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Il ritorno della schiavitù (“Dābiq” No 4)

Ecco un punto dolente. Il comportamento delle truppe ISIS nei riguardi degli Yazidi, e particolarmente delle loro donne, ha fatto scalpore, e non soltanto nella stampa occidentale. Una istituzione ormai cancellata, la schiavitù, viene praticata da ISIS. La schiavitù era ampiamente accettata nella gran parte delle civiltà antiche, ed era regolata dalle leggi e dalle consuetudini come ogni altra pratica economica. Tra le antiche civiltà, quella romana ha rappresentato il culmine delle società schiaviste, nelle quali il lavoro degli schiavi rappresentava una componente essenziale dell'economia: per i Romani uno dei più importanti frutti delle guerre di conquista era l'acquisizione di nuovi schiavi88. Anche l'antica Grecia basava gran parte della sua economia sugli

88Giorgio Ruffolo sostiene, quindi, che la tesi di alcuni studiosi dell'economia romana dell'inefficienza e

dell'irrazionalità economica della schiavitù, causa ultima della rovina dell'Impero romano, può essere contestata semplicemente chiedendosi perché mai i proprietari terrieri avrebbero espulso dalla terra coltivatori liberi efficienti per sostituirli con schiavi inefficienti e perché un'organizzazione del lavoro tanto inefficiente sarebbe durata per più di due secoli, fino al II secolo d.C., quando la fine dell'età delle conquiste provocò la crisi del modello schiavistico. In ogni caso, tale modello non sarebbe mai potuto

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schiavi, tanto è vero che ad Atene per lunghi periodi ci sono stati più schiavi che uomini liberi.

Per i Greci la schiavitù era un istituto di "diritto naturale"89; per i Romani, invece, l’uomo non era schiavo per natura, ma lo poteva diventare se la legge positiva l’avesse deciso. Per questo lo schiavo romano poteva essere liberato e ottenere la cittadinanza romana.

Oltre alla servitù della gleba, che costituiva la principale istituzione di lavoro forzato dell'età medioevale applicata ai contadini privati della libertà (villani), vi erano ancora forme di schiavitù vera e propria riguardanti i servi e le ancillae.

Anche i conventi, ad esempio in Inghilterra, si servivano del lavoro degli schiavi. Si trattava però di sopravvivenze del sistema antico, a cui la Chiesa generalmente si opponeva.90

Alla fine del X secolo la schiavitù era praticamente eliminata in gran parte dell'Europa. Carlo Magno, ad esempio, proibì ai Cristiani di utilizzare altri Cristiani come schiavi, benché spesso il divieto non venisse osservato. Nell'Europa medievale la schiavitù finì in parte anche perché la Chiesa estese a tutti gli schiavi l'accesso ai sacramenti e riuscì a far abolire la schiavitù nelle terre dei re cristiani91.

Fino alla fine dello stesso X secolo a Basrah ed a Baghdād fiorì la scuola teologica islamica basata sulla ragione, la Mu’tazila”, che, tra l’altro, considerava che il Corano era stato creato da Dio, e non gli era coeterno92, come invece pensava l’ortodossia sunnita93. Da questa premessa derivava la convinzione che i precetti divini fossero accessibili alla ragione umana, e che quindi un “precedente sacro” non potesse essere utilizzato per distinguere il bene dal male. Ciò che era obbligatorio lo era “in virtù della Ragione”94

. Questa tendenza fu repressa, perchè chiaramente ostile agli interessi delle classi dominanti, ma il suo messaggio rimane vivo95.

somigliare al capitalismo moderno, mancando di due pilastri fondamentali: il salariato e la meccanizzazione (Giorgio Ruffolo, Quando l'Italia era una superpotenza, Einaudi, 2004, pp. 38-39).

89 Bianchi Bandinelli, R., (a cura di), Storia e civiltà dei greci, Bompiani, Milano 1979.

90Stark, R., The Victory of Reason: How Christianity Led to Freedom, Capitalism, and Western Success,

2005.

91

Ibidem, pp. 57-58.

92

Abdullah Saeed. The Qurʼan: an introduction. 2008, page 203

93 Vercellin, G, Istituzioni del mondo musulmano, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 1996 p. 52-57;

Filoramo, G., (a cura di), Islam, Einaudi, 2007, p. 88-100.

94 Oussama Arabi. Studies in modern Islamic law and jurisprudence. p. 27-8 95

Moghadam, A., Fishman, B., Fault Lines in Global Jihad: Organizational, Strategic, and Ideological

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Nel numero 4 di “Dābiq” vi è la difesa della vendita delle donne yazidi come schiave da parte di ISIS con un articolo dal titolo “ Il ritorno della schiavitù”.

Tutto questo premesso, la prima osservazione è che chi parla di ritorno, intende riferirsi a qualcosa che è andato via, e che poi è ritornato, o è stato fatto ritornare. Già questo è un sintomo di difficoltà e di imbarazzo.

Infatti il pezzo pubblicato su “Dābiq” è chiaramente una risposta ai dubbi che nel mondo musulmano accompagnano una pratica del passato come la schiavitù e la sua conseguenza commerciale: il commercio degli schiavi.

I militanti ISIS avanzano nella zona di confine tra Siria ed Iraq ed incontrano la zona di Sinjār, contraddistinta da una pianura stepposa su cui si erge una montagna allungata. Posto non grandemente invitante dal punto di vista delle possibilità di sopravvivenza, e forse per questo occupato da una minoranza religiosa, quella degli Yazidi, pochi ed eterogenei rispetto alla maggioranza religiosa e alle minoranze sciite, cristiane etc. All’estensore dell’articolo si pone il dilemma: sono apostati gli Yazidi oppure no? Fossero apostati, vi è la morte per gli uomini, e, secondo la maggior parte dei sapienti “la conversione o la spada” per le donne96

.

Un lungo piedipagina dice infatti che la schiavitù di una donna appartenente alla rāfida (quelli che non riconoscono Abū Bakr come Califfo), agli Sciiti, ai Drusi, agli Ismailiti è un argomento dibattuto. Molti pensano che per essi valga il pentimento o la morte, ma Ibn Taymiyyah e gli hanafiti97 (uno delle quattro scuole coraniche principali dei sunniti) sostiene che possono essere rese schiave. Il contrasto dottrinale è tra lo hadith “Uccidete chi cambia religione” e il ricordo che, durante la guerra contro l’apostasia, le donne furono rese schiave98.

D’altra parte, dice l’articolo, le donne yazidi sono “politeiste”, e quindi a loro è stato dato il beneficio di scegliere tra il pentimento e la schiavitù, e non tra il pentimento e la

96 Udugbor, M. O., Il diritto musulmano, Lateran University Press, Città del Vaticano, 2010, p 141. 97 Ibidem, p. 37

98Le “guerre d’apostasia”, hurub al-riddah, invocate invece dai musulmani radicali, sono quelle condotte

da Abu Bakr, il primo califfo, succeduto a Maometto dopo la sua morte nel 632 e morto egli stesso due anni dopo. Alla morte di Maometto, numerose tribù arabe già sottoposte allo stato di Medina fondato dal Profeta e che gli pagavano un pesante tributo in segno di vassallaggio, ne approfittarono per non versare più denaro e ottenere la libertà. Abu Bakr condusse una feroce guerra contro di loro, per farli rientrare in seno all’islam. Questo atteggiamento venne criticato da molti, in particolare dai primi compagni di Maometto, i Sahābah. Tuttavia, quando il califfo riuscì nell’intento di riportare la maggioranza di queste tribù sotto la sua dominazione, tutti si congratularono con lui.

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morte. Qui il ricordo storico ha avuto maggiore forza di uno hadith. Forse anche perchè di mezzo c’era Ibn Taymiyyah, rigorosissimo sulle questioni dottrinali, ma evidentemente flessibile su quelle commerciali.

Dal gruppo di donne prese schiave veniva tolto un quinto (khums), che era trasferito all’Autorità dello Stato Islamico come tassa del 20% sul bottino di guerra. Non è specificata la modalità di selezione di questo quinto, e questo implica che la metodologia utilizzata considera gli esemplari umani di sesso femminile in sostanza tutti uguali, come non è neanche per gli animali. Per queste ultime, un criterio spesso utilizzato è quello del peso (grasso/magro), o dell’età (giovane/vecchio) ma di ciò non si fa menzione parlando della selezione di questo quinto di donne.

L’articolo confessa che è la prima volta che si fa un bottino umano così grande “da quando la Sharī’ah è stata abbandonata”. L’unico caso noto è quello recente della messa in schiavitù di piccole quantità di donne e bambini nelle Filippine ed in Nigeria.

I quattro quinti delle donne (e dei bambini perchè un bambino non può essere separato dalla madre in accordo con la Sharī’ah) sono distribuiti ai combattenti che hanno partecipato all’operazione di Sinjār, che ne possono disporre a loro piacimento.

L’autore conclude poi con tre hadith in cui si sostiene che la schiavitù può essere il punto di avvicinamento alla conversione. Inoltre, una disponibilità di donne può evitare rapporti non leciti tra i due sessi, tenuto conto che l’Islam non dà alcuna alternativa al matrimonio. In più, il figlio della schiava con il padrone è libero, e sua madre, “umm al walad” è libera alla morte del padrone. Quindi, in questa lettura, oltre all’allargamento dell’ambiente familiare, si aggiunge una prospettiva di libertà e di guadagno del Paradiso.

Il Profeta (sallallāhu ‘alayhi wa sallam) ha detto:

"Dio si meraviglia di un popolo che entra in Jannah in catene " [Riportato da al-Bukhārī sull'autorità di Abū Hurayrah].

I commentatori di hadith sostengono che questo si riferisce a persone che entrano nell'Islam come schiavi e poi entrano in Jannah.

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{Voi siete la migliore comunita’ mai suscitata tra gli uomini…..}99

["Voi siete le persone migliori dell’umanità. Li portate con catene al collo, fino a quando non entrano nell’Islam "[Ṣaḥīḥ al-Bukhārī].

Dopo questa discussione sulla schiavitù ci avviciniamo ad al-Malhamah al-Kubrā (la più grande battaglia prima della Ora), quando il suo tempo arriverà con decreto di Dio È interessante notare che la schiavitù ha stata menzionata come uno dei segni della Ora così come una delle cause di al-Malhamah al-Kubrā. È evidente che nel discuterne prevale il ricordo storico delle “guerre di apostasia” sul dettato etico della liceità della schiavitù delle donne.

Il Profeta (sallallāhu ‘alayhi wa sallam) ha menzionato che uno dei segni della Ora era che

"La schiava dà alla luce il suo padrone."

Questo è stato riferito da Al-Bukhārī e Muslim su autorità di Abū Hurayrah e da Muslim su autorità di 'Umar.