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La Turchia: una potenza regionale “terza”

E la Turchia?

Ma che c’entra la Turchia in tutto questo? È semplicistico dire che c’entra perchè si tratta di un Paese a maggioranza islamica sunnita. Infatti le righe sopra hanno suggerito che il “Califfato islamico” e coloro che lo propongono sono molto più laici di quello che appare.

Una prima ragione per cui la Turchia c’entra è che l’istituzione puramente spirituale del Califfato, ossia della successione a Maometto, e quella del Sultanato, cioè dell’amministrazione dello Stato Ottomano erano state unificate e questo aveva sancito l’assorbimento della matrice araba del messaggio coranico nella più grande struttura multietnica ottomana che aveva il suo centro nell’attuale Turchia e la sua capitale in Istanbul.

Una seconda ragione è di natura geopolitica: nonostante gli sforzi del colonialismo americano ed europeo il dopoguerra ha visto emergere due potenze regionali antagoniste nel Medio Oriente: L’Arabia Saudita e l’Iran. Ambedue importanti produttori di petrolio. Antagoniste. La Turchia e’ una potenza regionale “terza” al confronto Arabia Saudita-Iran.

L’Arabia Saudita è “wahabita”263 (una forma particolarmente rigorosa del sunnismo), è un Paese di 29 milioni di abitanti concentrati in poche città collocate essenzialmente nella fascia montuosa o collinosa dello Ḥijāz, retto da una monarchia assoluta che trae potere dall’essere custode dei luoghi santi, e dalla enorme rendita petrolifera. L’Iran, prima filo-occidentale con lo Shah Reza Pahlevi e poi sciita dopo l’avvento di Komeini, è un Paese di 79 milioni di abitanti distribuiti in molte città, alcune delle quali molto grandi264. La Turchia, sunnita di confessione “hanafita”.

263 Filoramo, G., (a cura di), Islam, Laterza, 2007 p. 207-210. 264

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Queste due presenze hanno paralizzato per molti anni la storia del Medio Oriente, agendo ciascuna da centro di reclutamento di interessi, alleati, milizie da lanciare contro l’altro. Questo equilibrio dell’immobilismo mobile (cioè fatto di spinte e controspinte che alla fine si neutralizzavano) aveva tenuto la scena finchè la Turchia era retta da maggioranze fragili intervallate da colpi di stato militari (mediamente uno ogni dieci anni) rese possibili dal ruolo di controllore della vita politica turca dato all’esercito dalla costituzione voluta da Mustafa Kemal Atatürk265.

Ma negli ultimi decenni tutto è cambiato! Cinque milioni di turchi, intere famiglie, si alternano in Germania. Dopo alcuni anni tornano a casa con danaro lì guadagnato e con la conoscenza della tecnologia tedesca. La usano, chiedendo capitali a tutti, e specialmente ai turchi stessi, a quella Turchia profonda dell’altopiano centrale, fatta di pastori, agricoltori e commercianti, che danaro ne ha ma lo dà sono in mani sicure. E le mani sicure sono quelle del partito AKP (Partito della Giustizia e dello Sviluppo), fondato da Recep Tayyip Erdoğan e Abdullah Gül, seguaci del “Partito della felicità” di Necmettin Erbakan il cui successo elettorale nel 1997 era stato stroncato facendo passeggiare i blindati alla periferia di Ankara266.

Riemersi Recep Tayyip Erdoğan e Abdullah Gül, rispettivamente Presidente del Consiglio e Presidente della Repubblica turca, la candidatura della Turchia a membro dell’Unione Europea, forte dell’aumento del 7% del PIL nel primo decennio del XXI secolo ne aveva sancito la sua caratura di potenza regionale , al pari di Arabia Saudita e Iran. E infatti il Ministro degli Esteri Ahmet Davutoğlu aveva, nel suo libro “Profondità strategica”267

proposto la Turchia come ponte verso quel mondo islamico con cui l’occidente dialogava con difficoltà o non dialogava per niente, alla luce dello slogan “Zero problemi con i vicini”.

La rivolta siriana rappresenta il fallimento di questa prospettiva mediatrice. Finanziatori sauditi la ricoprono di danaro in funzione anti Assad, mentre iraniani e russi ricoprono Assad di danaro per permettergli di resistere ai moti popolari in Siria. Gli occidentali, pur comprendendo le ragioni della protesta, non ritengono di delegittimare Assad e premono per una composizione negoziata del conflitto. Che non si verificherà. È qui che emerge ISIS, ed è qui che si evidenzia il ruolo della Turchia.

265 Ansaldo, M., Chi ha perso la Turchia, Einaudi, 2011. 266 Ibidem p. 11.

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Il prolungarsi della guerra dell’esercito siriano libero con Bashar al-Assad, l’uso dei gas nei combattimenti sempre più duri, il coinvolgimento della popolazione civile come scudo umano fa emergere le frange più radicali tra gli antagonisti di Assad, quali il Fronte al-Nuṣra, la costola siriana di Al-Qa’eda, lo stesso ISIS.

In Turchia il risveglio del sunnismo fa breccia, ma specialmente in funzione anti-siriana e anti-alevita. È un sunnismo di comodo, tirato fuori di Erdoğan anche per contrastare il suo concorrente alla presidenza della Repubblica Ihsanoğlu, alevita e quindi sciita, anche se “diversamente sciita”. Ma ciò apre la strada della Turchia a tutti coloro che dall’Europa intendono andare a combattere in Siria, e apre la strada a coloro che, in Turchia, desiderano porsi come leaders del mondo islamico sunnita, spodestando “stati rentiers” come l’Arabia Saudita, amici opportunisti dell’occidente e in mano a un potere non legittimato dalla volontà popolare. In sostanza, la carta che la Turchia gioca è quella di sostituirsi all’Arabia Saudita come rappresentante del mondo islamico maggioritario, avendone legittimità per il grande miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini turchi. E così la città di Şanliurfa diventa base e punto di reclutamento per ISIS.

La posizione ufficiale della Turchia nei riguardi di ISIS è attendista. D’altra parte, per il 10 agosto sono indette le elezioni del Presidente della Repubblica, per cui sono in competizione lo stesso Recep Tayyip Erdoğan per il partito AKP, Ekmeleddin Ihsanoğlu per la coalizione tra CHP (Partito Repubblicano del Popolo) e MHP (Partito Nazionale Popolare), e Selahattin Demirtaş, per il Partito Democratico Popolare curdo. İbrahim Ayhan, vice del partito curdo HDPE (Partito democratico popolare) a Şanlıurfa, afferma che a Kobanı ISIS compie attacchi molto gravi contro i Curdi. Il loro punto di appoggio è in Turchia, a Şanliurfa. Hanno ospedali, tengono munizioni, Şanliurfa è quasi un quartier generale. La responsabilità è del governo dell'AKP, che conosce gli eventi. Spesso al confine non vi è alcun pattugliamento che impedisca il traffico di mezzi blindati268.