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Il sangue di Foley è sulle mani di Obama (“Dābiq” No 3)

Dopo questa parte rivolta alle motivazioni per il militante, ed in particolare per il militante proveniente dall’Europa, “Dābiq” affronta i temi di politica internazionale. Viene riportata la dichiarazione del Presidente degli Stati Uniti con cui viene dichiarata l’assistenza americana al governo iracheno ed alle forze curde e il tentativo di salvare le minoranze religiose, inclusi i Cristiani e gli Yazidi, da quelli che vengono definiti terroristi e barbari, che agiscono con una azione che viene definita “genocidio”.

Segue la risposta di ISIS sulla discesa in campo degli Stati Uniti e sull’assassinio di James Foley, di cui viene riportato per intero il discorso fatto in un filmato diffuso da ISIS. Egli è in ginocchio, vestito con la tuta arancione dei prigionieri di Guantanamo, all’aperto con uno sfondo che ricorda le colline della Siria del nord verso la Turchia, tenuto per il bavero dalla mano destra di un miliziano vestito di nero, in piedi e con il viso nascosto da una sciarpa. Il miliziano ha un coltello nella mano sinistra e fa un breve discorso in inglese, con un accento che somiglia a quello dell’inglese parlato da immigrati di seconda generazione nella zona di Londra (Figura 11)83.

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Siria, giornalista Usa decapitato dagli jihadisti. "La nostra vendetta contro i raid di Obama", Repubblica 20 agosto 2014

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Il discorso di Foley è centrato sulla responsabilità di Obama di essere intervenuto contro ISIS, e, ancora di più di avere rifiutato di pagare un riscatto per la sua liberazione. Il discorso termina con l’accusa agli Stati Uniti di seminare morte e distruzione nelle terre di Siria e dell’Iraq.

In questo numero di “Dābiq” la posizione di ISIS sull’assassinio di Foley è espressa con chiarezza: Foley aveva girovagato in tutti i posti dove è attiva la jihād, “embedded” (incluso) nelle unità dell’esercito americano, glorificandone le gesta. Quindi, è una spia e come tale va condannato a morte. Gli Stati Uniti sapevano della sua detenzione dal novembre 2013, ma prima non hanno fatto nulla, poi hanno cercato di liberarlo con una azione a Raqqa, che è fallita. Poi, si sono rifiutati di trattare un riscatto.

L’articolo si conclude affermando di Obama che “egli sacrifica il benessere del pubblico americano nell’interesse dei “pochi scelti” che traggono benefici dal sionismo e dal capitalismo, e questo è il modo in cui l’America affronta le crisi una dopo l’altra, il terremoto in California, le proteste nel Missouri, e le potenziali morti di prigionieri americani nelle mani di ISIS”.

È da osservare che Israele ed il sionismo vengono citati molto di rado nella rivista “Dābiq”. Viene quasi da pensare ad una presa di distanza dal movimento palestinese e dalla sua sanguinosa epopea.

La concomitante vicenda di Gaza è scarsamente presente nella documentaristica ISIS, mentre è incessantemente evocata e talvolta strumentalizzata dalle posizioni sciite e iraniane. Quasi come fosse un brand esclusivo. Ciò rafforza ulteriormente la considerazione che il panarabismo e il sunnismo radicale di ISIS è solo una delle sue caratteristiche è odora molto di copertura propagandistica.

Un destino (“Dābiq” No. 4)

Il quarto numero di “Dābiq” riprende alcuni temi generali sullo stato di combattente islamico. La prefazione ricorda che Dio ha detto

Io sono come il mio schiavo si aspetta che io sia. Lasciamo che aspetti che io sia come lui desidera” Sahīh: Ahmad, Ibn Hibbān, e al-Hākim].

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“ Figli miei, andate e cercate Giuseppe e suo fratello e abbiate fede nell’aiuto di Dio. Infatti, solo chi non crede non può aver fede nell’aiuto di Dio84

E ancora:

“Pensavate che il Messaggero e i credenti non sarebbero mai tornati dalle loro famiglie, e l’avete accettato. In questo modo avete accettato una assunzione di male

e siete diventato un popolo in rovina85

“Abbiamo la promessa di Dio che la sua religione prevarrà. È la religione descritta dal califfo ‘Umar Ibn al-Khattāb che ha detto: “Non c’è Islam senza unione, e non c’è unione senza jamā’ah (congregazione), and non c’è jamā’ah senza imārah (leadership), e non c’è imārah senza tā’ah (obbedienza)” [Sunan ad-Dārimī].”

Questa religione promette vittorie, non divisioni o partigianeria, o innovazione, apprezzamento delle opinioni personali, ma è fatta di bay’ah, imārah, e khilāfah. Ciò vale sia per gli individui che per le nazioni. Queste fede ed attitudine è stata portata avanti dai combattenti fin dal tempo di Abū Mus’ab az-Zarqāwī.

Egli ha detto che “ Gli ipocriti e quelli che ostruiscono la via di Dio ti diranno: Pensi che otterrai tutto quello che desideri? Pensi che davvero il Califfato Islamico o lo Stato Islamico verranno stabiliti? Non potrà mai avvenire, è più immaginazione che realtà”. “Ma se si crede in Dio si conquisterà anche Roma e i nostri occhi saranno centrati su Gerusalemme. Distruggeremo anche la Casa Bianca”.

Questa attitudine è ribadita anche da quello che viene definito nell’articolo “l’uomo della montagna”, Abū ‘Umar al-Baghdādī, che ha detto: “O soldati dello Stato Islamico, o giovani di Muhammad…. Oggi siamo sulla soglia di una nuova era, un punto di svolta nella mappa della regione, e del mondo. Oggi siamo testimoni della fine di una menzogna chiamata civilizzazione occidentale e il nascere di un gigante islamico”. “Dābiq” sostiene che ciò è esattamente quello che Bush temeva nel suo ultimo discorso ai veterani in cui disse che “la regione sta cambiando verso una civiltà che comporta distruzione”.

84 [Yūsuf: 87]. Sura 12, Giuseppe. 85

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Egli disse anche, parlando dei militanti in Mesopotamia, che “Vogliono stabilire lo Stato Islamico dalla Spagna all’Indonesia”.

“Il mentitore Bush aveva ragione quando, parlando dei militanti dello Stato islamico, diceva: “Vogliono stabilire lo Stato islamico dalla Cina alla Spagna”. E il ricordo di questo ha certamente spinto Abū ‘Umar al-Baghdādī a dichiarare “Lo Stato islamico rimarrà”.