CAPITOLO 4. Quadro teorico, obiettivi, metodologia di indagine
4.5 Obiettivi di analisi e quadro teorico
4.5.5 Pratiche di commensalità: aspetti materiali .1 Spazio dei feasts, aspetti del cibo consumato
4.5.5.2 Feasts e uso di exotica
Per quanto riguarda i manufatti legati al consumo condiviso del cibo, per comodità espositiva il discorso può articolarsi in due punti, la cui distinzione è rilevante nel quadro generale delle evidenze esaminate nel presente lavoro. Il primo è quello dell’incorporamento e dell’uso di exotica, cioè manufatti di tipo non locale; il secondo è relativo ad aspetti particolari degli oggetti, che possono essere per il momento ricondotti sotto la rubrica generale di stile.
Il tema dell’acquisizione e dell’utilizzo di beni non locali ha avuto in anni relativamente recenti un ampio impulso nell’ambito dell’interpretazione dei dati archeologici in diversi contesti cronologici e culturali. In questa prospettiva si collocano numerosi studi, come, ad esempio: quello di Dietler (citato in precedenza) !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
395 POTTER 1997, pp. 360-362; HOCKETT 1998, p. 297.
396 MALTBY 1985, pp. 54-55; LOYET 2000, p. 38.
397 POTTER 1997, pp. 358-359; KELLY 2001, pp. 347, 351; JACKSON-SCOTT 2003, p. 563; DABNEY et alii 2004, p. 79.
398 CAZZELLA et alii 2002, spec. pp. 435-436, 439; CAZZELLA-RECCHIA 2009, p. 79.
399 MCCORMIK 2002, pp. 27-30; JACKSON-SCOTT 2003, pp. 560-565; HALLER et alii 2006, p. 46.
400 KELLY 2001, p. 351.
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sull’importazione delle ceramiche greche legate al simposio in contesti dell’età del Ferro della Francia; quello di T. Hodos sullo stesso tipo di materiali nella Sicilia orientale nelle prime fasi della colonizzazione greca; quello di Van Wijngaarden sull’uso delle ceramiche di importazione egea in vari ambiti culturali mediterranei dell’età del bronzo; quello di L. Steel sull’uso dello stesso tipo di beni in contesti funerari e domestici del Tardo Bronzo di Cipro e del Vicino Oriente meridionale402.
La cornice teorica che fa da sfondo a questi lavori è l’antropologia del consumo che, peraltro, presenta punti di contatto con le coordinate generali dell’archeologia contestuale di Hodder403. Già quest’ultimo, infatti, nell’ormai classico studio pubblicato nel 1982, sottolineava la necessità di indagare come gli oggetti del commercio siano integrati in pratiche sociali locali, e come essi siano incorporati in strategie ed intenti per mezzo
di schemi concettuali locali404. La prospettiva antropologica prende le distanze dalla visione di tipo marxista del consumo di beni, e pone enfasi sugli aspetti al contempo materiali e non della relazione tra individuo e beni. L’immagine del consumo come pratica esclusivamente legata al valore materiale delle cose, e derivante dall’idea marxista di valore come spesa energetica messa in atto al momento della produzione, non è con certezza applicabile come chiave interpretativa in ambiti culturali premonetari405. Più utile si rivela, invece, la prospettiva antropologica, fondata sul valore non materiale e sul significato latu sensu sociale che gli oggetti possiedono. Parte essenziale delle pratiche di consumo è, in questa prospettiva, l’appropriazione simbolica dell’oggetto da parte del soggetto: lo stabilire, cioè, un’associazione mentale con il bene da consumare. Questo processo implica la trasformazione dell’oggetto da materia “anonima” a bene che possiede un significato per chi consuma406. Da ciò deriva che è il significato di un bene che crea il suo valore, e che questo non è concepibile come qualcosa di esterno al soggetto consumatore, ma trova spiegazione solo all’interno di un quadro più ampio e vario, in cui aspetti soggettivi, relazionali, identitari e, più generalmente, sociali, giocano un ruolo importante. È dalla complessa relazione tra tali elementi, e non solo e non tanto da aspetti più strettamente materiali, che la vita
sociale delle cose (A. Appadurai) dipende e acquista significato407. Il consumo diventa così il luogo ideale dove si incontrano la dimensione materiale e quella simbolica della vita umana, ed in cui gli oggetti non hanno significato in se, ma solo e nella misura in cui sono inseriti in una catena di valori e in un quadro di altri elementi materiali portatori di altri significati408. Questo quadro teorico, dunque, pone enfasi sul ruolo dell’individuo come parte attiva nelle pratiche di consumo dei beni, e sulla necessità di indagare queste pratiche in stretta relazione al più ampio retroterra sociale e simbolico del soggetto consumatore409.
Ciò è ancor più importante nel momento in cui gli oggetti valicano limiti culturali, per essere consumati al di fuori del loro luogo di origine. Essi non necessariamente entrano nel nuovo contesto con il significato attribuito loro nel vecchio, ma è verosimile che siano soggetti a processi di ricontestualizzazione: siano, cioè, attivamente e selettivamente integrati in nuove pratiche, e siano intrisi di nuovi significati410. Nell’ambito dell’antropologia del consumo, questo processo è definito con il termine ibridizzazione ed è oggetto di studio nel quadro del cross-!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
402DIETLER 1990,1999;HODOS 2000;VAN WIJNGAARDEN 1999,2002;STEEL 1998,2002,2004.Per altri studi, in altri ambiti geografici e cronologici, v. ad es. MEADOWS 1999 e PITTS 2005 sul consumo di forme ceramiche legate al banchetto nei siti indigeni del sud della Gran Bretagna, all’epoca della prima conquista romana. V. anche gli studi citati e discussi in MULLINS 2011, pp. 136-139 (con riff. prec.).
403 DIETLER 1999, pp. 483-488; STEEL 1998, p. 285; STEEL 2002, pp. 25-29; VAN WIJNGAARDEN 2002, pp. 28-29.
404 HODDER 1982, p. 204.
405 VOUTSAKI 1997, p. 36.
406 CARRIER 2010, p. 156.
407 APPADURAI 1986;MILLER 1987, p. 109; v. inoltre Carrier, citato nella prec. nota 406, anche con ulteriori riff.
408 PHILIBERT-JOURDAN 1996, pp. 59-63, 72.
409 MULLINS 2011, p. 134.
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cultural consumption, cioè all’acquisizione ed uso di beni occidentali in società del Terzo Mondo411. Si veda, ad esempio, il caso discusso da J. Camaroff sull’uso di abiti di tipo europeo, ma realizzati in pelle di leopardo, da parte dei capi delle tribù del Sud Africa in periodo coloniale. Prassi, questa, interpretata non (secondo una visione europeocentrica) come tentativo dei capi locali di vestire all’europea o di voler sentirsi europei, ma come mediazione simbolica tra i due sistemi di autorità (europeo e locale) in conflitto nel mondo coloniale412. Nella stessa direzione depone il caso discusso da Dietler sull’uso e significato sociale della Coca Cola presso i Luo del Kenya. L’esempio mostra come una bevanda, capillarmente diffusa in Occidente e utilizzata in contesti “quotidiani”, possa divenire in Africa una bevanda pregiata, utilizzata in pratiche di commensalità413. Come sottolineato dallo studioso, l’esempio serve a chiarire come l’uso di questa bevanda sia un prodotto dei gusti locali, generati e guidati dalle pratiche e dalle scale di valori della società che riceve ed usa il bene414.
Le chiavi interpretative offerte dall’antropologia del consumo (sintetizzabili, da un lato, nella relazione tra consumo dei beni e più generali fattori individuali, identitari, simbolici; dall’altro, nella necessità di comprendere il quadro sociale più ampio in cui avviene il consumo e da cui esso trae significato), forniscono le basi teoriche per gli studi di carattere più squisitamente archeologico, citati in precedenza, incentrati sull’acquisizione ed utilizzo di
exotica da parte di società antiche. Da prospettive cronologiche e culturali differenti, questi lavori convergono
sull’importanza (peraltro, ribadita recentemente da A. B. Knapp) di esaminare l’acquisizione e l’uso di beni non locali in una prospettiva che tenga conto dei modi e delle forme in cui tali beni sono ricontestualizzati (nel senso descritto in precedenza)415. Gli studi di Dietler, citati più sopra a proposito delle pratiche di consumo condiviso, depongono in questa direzione e, come visto, mostrano come gli exotica legati al simposio siano utilizzati quali strumenti e simboli nella distinzione di cerchie sociali esclusive. I beni non locali sono selettivamente usati, secondo lo studioso, per fini “sociali” interni, nel quadro generale del mantenimento di un autonomo senso di identità416. Un quadro più variegato è invece delineato da Van Wijngaarden per alcuni contesti ciprioti della Tarda età del Bronzo. Lo studioso, infatti, ha messo in evidenza come l’acquisizione e utilizzo di exotica possa avere luogo sia in contesti di tipo “quotidiano”, che non sembrano essere legati a specifiche pratiche socialmente di rilievo messe in atto da gruppi ristretti individui, sia, al contrario, in stretta relazione a segmenti sociali differenziati417. In questa seconda casistica rientra il caso di Kalavasos-Ayios Dhimitrios, dove set ceramici di tipo egeo, funzionali a pratiche di commensalità, ricorrono in sfere (funerarie e domestiche) legate a segmenti sociali elevati418. A questo proposito, inoltre, Steel evidenzia un punto importante nella prospettiva delle ricontestualizzazione: cioè che tali set vengono incorporati all’interno di repertori ceramici locali preesistenti e la loro scelta è strettamente dipendente dalle pratiche (ed alle finalità sociali) di chi li adoperava419. Il carattere culturalmente e socialmente determinato dell’acquisizione e uso degli exotica è ulteriormente sottolineato dalla stessa studiosa nella sua analisi della distribuzione delle ceramiche di tipo egeo nel Vicino Oriente meridionale. Il lavoro evidenzia come l’ampia diffusione delle ceramiche da simposio di tipo egeo nel nord della regione contrasti con la loro assenza nel settore meridionale, quello a più forte influenza egiziana. In quest’area si registra,
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411 Per un inquadramento generale, v. HOWES 1996.
412 CAMAROFF 1996, pp. 31, 36-38.
413 DIETLER 1999, pp. 485-486.
414 DIETLER 1999, p. 487; per altri esempi di uso, culturalmente in-formato, della stessa bevanda, v. HOWES 1996, p. 6.
415 KNAPP 2008, pp. 53-62.
416 V. rif. bibliogr. nella prec. nota 386, e anche DIETLER 1999, p. 494.
417 VAN WIJNGAARDEN 2002, pp. 187-188.
418 VAN WIJNGAARDEN 2002, pp. 187-189, 193-195; v. anche STEEL 1998, pp. 286-296; STEEL 2004a, pp. 169-171.
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invece, un uso preferenziale di set da vino di tipo egizio420. Ciò mostra come la preferenza verso particolari tipi di
exotica sia legata non solo e non tanto all’immediata disponibilità di un bene, ma a più generali fattori sociali e
identitari, e il caso esaminato evidenzierebbe, secondo la studiosa, come nella costruzione dell’identità locale l’Egitto era il principale referente. Lo studio di Hodos, sull’acquisizione e uso di ceramiche greche da parte delle comunità Sicule dell’età del Ferro nella Sicilia orientale, traccia un quadro parzialmente simile a quello descritto dagli studi citati. L’introduzione di forme ceramiche esotiche nei repertori locali sembra seguire percorsi selettivi, con esclusiva attenzione verso specifiche forme funzionali al versare e bere. Come nel caso cipriota analizzato da Steel, gli exotica vengono integrati in preesistenti repertori ceramici421. A differenza di questo caso, tuttavia, quello discusso da Hodos mostra come la selezione e l’uso di particolari forme di exotica legati alla sfera banchetto possa inserirsi anche in un quadro sociale che non sembra presentare evidenti asimmetrie. L’attuale interpretazione delle evidenze (standardizzazione nell’architettura funeraria e omogeneità dei corredi) sembra infatti incline a ritenere che non esistano marcate differenze sociali all’interno delle comunità indigene422.