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Lo studioso di problemi siriani Lorenzo Trombetta sintetizza così l’affermarsi di ISIS nella Siria orientale e nord-orientale:

“Dal 2013 a oggi lo Stato Islamico si è impadronito della Siria orientale e nord-orientale attraversata dall’Eufrate e dal suo affluente Habūr. Il territorio attualmente controllato dai jihādisti va dalla periferia orientale di Aleppo fin verso la regione a maggioranza curda (a est) e fino al confine iracheno (a sud-est); spazzato via da una continuita territoriale che assicura allo Stato Islamico libertà di movimento tra la regione irachena di al-Anbar e quella siriana di Der el-Zor. Nella denominazione amministrativa jihādista, la regione di Raqqa è ora la Wilayat al-Baraka e quella di Dayr al-Zawr la Wilayat al-Hayr. A fine agosto, lo Stato lslamico ha formalizzato l’abbattimento del confine internazionale tra Siria e Iraq creando la Wilayat al-Furat, che unisce la provincia siriana di Abū Kamal con quella irachena di al-Qa’im. Oltre ad avere un controllo diretto o indiretto delle vie di comunicazione che conducono ai valichi frontalieri con Turchia e Iraq e a tenere in pugno tre aeroporti militari siriani (Abū Kamal, Tabaqa, Girah), i jihādisti agli ordini del “califfo” Al-Baghdādī controllano la principale risorsa idrica della Siria, oltre ad alcuni importanti giacimenti di gas e petrolio nell’Est del paese.

Dopo essersi impadroniti di Raqqa, da cui le forze lealiste si sono ritirate lasciando campo libero prima ai ribelli e poi ai jihādisti, questi ultimi hanno rafforzato la loro presenza lungo l’Eufrate e si spartiscono con le forze di Damasco il controllo della regione di Der el-Zor. Come accaduto a nord e a ovest di Raqqa, dove la coabitazione tra i militari fedeli agli Asad e Stato Islamico e stata interrotta dall’offensiva jihādista dell’estate 2014, l’idillio tra Damasco e Stato Islamico in funzione anti-insorti potrebbe concludersi a breve con l’attacco jihādista alle postazioni lealiste alla periferia del capoluogo orientale. In circa un anno, il numero degli uomini in forza allo Stato lslamico e più che raddoppiato, passando da un contingente stimato attorno alle 20 mila unità alle 50 mila dell’agosto 2014. Di questi, 30 mila sarebbero siriani, che compongono i quadri medio-bassi. I restanti 20 mila sarebbero stranieri, che dominerebbero

153 Sherlock, R., Syria Assad accused of boosting al-Qaeda with secret oil deals, Telegraph, 20 gennaio

2014.

154 Has Assad infiltrated rebel forces inside Syria? in Channel 4 News. Beware the game of shadows in

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invece nei quadri medio-alti155. Molti jihādisti siriani si sono uniti allo Stato lslamico tra giugno e agosto e proverrebbero da gruppi di ribelli rivali, tra cui i qaidisti della Gabhat Al-Nuṣra. Tra gli stranieri si contano numerosi caucasici, centro-asiatici, cinesi, arabi, europei, nordamericani e persino curdi, l jihādisti di Al-Baghdādī non solo hanno conquistato le vaste contrade orientali siriane, riempiendo il vuoto militare lasciato dal regime di Damasco e non colmato a sufficienza da un fronte ribelle poco coeso e disciplinato. Ma hanno anche dimostrato di saper mantenere il controllo di questi territori e di saperli amministrare, sottomettendo le comunità locali con il terrore e la violenza, ma anche cooptando alcune elite tribali nella gestione economica e finanziaria delle regioni di Raqqa e Der el-Zor.

Nonostante il conservatorismo religioso che domina le regioni rurali dell’Est siriano, le popolazioni che abitano questi territori non hanno accolto con favore l’oscurantismo e il terrore imposto dai jihādisti, ma hanno dovuto far buon viso a cattivo gioco accettando la presenza della nuova potenza. La retorica ferocemente anti-occidentale e anti-sciita espressa dallo Stato islamico appare invece meno in contrasto con la tradizione politica locale, tanto che alcuni leader tribali si sono serviti di questa apparente affinità per legittimare la loro sottomissione all’autorita del ”califfo”.

Quest’ultima si presenta come emanazione di un vero e proprio Stato. A differenza di altri gruppi jihādisti e qaidisti, gli uomini giunti in Siria come ala irachena di al-Qāʿida hanno elaborato, in un arco di tempo relativamente breve, una visione per il dopo-conquista: la loro azione sul terreno non si è limitata alla conquista militare delle località lungo l’Eufrate, puntando prima di tutto su quelle vicine alle risorse energetiche o cruciali per la distribuzione dei servizi essenziali come acqua, elettricità, farina. Dopo aver mostrato la forza delle baionette, hanno intimato ai leader locali di accettare la nuova autorità in cambio di protezione e servizi alla comunità locale e, fatto ancor più importante, di una percentuale delle entrate derivanti dall’amministrazione delle risorse del territorio.

La relazione tra il potere locale informale siriano e lo Stato islamico non deve esser vista come un rapporto lineare e verticale, nel quale il gruppo jihādista detta legge e le tribù subiscono. Pur rimanendo in una posizione dominante, gli uomini di Al-Baghdādī sanno che la loro presenza in quel territorio dipende in modo cruciale dalla capacità di negoziare con le elite locali. Da secoli, queste ultime sanno di dover continuamente scendere a patti col potente di turno per la protezione degli interessi della comunità. Per decenni e fino alla fine degli anni Novanta, il defunto presidente siriano Hafez al-Assad era stato abile nel cooptare le tribù dell’Est, meno capace è stato il figlio, Bashar al-Assad: nel primo decennio del suo potere ha gradualmente perso il sostegno di quelle regioni che tra il 2011 e il 2012 si sono schierate a fianco dell’insurrezione. Nell’attuale contesto siriano, in assenza di un sostegno esterno che sia in linea col proprio sentire politico e ideologico e di fronte alla disfatta militare, politica e per certi aspetti morale del fronte ribelle e delle opposizioni in esilio, a gran parte dei leader tribali di Raqqa e Der el-Zor non è rimasta altra scelta che affidare il loro presente nelle mani del “califfo” Al-Baghdādī , anche perchè, in quanto gruppo armato, lo Stato islamico non e più un’entità del tutto estranea alla societa della Siria orientale: migliaia di giovani, membri delle tribù di quelle contrade, si sono arruolati tra i jihādisti; e in

155 Si tratta di stime riferite dall’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Onlus), citato

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quanto mujadidin dello Stato lslamico ricevono un salario mensile. Molti di loro hanno a disposizione un’auto e un’abitazione e in generale sembrano aver trovato una risposta alla mancanza di prospettive sociali e lavorative. 156”

La figura 13157 indica le quattro regioni in cui si è frammentata la Siria negli ultimi anni. L’islamista Paolo Branca afferma che

“Il fenomeno jihādista è quindi un prodotto della globalizzazione sia per le sue origini, che vedono intrecciarsi interessi occidentali e regionali delle aree islamiche, sia per gli obiettivi degli attacchi che mirano sia a siti sensibili nei paesi islamici e nei paesi occidentali e si estendono dal Sud asiatico agli Stati Uniti passando per l’Europa, sia per la struttura dell’organizzazione (se si pensa ad al-Qa’eda come una sorta di label o di struttura estremamente liquida), che si presenta per natura ed evoluzione assolutamente transnazionale. I circuiti dei traffici jihādisti (traffico di armi e di diamanti, narcotraffico, prostituzione, riciclaggio di denaro, mercato di documenti falsi), si esercitano sull’intero globo: se gli Stati Uniti, insieme al Sudamerica, sono deputati al riciclaggio di denaro, oltre alle cyber postazioni e ai conti bancari di prestanome, Londra è anche un centro dei fondi di investimento e di produzione di documenti falsi. I finanziatori della holding costituiscono di fatto una rete estesa dalle Filippine a Panama, passando per Mauritius, Singapore, Hong Kong, Beirut, Tangeri, Zurigo, Londra e New York. Le localizzazioni strategiche della rete jihādista nell’ultimo decennio si sono sempre più decentralizzate con centri in Indonesia, Pakistan, Kenya, in Nord Africa e nel Sahel, in Cecenia, ma anche a Londra, con decine di cellule affiliate distribuite in almeno quattro continenti”158.