• Non ci sono risultati.

CAPITOLO 4. Quadro teorico, obiettivi, metodologia di indagine

4.3 Modelli sociali e archeologia

delle indagini e dei riferimenti teorici317. L’household, come cellula base delle comunità antiche e, quindi, come utile strumento d’indagine in una visione dal basso, è diventato comune denominatore di studi rivolti a temi differenti, che hanno fatto propri stimoli derivanti dalla corrente post-processuale, quali quelli della complessità sociale, della distribuzione della ricchezza, della ricostruzione dello status, delle forme, e dei tipi di organizzazione sociale, della relazione tra la configurazione dello spazio abitato e la società, della relazione tra i generi, degli aspetti simbolici318.

4.3 Modelli sociali e archeologia

Da quanto esposto, è chiaro che l’evidenza archeologica dei contesti abitativi costituisce un punto centrale negli studi volti ad indagare diversi aspetti della vita umana, e delle interazioni e dei rapporti tra gli abitanti di una stessa comunità. Se tale centralità è, ovviamente, rimasta inalterata nel corso del tempo, diversi sono stati invece gli approcci adottati e le chiavi interpretative utilizzate dagli archeologi nello sforzo di passare, per via inferenziale, dal livello di base dell’evidenza materiale a quello più generale della comprensione del tipo di società di cui la documentazione archeologica è espressione.

In questa direzione, due modelli per lungo tempo ritenuti fondamentali sono stati gli studi pubblicati negli anni ‘60 del ‘900 dagli antropologi culturali E. Service e M. H. Fried, entrambi basati su dati etnografici319. Il primo, nel suo Primitive Social Organisation, del 1962, delineò uno schema di evoluzione sociale basata su quattro tipi di società: bande, tribù, chiefdoms, e primi stati. Di ciascun tipo, lo studioso distingueva le caratteristiche salienti quanto a demografia, economia, dimensione dei gruppi umani, tipo di relazioni sociali. In questo modello, si definisce banda una società di piccola scala, che basa la sua economia sulla caccia e sulla raccolta, formata da un numero di individui non superiore alla cento unità, che occupa insediamenti temporanei, che ha come nucleo fondamentale la famiglia nucleare, la quale è l’unità base nella divisione ed organizzazione del lavoro, i cui compiti sono assegnati per genere ed età. Questo tipo di società si caratterizza per l’accesso comune alle risorse, per l’assenza di figure di leadership (politica o religiosa), per la condizione sociale egalitaria.

Il gradino successivo, nello schema di Service, è quello della tribù, definita come un gruppo sociale più ampio, costituito dall’aggregazione di un numero più elevato di segmenti di parentela, ciascuno composto da famiglie. Questo tipo di società si caratterizza per l’economia autosufficiente, basata sull’agricoltura e sull’allevamento, e per forme insediamentali stabili, con una considerevole densità demografica. La tribù ha in comune con la banda la presenza di tendenze egalitarie, ma possono essere presenti figure di capi temporanei, cioè di individui emergenti il cui ruolo non è istituzionalizzato, ma transitorio in quanto legato esclusivamente a qualità personali.

Il tipo successivo di società, caratterizzata da una maggiore complessità, è, nel modello dello studioso, il

chiefdom, cioè un’organizzazione sociale di grande scala, caratterizzata da un aumento di gerarchia e

inuguaglianza, con attività economiche, sociali, e religiose rette da un capo. Questo gode di una carica ascritta, istituzionalizzata, e regolata da norme di successione. L’attività economica si caratterizza per la presenza di forme !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

317 HENDON 1996, pp. 47-56; HENDON 2004, pp. 272-278.

318 Per una sintesi dell’archeologia dell’household e dei suoi successivi sviluppi, v. ALLISON 1999, 2007. Per l’uso dell’household come strumento d’indagine in vari contesti (geografici, culturali e cronologici) ed in diverse prospettive, v. ad es. CAHILL 2002; BARILE-BRANDON 2004, pp. 1-12; SOUVATZI 2008, pp. 21-46; WILSON 2008, pp. 5-9; WESSON 2008, pp. 8-21.

319 Per una sintesi delle tipologie sociali formulate dai due studiosi, v. RENFREW-BAHN 1995, pp. 152-155; CHAPMAN 2003, pp. 34-38; GUIDI 2009, pp. 57-61.

49

di specializzazione artigianale e di surplus, che viene versato come tributo al capo, il quale può anche redistribuirlo. La società si basa sui lignaggi, cioè su gruppi umani che discendono da un progenitore comune, che si dispongono in una scala di prestigio che ha come vertice il capo. Gli insediamenti si caratterizzano per le grandi dimensioni e per l’essere subordinati a un centro del potere, il quale comprende la sede del capo, le strutture religiose, e centri di produzioni artigianali specializzate.

Nel modello dello studioso, l’ultimo stadio dell’ideale evoluzione sociale era rappresentato dai primi stati che, pur condividendo molte caratteristiche con il chiefdom, hanno come elementi distintivi la presenza di classi sociali che sostituiscono i rapporti di parentela, la distinzione netta tra le funzioni amministrative e quelle religiose, la presenza di una burocrazia, la base del potere del capo costituita dalla forza coercitiva.

Fried, nel suo The evolution of political society: An essay in political anthropology del 1967, propose un modello di sviluppo sociale basato su quattro tipi di società: egalitarie, di rango, stratificate, statali. Il modello presentava punti di contatto con quello di Service solo nel primo e nell’ultimo stadio evolutivo, mentre differenze si registravano nel suo secondo e terzo livello di sviluppo sociale. Il secondo tipo sociale di Fried presentava caratteristiche che lo avvicinavano in parte alla tribù (divisione del lavoro basata su genere ed età; accesso alle risorse non ristretto; leadership temporanee basate sulla qualità individuale), in parte al chiefdom (alta densità di popolazione; presenza di capi; loro attività di redistribuzione della ricchezza), come definiti da Service. Il terzo tipo di società aveva origine da società di rango, in cui l’accesso ineguale a risorse di base (come terra ed acqua) consentiva ad alcuni individui di distinguersi e di accumulare ricchezza materiale, da trasformare in capitale sociale e politico.

I modelli elaborati da Service e Fried costituirono il punto di riferimento teorico per le ricerche archeologiche che si svilupparono negli anni successivi. Come rilevato da R. Chapman, l’agenda archeologica di quegli anni, e di quelli a venire, fu incentrata nello sforzo di identificare i tipi sociali isolati dai due antropologi nella documentazione archeologica e, conseguentemente, nell’enucleare delle regole generali che consentissero di individuare gli indicatori materiali (correlati archeologi) dei diversi stadi di sviluppo delle società umane320. In questo quadro, può ricordarsi, ad esempio, lo studio di C. Peebles e S. Kus sui correlati archeologici delle società di rango, basato sull’evidenza funeraria ed insediamentale del sito di Moundville in Alabama (Stati Uniti); o quello di W. Creamer e J. Has, posteriore di circa un decennio, in cui si analizzavano i correlati archeologici di tribù e chiefdom nella documentazione dell’America centrale321. Negli anni ’70 del ‘900, vide la luce una serie di studi in cui C. Renfrew esaminava l’evidenza archeologica riconducibile al modello del chiefdom presente in Europa occidentale (Gran Bretagna, a Malta, Egeo), coprente l’arco di tempo che andava dal Neolitico all’età del Bronzo322. In questi studi, se da un lato veniva ripresa la classificazione sociale di Service come strumento di indagine, dall’altro si gettavano le prime basi per la progressiva rimodulazione di quegli schemi classificatori. Renfrew, infatti, apportava delle prime modifiche al tipo del chiefdom, rilevando l’esistenza di dati documentari che consentivano di creare delle sottodivisioni all’interno di quel tipo sociale. Giungeva a distinguere tra chiefdom orientati al gruppo (group-oriented) e individualizzanti, ciascuno caratterizzato da differenti modalità (e correlati archeologici) di espressione della ricchezza materiale e del prestigio323. Lo stesso tipo sociale divenne oggetto delle riflessioni di T. K. Earle che, sulla scorta dei suoi studi su tre chiefdom, diversi per cronologia e area geografica di pertinenza (Hawaii, Sud America, Danimarca), è giunto a suggerire come non esista una linea di !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

320 CHAPMAN 2003, pp. 38-39.

321 PEEBLE-KUS 1977, spec. pp. 434-441; CREAMER-HAAS 1985.

322 CHAPMAN 2003, p. 39 con rif. prec.

50

sviluppo unilineare di questo tipo di società, e che forme sociali complesse come quelle rette da capi possono nascere sotto condizioni ambientali, economiche e di popolamento differenti324. Egli, inoltre, ha messo in evidenze come condizioni ambientali e materiali diversificate possano portare a fonti di potere diverse per le figure emergenti. Secondo Earle, la redistribuzione delle risorse non è caratteristica essenziale di questo tipo di società, e, contrariamente a quanto ritenuto dai sostenitori dell’ipotesi “manageriale” come spiegazione per la nascita delle figure emergenti, l’attività dei capi (volta all’accumulo delle risorse, ed alla mobilitazione mano d’opera e del supporto) può ritenersi finalizzata esclusivamente al miglioramento della propria condizione. In un quadro più generale, lo studioso ha spostato significativamente l’attenzione dall’individuazione delle cause del cambiamento e della nascita delle società complesse, a quello dei modi in cui le asimmetrie vengono create e mantenute dalle figure emergenti. Altri studi si sono affiancati nel corso del tempo, esaminando da altre differenti prospettive (geografiche, culturali, cronologiche) altri aspetti della tipologia sociale del chiefdom, giungendo sia a delinearne ulteriori sfaccettature (si veda, ad esempio, per l’Europa, K. Kristiansen; per il Nuovo Mondo, B. A. Nelson), sia a dichiarare una certa disaffezione nei confronti di questo tipo sociale, divenuto una semplice etichetta che nasconde un eccessivo campo di variabilità (R. Drennan)325.

Se questi lavori hanno calato nella pratica archeologica gli schemi classificatori precedentemente formulati in ambito antropologico, ed hanno anche fatto avvertire l’esigenza di modifiche alle tipologie di sviluppo sociale, altri studi hanno apportato critiche più generali nei confronti dei modelli di Service e Fried. Ricerche, come quella di G. Feinman e J. Nietzel, sulla base di dati etnografici ed etnostorici relativi a società prestatali del Nuovo Mondo, hanno sottolineato l’inadeguatezza dei tradizionali schemi classificatori, accusati di non riuscire a rendere conto dell’alto grado di variabilità degli attributi e delle caratteristiche delle società antiche326. Critiche più specifiche sono state rivolte, nel corso del tempo, anche nei confronti dei modi in cui sono stati definiti i tipi di società più semplici, corrispondenti a quelle egalitarie della terminologia di Fried. Ad esempio, R. Paynter, opponendosi alla visione evoluzionista basata sulla tipologia delle organizzazioni sociali, ha messo in dubbio la visione tradizionale delle società egalitarie327. Egli ha rilevato i limiti delle definizioni tradizionali, secondo cui questo tipo di società è stata definita in negativo, cioè per opposizione a quelle complesse, ed è stata considerata come uno stadio ad esse precedente, in un ideale quadro di sviluppo unilineare muoventesi dal semplice al complesso. Tale visione viene messa in dubbio dagli studi, fioriti in ambito sociologico ed antropologico (con riflessi anche in campo più prettamente archeologico), che hanno rivelato come fenomeni che erano considerati distintivi di società complesse possono caratterizzare anche quelle definibili, in una visione tradizionale, egalitarie. Un aspetto profondamente criticato è stato quello della visione tradizionale dell’egalitarismo inteso come una sorta di stato “primigenio” delle piccole comunità umane. Si è sottolineata, invece, l’opportunità per le ricerche, sia antropologiche che archeologiche, di individuare e spiegare proprio i modi in cui le tendenze dominatrici vengono arginate ed attivamente modellate in strutture egalitarie328. In questa direzione, C. Boehm, sulla scorta di dati etnografici, ha sottolineato come tendenze dominatrici esistano in tutte le società, anche in quelle tradizionalmente definite semplici. Queste tendenze “gerarchizzanti” vengono però arginate dalla volontà degli altri membri della comunità, che possono accettare la supremazia di singoli individui, o reagire a essa in modi diversi, limitandola fortemente o anche, in casi estremi, sovvertendola o eliminandola alla base. La comunità !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

324 EARLE 1997, spec. pp. 17-66, anche con rif. agli studi precedenti dello stesso autore.

325 KRISTIANSEN 2010, spec. pp. 239-240 anche con rif. prec. (distinzione tra chiefdom collettivi ed individualistici); NELSON

1995 (distinzione tra chiefdom coercitivi e collaborativi); DRENNAN 2008.

326 FEINMAN-NIETZEL 1984, spec. pp. 40-45, 77-78. Per una simile posizione, v. anche ARNOLD 1996a, p. 4; O’SHEA-BARKER

1996, spec. pp. 19-21.

327 PAYNTER 1989, spec. pp. 373-377, 386-387. V. anche FLANAGAN 1989, pp. 249-262.

51

viene a creare attivamente un ethos egalitario, che è un’idea condivisa di come un leader deve comportarsi nei confronti degli altri membri dello stesso gruppo umano. Nei gruppi analizzati dallo studioso, il leader è considerato sempre come un primus inter pares, ed è la collettività nel suo insieme a definirne, in un rapporto dialettico, i limiti dell’azione e, in ultima analisi, la sua stessa esistenza329. Sul versante del dato materiale, in ambito etnografico, T. Schweizer ha dimostrato come la rete di scambio di doni tra i !Kung San, cacciatori-raccoglitori del deserto del Kalahari, mostri delle ineguaglianze che trascendono età e genere, risultando quindi contrastanti con il tipo di società egalitaria che caratterizza questo gruppo umano330. Nella stessa direzione, ma su un piano più squisitamente archeologico, si muovono, ad esempio, gli studi di B. Hayden e di T. M. Friesen sugli insediamenti relativi a comunità dell’estremo nord e nord-ovest degli Stati Uniti. Essi hanno proposto una lettura secondo cui forme di complessità, rappresentate dal differente accesso alle risorse da parte di alcuni gruppi, produzione di surplus, complesse reti di scambi sovralocali, accumulo di beni di prestigio, presenza di figure eminenti (e anche tendenze egalitarie livellatrici messe in atto in tali società per mascherare incipienti forme di gerarchia), possono rintracciarsi in quelle società ritenute tradizionalmente egalitarie, e per le quali Hayden ha invece coniato il termine transegalitarie331.

Ad arricchire ulteriormente, e problematicamente, il quadro multiforme delle teorie sociali, è intervenuto il concetto di eterarchia, introdotto in ambito antropologico e archeologico da C. L. Crumley332. Il termine non delinea un nuovo tipo di società da aggiungere ai tipi già definiti nei modelli antropologici, ma fa riferimento piuttosto ad un diverso modo di concepire i rapporti gerarchici tra le parti di un sistema, in un quadro che vede la complessità non come diretto sinonimo di gerarchia. In altre parole, mentre un sistema sociale può presentare delle ineguaglianze verticali, definibili gerarchiche, esso può anche possedere una dimensione, per così dire, orizzontale sia di uguaglianza (ad esempio, condivisione del potere da parte di gruppi diversi in una stessa comunità) che di ineguaglianza tra corrispondenti “livelli” della dimensione verticale. Questo concetto ha trovato utilizzo come chiave interpretativa delle evidenze materiali di società antiche in diversi contesti geografici e cronologici, che vanno dalle società indiane degli Stati Uniti d’Ameria ai contesti funerari ed abitativi dell’Europa settentrionale333. Lo stesso Hayden, nello studio (cui si è accennato in precedenza) degli insediamenti di società complesse di raccoglitori del nord-ovest degli Stati Uniti, ha reso particolarmente chiaro come il concetto di eterarchia, o per meglio dire, la chiave di lettura eterarchica (secondo l’interpretazione data da G. Stein)334, possa coniugarsi all’uso di tipologie sociali specifiche. Nel contesto archeologico oggetto della sua analisi, infatti, sono presenti strutture abitative in cui risiedono insieme individui caratterizzati da differenti correlati materiali relativi all’accesso alle risorse, ricchezza, e segni di prestigio. Tali discrepanze sono lette nel senso dell’esistenza di una struttura sociale transegalitaria, nei termini e modi delucidati poco più sopra. La presenza nello stesso sito di più strutture contemporanee, caratterizzate da tali opposizioni, è interpretata dallo studioso proprio alla luce del concetto di eterarchia, in virtù del quale differenze in senso verticale (vedi l’opposizione elite vs non elite in ciascuna abitazione) convivono con rapporti paritari tra segmenti dello stesso livello (elite vs elite)335.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

329 BOEHM 1993.

330 SCHWEIZER 1996, spec. pp. 165-166.

331 Per la prima definizione di società transegalitarie, v. HAYDEN 1995. Per successivi sviluppi di tale “tipo” sociale, e per il suo utilizzo in chiave archeologica, v. HAYDEN 1997, spec. pp. 247-259; HAYDEN 2005; FRIESEN 2007, spec. pp. 198-210; PRENTISS et alii 2007. Per un inquadramento generale del problema della complessità in società tradizionalmente definite semplici, v. ARNOLD 1996b, pp. 88-95 e più recentemente, ad es., HAYDEN 2001a, 2010; FRANGIPANE 2007; AMES 2010; PRICE-FEINMAN 2010; VERHOEVEN 2010.

332 CRUMLEY 1995, anche con rif. prec.

333 V. rispettivamente RAUTMAN 1998; LEVY 1995.

334 STEIN 1998, pp. 7-8.

52