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Da chi ISIS eredita il suo pensiero sulle donne?

Circola nel mondo femminile islamico l’idea che le donne di cultura europea o americana siano “Westoxicated”, intossicate dei valori, anzi dei disvalori che presiedono al funzionamento di quelle società. Dice Lara Deeb che le donne sciite di Beirut fanno notare che le donne “Westoxicated” della civiltà europea o americana non hanno legami familiari o relazioni di vicinato, vivono sole senza alcun supporto dalla società242. E già solo questo riferimento spiega la posizione radicale di ISIS verso le donne, ivi inclusa la schiavitù per le donne yazide. Si tratta di salvarle dall’intossicazione provocata dalla civiltà occidentale!

E le donne nell’Islam? È militante la posizione di Lila Abū -Lughod243

sul tema della salvezza delle donne e del relativismo culturale, quando contrappone la sprezzante definizione di “women of cover” di Laura Bush, moglie del Presidente americano George Bush, al fatto, spesso essenzialmente consuetudinario, che molte donne musulmane considerano certe modalità di abbigliamento come un simbolo di modestia e rispettabilità. E la stessa autrice nota che se proponesse modalità di secolarismo a queste donne rischierebbe di essere “mandata all’inferno”.

Ma non meno militante è la posizione di Saba Mahmood244, che sostiene che “l’abbigliamento delle donne che danno il loro contributo di istruzione, religiosa e non, in alcune moschee in Egitto, è una parte di un mezzo corporeo per coltivare la virtù, e la manifestazione visibile del loro desiderio di essere vicine a Dio”. Essa conclude che il desiderio di libertà va considerato alla luce di altri desideri, capacità ed aspirazioni, culturalmente e storicamente collocati.

241 Le yazide fuggite dai campi dell’Isis che rifiutano i figli dello stupro ,” Corriere della Sera”, 27

gennaio 2015.

242 Deeb, L., Piety politics and the role of a transnational feminist analysis, “Journal of the Royal

Anthropological Institute (N.S.)”, (2009), p. 112-116.

243 Abu Lughod, L., Do Muslim Women Really Need Saving? Anthropological Reflections on Cultural

Relativism and Its Others, “American Anthropologist” Vol. 104, No. 3 • (2002), p. 783-790.

244 Mahmood, S., Feminist Theory, Embodiment, and the Docile Agent: Some Reflections on the

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La stessa Mahmood ammette che la sua è una posizione militante. Infatti scrive che riceve, nel mondo occidentale, spinte a denunciare tutto il male che fanno i movimenti islamici in tutto il mondo, pena l’accusa di essere un’apologista.

Ambedue le autrici quindi considerano riduttiva l’idea che l’abbigliamento (e il velo in particolare) sia un simbolo “quintessenziale” della mancanza di libertà delle donne, anche se imposto dall’autorità, e collocano questa questione nell’orizzonte del “relativismo culturale”.

Con l’espressione “relativismo culturale” si indica quell’atteggiamento che consiste nel ritenere che comportamenti e valori, per poter essere compresi, debbano essere considerati all’interno del contesto complessivo entro cui prendono vita e forma.

A proposito di relativismo culturale, chi è senza peccato scagli la prima pietra! Dice San Paolo nella Prima lettera ai Corinzi, parte 11245:

“3

Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo, e capo di Cristo è Dio.

4

Ogni uomo che prega o profetizza con il capo coperto, manca di riguardo al proprio capo……..

7L’uomo non deve coprirsi il capo, perché egli è immagine e gloria di Dio; la donna

invece è gloria dell’uomo.

8E infatti non è l’uomo che deriva dalla donna, ma la donna dall’uomo; 9né l’uomo fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo.

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Per questo la donna deve avere sul capo un segno di autorità a motivo degli angeli”. Queste prescrizioni erano il portato di una civiltà mediterranea che aveva da poco imparato a produrre eccedenze rispetto alle necessità immediate, e che aveva deciso di preservarle usando la divisione dei ruoli delle persone, attraverso il genere, la religione, l’organizzazione sociale, tutti presentati come dettami che vengono dall’alto.

Infatti il Corano, di poco posteriore in scala evoluzionistica, dice246,:

245 Prima lettera ai Corinzi, "The International Standard Bible Encyclopedia", Ed. James Orr, 1915. 246

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“Dì alle credenti che abbassino gli occhi e custodiscano la loro castità, che non mostrino le loro bellezze eccetto quello che è visibile, che si coprano il petto con un

velo e mostrino le loro bellezze solo ai mariti o ai figli dei mariti o ai fratelli o ai figli dei fratelli o ai padri o ai suoceri o ai figli dei fratelli o ai figli delle sorelle o alle loro donne o alle loro schiave o ai servi maschi impotenti o ai bambini che non notano la nudità delle donne. E dì loro che non battano i piedi per mostrare le loro

bellezze. Credenti, volgetevi a Dio affinchè possiate avere successo”

E247:

“Profeta, dì alle tue mogli e alle tue figlie e alle donne dei credenti che si coprano con i loro mantelli; questo sarà meglio per distinguerle dalle altre donne affinchè

non vengano offese, ma Dio è indulgente e compassionevole”.

Molto diverso è il caso descritto da Lara Deeb in una etnografia di pie donne sciite in Libano. Il livello dell’interazione con queste donne, ed in particolare con Nayla, è piuttosto elevato: si definiscono schiette, musulmane, impegnate, istruite. Ciò può dipendere anche dalla particolare stratificazione sociale in Libano, molto diversa da quella studiata da Saba Mahmood in Egitto. La Deeb parla del rapporto con la modernità, legata ad una nozione di progresso spirituale e materiale; mentre la Mahmood parlava della recita di formule antiche. Inoltre, la comunità libanese studiata dalla Deeb è sciita, e non sunnita come quella egiziana studiata dalla Mahmood. Questa è una differenza sostanziale, perchè nel mondo sunnita è stato possibile interpretare il dettame coranico solo fino all’ XI secolo, quando la porta dell’ijtihād (l’interpretazione) si è chiusa e le prescrizioni si sono mummificate o sono state modificate dagli hadith (la tradizione), fatta di norme postume, legate alle esigenze politiche dei primordi dell’Islam. Il mondo sciita non ha mai smesso di interpretare il messaggio coranico attraverso l’azione del suo clero. Questo ha reso molto più complesso il rapporto tra pensiero religioso e società. Il concetto di “pubblico musulmano” è qui intrecciato con novità come l’islamismo, le nuove tecnologie, la politica, l’ordinamento sociale.

Un punto di vista “laico” è quello dell’iraniana Fariba Adelkhah248

, che nota che l’oscillazione tra lo Stato del clero sciita e l’autonomia dei movimenti sociali semplifica una realtà molto più articolata, dove, ad esempio, la questione del velo come “marker”

247 [Al-‘Ahzab], 59. Sura 33, I confederati.

248 Adelkhah, F., Islamophobia and malaise in anthropology, in Nadjmabadi, S. R., Conceptualizing

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di modernità/tradizionalismo trascura che il velo, spesso in fogge lontane dalla tradizione, ha oggi permesso alle donne, nella società iraniana postrivoluzionaria, l’accesso alla sfera pubblica e perfino la possibilità di “fare soldi, viaggiare, procurarsi il pane”.

Questi quattro esempi, e l’aggiunta della citazione di S. Paolo, mostrano come complessa sia la questione della collocazione della donna nel mondo mediterraneo, indipendentemente dal credo religioso.

La posizione di ISIS, anche se apparentemente collocata come ottemperante ai dettami coranici, ne diverge proprio per la sua connotazione di “westoxication”, cioè di sovrapposizione delle categorie mercantili dell’occidente sulle categorie etiche dei musulmani sunniti. Ne risulta una miscela tossica in cui la donna non è più quella descritta nei versetti coranici citati, e neanche nella lettera di S.Paolo ai Corinzi, ma una delle tante merci scambiate o distribuite da ISIS, petrolio, elettricità etc.

Forse, in fondo al tunnel c’è il suo pentimento…..