in base al valore in metri quadri della superficie interna ricostruibile (45,23 per la Gamma 12; 72,14 per l’Alfa 02)822. Il contesto del Milazzese è caratterizzato dal più del doppio del numero di resti ossei rispetto a quello dell’Ausonio II, ad esclusione degli caprovini, il cui valore è circa confrontabile.

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816 A volte, nello sviluppo degli studi archeo-zoologici, tale misura è stata utilizzata sotto diversi nomi: MNI, MAU, MNE (v. REITZ-WING 2008, pp. 226-230).

817 V., rispettivamente, per (a) GILBERT-STEINFELD 1977, pp. 337-340; per (b) HESSE-PERKINS 1974, p. 155; GILBERT -STEINFELD 1977,p. 346.

818 Per la pertinenza delle varie ossa ai diversi comparti anatomici, v. REITZ-WING 2008, pp. 402-404. Rispetto a quanto indicato dai due autori, che attribuiscono gli arti ai due grossi comparti del quarto anteriorie e posteriore, ho preferito distinguere gli arti nelle due parti superiori ed inferiori (piedi), e mantenere inoltre distinte la testa e le parti assiali (comprendenti queste ultime le vertebre, costole, e lo sterno: BANNING 2002, p. 190). La distinzione qui operata è conforme a quelle adoperate, ad es., in JACKSON-SCOTT 2003, p. 562, fig. 6; DABNEY et alii 2004, p. 80, tab. 1.

819 REITZ-WING 2008, p. 230. Per l’uso del FUI nello studio dei resti di fauna in contesti archeologici, v. ad es. KELLY 2001, p. 347; JACKSON-SCOTT 2003, p. 561, fig. 5. Per il FUI relativo ai diversi resti ossei, v. METCALFE-JONES 1988,p. 492, table 2;ROWLEY-CONWY et alii 2002, p. 83, tab. 4.

820 IOANNIDOU 2003, p. 358, table 1. Si noti che per alcun elementi ossei lì non contemplati (atlante, epistrofeo, sacro, costole) si è fatto riferimento a LEE LYMAN 1994, p. 246, tab. 7.6, utilizzando per i caprovini i valori delle pecore, per i bovini quelli dei bisonti.

821 V., ad es., B. A. POTTER 2007, p. 5, dove il NISP totale su cui si basa lo studio è pari a 192 unità. V. anche J.M. POTTER

1997, p. 360, tab. 2; ZIMMERMANN HOLT 2005, p. 57, tab. 3; MOORE et alii 2006, p. 104, tab. 12; PRENTISS et alii 2007, p. 315, tab. 9.

822 Per il confronto dei resti ossei da ambienti di differenti dimensioni, realizzato dividendo il numero di resti per la superficie (così ottenendo un valore corrispondente alla densità di reperti ossei per unità di area), v. ad es. CLARK 1998, p. 41.

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Dalla Tav. 102, tab. 3, è possibile rilevare come il numero di frammenti si articoli per specifico contesto, per specifica specie animale, per pertinenza ad osso e relativa sezione anatomica. Per i motivi esposti nel precedente paragrafo a proposito delle caratteristiche e dell’utilizzabilità del NISP, non si forniscono ulteriori commenti sui questi dati. Essi sono stati utilizzati per calcolare le frequenze corrette utilizzate nell’analisi seguente.

Nella Tav. 103, tab. 1, i vari NISP sono stati convertiti in frequenze corrette e su di esse è stato inoltre calcolato il MNI. È possibile notare come il MNI di esemplari di ciascuna specie non presenti grosse differenze quantitative tra i contesti in esame. Delle 7 unità di Bos taurus, 2 provengono rispettivamente dalla Gamma 12 e Alfa 02, 3 dagli altri contesti del Milazzese. Delle 7 unità di Ovis/Capra, 2 sono attribuibili rispettivamente all’Alfa 02 ed agli altri contesti del Milazzese, 3 alla Gamma 12. Delle 4 unità di Sus scrofa, 2 provengono dagli altri contesti del Milazzese, 1 rispettivamente da Gamma 12 e Alfa 02.

Se si prendono in esame le frequenze corrette, si può valutare la proporzione nei tre contesti dei resti delle tre specie animali (Tav. 103, tab. 2-3). Si nota che i resti ossei attribuibili ai bovini costituiscono la maggior parte (in termini relativi) delle attestazioni di parti animali in tutti i contesti in esame. Tra questi, solo negli altri contesti del Milazzese i resti ammontano al 50% dei reperti documentati. In tutti e tre i contesti, caprovini e suini occupano il secondo e terzo posto nella proporzione di resti ossei attestati.

Come rilevato in precedenza, prima di poter prendere in esame la quantità e proporzione delle varie sezioni anatomiche, è necessario analizzare il rapporto tra la frequenza delle porzioni ossee e la loro densità. In letteratura, una significativa forte correlazione tra le due variabili è considerata indice del fatto che nel record archeologico sono sopravvissuti solo i resti ossei a maggiore densità, mentre quelli a densità più bassa sono andati incontro a processi di distruzione non imputabili all’azione antropica. Ne consegue che il complesso dei resti faunistici non rispecchierebbe in pieno preferenze e scelte nutrizionali antiche. Nella Tav. 104, tab. 1, delle porzioni ossee di ciascuna specie animale sono indicate le rispettive frequenze corrette (trasposte in una scala da 1 a 100)823 e i valori di densità ossea. I grafici a dispersione di punti rappresentano la relazione tra queste due variabili (Tav. 104, 1-3). Per tutte e tre le specie animali, e in tutti e tre i contesti in esame, i dati indicano che le porzioni ossee conservatesi non sono esclusivamente quelle a maggiore densità. Anzi, sebbene con differenze di dettaglio tra le specie, risultano anche attestati resti ossei a densità media e medio/bassa. Nessuna positiva e significativa correlazione è perciò ravvisabile tra la frequenza delle parti ossee e la loro densità824.

Una volta accertato che la composizione dei repertori ossei non è ragionevolmente da considerarsi prodotto di fattori post-deposizionali, per rilevare se esitano delle differenze (imputabili, dunque, a specifiche scelte antropiche) nella proporzione dei vari comparti anatomici documentati, si sono raggruppati i valori delle frequenze corrette dei resti ossei in base alla sezione anatomica di pertinenza (Tav. 105, tab. 1). Per rendere confrontabili i dati dai diversi contesti, i valori sono stati convertiti in percentuali di colonna; la colonna contenente i valori medi costituisce uno standard con il quale confrontare i dati di ciascun contesto (Tab. 105, tab. 2).

Per quanto riguarda i bovini, si possono rilevare i seguenti punti (Tav. 105, 1-3):

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823 Si attribuisce al numero massimo il valore 100, e si esprimo gli altri numeri come percentuali del numero massimo. Si noti che esclusivamente per motivi di utilità pratica ai fini di una migliore visualizzazione, nei grafici a dispersione di punti che accompagnano quest’ analisi l’asse rappresentante questi valori è scalato da -10 a 110.

824 Indici di correlazione di Spearman (rS) per Bos taurus: Gamma 12: -0.193, p 0.489; altri cont. Milazzese: -0.09, p 0.820; Alfa 02: -0.237, p 0.481. Per Ovis/Capra: Gamma 12: -0.105, p 0.758; altri cont. Milazzese: -0.654, p 0.158; Alfa 02: 0.03, p 0.910. Per Sus scrofa: Gamma 12: < 0.001, p 1.000; altri cont. Milazzese: -0.86, p 0.333; Alfa 02: N/D.

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a) le ossa relative alla testa e ai piedi hanno una maggiore frequenza nell’Alfa 02, mentre le attestazioni nei contesti del Milazzese (Gamma 12 compresa) sono sotto la media;

b) quelle pertinenti alla zona pelvica hanno un frequenza maggiore negli altri contesti del Milazzese;

c) le ossa relative alla zona assiale presentano una maggiore proporzione (ben superiore alla media) nella Gamma 12, mentre negli altri contesti del Milazzese il valore differisce poco da quello medio; nell’Alfa 02 sono, invece, poco rappresentate (con un valore di molto inferiore alla media);

d) quelle appartenenti agli arti posteriori superiori hanno una maggiore incidenza nella Gamma 12, mentre le attestazioni negli altri contesti del Milazzese e nell’Alfa 02 sono al di sotto della media;

e) le ossa relative agli arti anteriori superiori registrano una frequenza maggiore nell’Alfa 02, mentre le attestazioni nei contesti del Milazzese (Gamma 12 compresa) risultano inferiore alla media.

Per i caprovini, si può mettere in evidenza quanto segue:

a) le ossa relative alla testa hanno una maggiore frequenza negli altri contesti del Milazzese, mentre le attestazioni nella Gamma 12 e nell’Alfa 02 sono sotto la media;

b) le ossa appartenenti ai piedi hanno una frequenza maggiore nell’Alfa 02, mentre le attestazioni nei contesti (Gamma 12 compresa) sono al di sotto della media;

c) quelle pertinenti alla zona pelvica hanno un frequenza maggiore nell’Alfa 02, mentre l’incidenza nella Gamma 12 è sotto la media, e nessuna evidenza proviene inoltre dagli altri contesti del Milazzese;

d) le ossa relative alla zona assiale hanno una maggiore incidenza nella Gamma 12, mentre le attestazioni nell’Alfa 02 sono inferiori alla media; nessuna ricorrenza, inoltre, si registra dagli altri contesti del Milazzese;

e) quelle appartenenti agli arti posteriori superiori hanno una maggiore incidenza nella Gamma 12, mentre le attestazioni negli altri contesti del Milazzese e nell’Alfa 02 sono al di sotto della media;

f) le ossa relative agli arti anteriori superiori registrano una frequenza maggiore negli altri contesti del Milazzese e nell’Alfa 02, mentre le attestazioni dalla Gamma 12 risultano inferiore alla media.

Per i suini, si può notare che:

a) le ossa relative alla testa hanno una maggiore frequenza nella Gamma 12 e negli altri contesti del Milazzese, mentre le attestazioni dall’Alfa 02 sono sotto la media;

b) le ossa appartenenti ai piedi e alla zona pelvica sono attestate solamente negli altri contesti del Milazzese; c) le ossa relative alla zona assiale hanno una maggiore incidenza nell’Alfa 02, mentre le attestazioni dalla

Gamma 12 sono inferiori alla media;

d) quelle appartenenti agli arti posteriori superiori hanno una maggiore incidenza negli altri contesti del Milazzese e nella Gamma 12, mentre le attestazioni nell’Alfa 02 sono al di sotto della media;

e) le ossa relative agli arti anteriori superiori registrano una frequenza maggiore nell’Alfa 02, mentre le attestazioni dalla Gamma 12 risultano inferiore alla media.

Se all’esame della diversa rappresentazione dei vari comparti anatomici si aggiunge l’aspetto della resa di cibo (FUI), è possibile delineare ulteriori differenze tra i contesti. Nella discussione seguente, si esamina il rapporto tra