dalla intimazione decisa in conformità al par. 9 dello stesso articolo.
I poteri della Commissione (e in parte del Consiglio) sono poi particolarmente rafforzati, dall’altro regolamento, il n. 472/201371, rispetto agli Stati della zona euro che beneficino di assistenza finanziaria da parte di uno o più altri Stati membri o da uno dei meccanismi dell’Unione, o che si trovino o rischino di trovarsi in gravi difficoltà per quanto riguarda la loro stabilità finanziaria, con probabili ripercussioni negative su altri Stati membri della zona. La Commissione può infatti decidere di sottoporre lo Stato che si trovi in una delle situazioni indicate a “sorveglianza rafforzata”. Questa, che si applica indipendentemente dall’esistenza di un disavanzo eccessivo nello Stato interessato, comporta un monitoraggio stretto da parte della Commissione, assicurato anche attraverso missioni di verifica periodiche in loco, il potere di proporre al Consiglio di raccomandare allo Stato misure correttive precauzionali o di predisporre un progetto di “programma di aggiustamento macroeconomico”72, il concerto sull’elaborazione da parte dello Stato di tale programma e le eventuali successive modifiche, e la vigilanza sulla sua attuazione una volta che sia stato approvato dal Consiglio. La sorveglianza nei confronti dello Stato interessato può peraltro continuare anche ad esaurimento del programma di aggiustamento macroeconomico, fintantoché lo Stato non abbia rimborsato almeno il 75% dell’assistenza finanziaria ricevuta. Questa sorveglianza post-programma può anzi essere prorogata, su proposta della Commissione, dal Consiglio, il quale può anche, sempre su raccomandazione della Commissione, raccomandare allo Stato l’adozione di misure correttive. In un caso, come nell’altro, è previsto che si applichi la procedura di maggioranza qualificata inversa.
14. Un bilancio della riforma
Non c’è dubbio che all’esito di questo percorso di riforme, non del tutto lineare e ortodosso dal punto di vista del suo svolgimento, né sempre coerente, come vedremo, con le regole del Trattato, l’UE si trova a disporre non solo di un sistema permanente di reazione alle crisi finanziarie della zona euro, ma anche di un apparato di governo del pilastro economico dell’UEM decisamente più strutturato ed efficace di quello di cui si era dotata nei primi venti anni di funzionamento di questa73.
Certamente quest’ultimo è andato ben al di là del mero coordinamento delle politiche nazionali. Il punto di partenza rimane formalmente quello. Ma, in realtà, le procedure
71 Regolamento (UE) n. 472/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2013, sul
rafforzamento della sorveglianza economica e di bilancio degli Stati membri della zona euro che si trovano o rischiano di trovarsi in gravi difficoltà per quanto riguarda la loro stabilità finanziaria, GU L 140 del 27 maggio 2013, p. 1 ss.
72 Nell’ambito del programma di aggiustamento economico, che è integrativo o sostitutivo dei programmi
di partenariato economico prima citati, lo Stato membro che ha capacità amministrative insufficienti o incontra problemi significativi nell’attuare il programma, può chiedere assistenza tecnica alla Commissione da fornire anche attraverso gruppi di esperti composti da membri provenienti da altri Stati membri o da altre istituzioni dell’Unione (art. 7, par. 8).
73 È appena il caso di sottolineare, come ha d’altronde fatto la Corte di giustizia nella sentenza 27
novembre 2012, causa C-370/12, Pringle, che il meccanismo di stabilità di cui nel testo “costituisce un elemento complementare del nuovo quadro regolamentare per il rafforzamento della governance economica dell’Unione” (punto 58).
all’interno delle quali quel coordinamento è oggi destinato a svolgersi, e i poteri che, nel quadro di tali procedure, le istituzioni dell’Unione possono dispiegare, fanno sì che difficilmente si potrebbe sostenere che si sia ancora nell’ambito di quel metodo aperto di coordinamento, con il quale alcuni hanno voluto identificare l’impostazione della sorveglianza multilaterale dell’Unione sulle politiche economiche nazionali74.
Senza ripercorrere nei dettagli il complesso delle disposizioni in precedenza descritte, l’assetto che ne è scaturito è eloquente. Il “coordinamento” delle politiche economiche nazionali è stato esteso oltre la mera politica di bilancio, per abbracciare l’insieme delle politiche economiche e strutturali degli Stati in materia di competitività, occupazione e sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche. La sua attuazione si inserisce nel quadro di un ciclo annuale di sorveglianza suddiviso tra semestre europeo ed esercizio di bilancio nazionale, ricco di obblighi per gli Stati membri e in cui l’identificazione e la definizione degli obiettivi e degli strumenti di misura, e la valutazione dei risultati sono sempre meno affidate alla valutazione congiunta e paritaria degli Stati membri, come richiederebbe un’azione di coordinamento, aperto o meno che sia, ma sono il frutto di interventi penetranti delle istituzioni sui singoli Stati. Tali interventi non sono infatti solo di carattere generale (analisi generali, indicazioni di priorità, direttive strategiche, relazioni annuali), ma hanno ad oggetto soprattutto i comportamenti degli Stati membri, a ciascuno dei quali possono essere indirizzati, a seconda dei casi, raccomandazioni, avvertimenti, decisioni di constatazione di inadempimento, indicazioni di misure correttive, intimazioni, procedure e missioni di sorveglianza rafforzata.
Questi interventi specifici sono peraltro sorretti il più delle volte, soprattutto quando rivolti a Stati della zona euro, da sanzioni a carico degli Stati recalcitranti o devianti, non solo di carattere “politico”, ma anche pecuniario75. La comminazione delle une e
74 S.B
ARONCELLI, La partecipazione dell’Italia alla governance dell’Unione europea nella prospettiva
del Trattato di Lisbona, Un’analisi sulle fonti del diritto nell’ottica della fase ascendente e discendente,
Torino, 2008, p. 89 (“i caratteri [del metodo di coordinamento aperto], nella loro dimensione più tipica, sono già individuabili nella “procedura di sorveglianza multilaterale” dettata per tenere sotto controllo la convergenza delle politiche finanziarie degli Stati membri”). Sul metodo di coordinamento aperto, anche in relazione all’Unione economica, si veda S.CAFARO, “La méthode ouverte de coordination, l’action communautaire et le rôle politique du Conseil européen”, in G.VANDERSANDEN, Melanges en hommage
à Jean-Victor Louis, Bruxelles, 2003, vol. II, p. 209 ss.; R. DEHOUSSE, L'Europe sans Bruxelles?: une
analyse de la méthode ouverte de coordination, Paris, 2004; M. TELO, “La méthode ouverte de coordination, Gouvernance et gouvernement dans l'Union européenne”, in M.J.RODRIGUES (a cura di),
Vers une société européenne de la connaissance. La stratégie de Lisbonne (2000-2010), Bruxelles 2004,
p. 243 ss.;S.BORRAS,K.JACOBSSON, The open method of co-ordination and new governance patterns in
the EU, in Journal of European Public Policy, 2004, p. 185 ss.; J. GOETSCHY, “L’apport de la méthode ouverte de coordination à l’intégration européenne. Des fondements au bilan” in P.MAGNETTE (a cura di), La Grande Europe, Bruxelles, 2004, p. 141 ss.; D.M.TRUBECK,L.G.TRUBECK, “The Open Method of Coordination and the Debate over ‘Hard’ and ‘Soft Law’”, in J. ZEITLIN,P.POCHET,L.MAGNUSSON (a cura di), The Open Method of Coordination in Action. The European Employment and Social Inclusion
Strategies, Berlin, 2005, p. 83 ss.; A. BENZ, Accountable Multilevel Governance by the Open Method of
Coordination? in European Law Journal, 2007, p. 510 ss.; S. DE LA ROSA, La Méthode ouverte de
coordination dans le système juridique communautaire, Bruxelles, 2007; G. CAGGIANO, La disciplina dei
servizi di interesse economico generale: contributo allo studio del modello sociale europeo, Torino,
2008.
75 T. K
UNSTEIN, W.WESSELS, The New Governance of the Economic and Monetary Union: Adapted
Institutions and Innovative Instruments, IAI Working Papers 16/02, p. 4, parlano in proposito di “hard”
delle altre, come più in generale la gestione dei diversi passaggi procedurali dei meccanismi di vigilanza e correzione delle politiche economiche nazionali, sono inoltre affidate a procedure decisionali che in molti casi, ancora una volta prevalentemente riguardanti gli Stati euro, privilegiano il ruolo della istituzione e della decisione tecnica (la Commissione), rispetto a quello della istituzione e della decisione politica (il Consiglio). E in ogni caso, la concatenazione tra i vari interventi delle istituzioni comporta, nella maggior parte dei casi, che anche quelli esercitati attraverso atti non vincolanti ovvero non sorretti da sanzioni finiscono per esprimere nella realtà un’efficacia non meramente esortativa, perché, ad esempio, la mancata considerazione di una raccomandazione o di un avvertimento diventa un fattore di avvio o di aggravamento di una procedura di carattere più incisivo. Il risultato finale è che oggi tanto le politiche e i singoli atti di bilancio degli Stati membri, quanto le loro politiche economiche e le riforme destinate ad attuarle sono di fatto soggetti alla previa valutazione e approvazione delle istituzioni, o alla censura successiva delle stesse, laddove si traducano in comportamenti non virtuosi o a rischio per la stabilità economica dell’Unione.
Al di là dei giudizi di natura economica sulla efficacia sostanziale di questo risultato, è doveroso chiedersi se esso sia il frutto di un percorso giuridico realizzatosi conformemente al Trattato. Già da un punto di vista generale, infatti, basterebbe confrontare il punto di partenza (l’assetto di governance economica consolidatosi nei primi venti anni di vita dell’UEM) con quello di arrivo appena descritto, per comprendere come si possa legittimamente sospettare che la riforma costruita in questi ultimi tre anni sia il frutto di un’interpretazione eccessivamente estensiva degli articoli rilevanti del Trattato. Ciò anche perché questi ultimi, come si è già ricordato, presentano per tanti aspetti un carattere talmente dettagliato da lasciar pensare che ci fosse un minor margine di interpretazione rispetto ad altre disposizioni dello stesso Trattato.
Di questo, per la verità, non ci sarebbe da scandalizzarsi. Già di per sé, infatti, la previsione all’interno di questi stessi articoli di basi giuridiche per uno sviluppo successivo delle loro disposizioni attraverso atti di diritto derivato lascia intendere che gli stessi redattori del Trattato non pensassero al modello di governance lì delineato come a un modello chiuso e immutabile. È soprattutto vero, poi, che la prassi di applicazione delle norme dei Trattati ci ha abituato in passato a interpretazioni in realtà ben più ampie di quelle che sembrano essere state all’origine dell’attuale riforma della
governance economica europea, senza peraltro che le stesse fossero mosse da una
motivazione politica forte, come senza dubbio è stata invece quella dell’assoluta e urgente esigenza di fronteggiare la crisi economica e finanziaria che stava mettendo in pericolo l’UE.
In ogni caso, non può dirsi certamente frutto di un’interpretazione estensiva del Trattato la soluzione per mezzo della quale si è dato vita, con la creazione del MES, ad un meccanismo permanente di stabilità diretto a fronteggiare le emergenze finanziarie. Come si ricorderà, infatti, la strada a questo scopo seguita è stata quella di una modifica, attraverso la procedura semplificata prevista dall’art. 48, par. 6, TFE, dell’art. 136 TFUE, modifica diretta a “legittimare” gli Stati membri a costruire un meccanismo di questo tipo. E questa scelta sembra essere stata dettata proprio dalla considerazione che gli articoli rilevanti del TFUE non fornissero basi giuridiche idonee alla realizzazione di tale meccanismo né da parte dell’Unione, né da parte degli Stati membri. Secondo l’interpretazione prevalsa tra i governi degli Stati membri, cioè, l’art. 122, par. 2, TFUE, cui pure si era fatto ricorso, come si è in precedenza ricordato, per adottare le prime
misure di stabilizzazione dell’Unione a vantaggio di Grecia, Irlanda e Portogallo, non sarebbe stato utilizzabile per un meccanismo permanente76.
Il preambolo della decisione del Consiglio europeo con cui si è proceduto alla modifica dell’art. 136 appare per la verità reticente su questo aspetto, limitandosi ad osservare, nel considerando n. 477, che “poiché detto meccanismo [il futuro MES] è destinato a salvaguardare la stabilità finanziaria dell’intera zona euro, l’art. 122, paragrafo 2, TFUE non sarà più necessario a tale scopo” e, quindi, “non [dovrà] essere usato per tali fini” 78. Tuttavia, la stessa Corte di giustizia ha esplicitato, richiamando peraltro proprio tale considerando, l’interpretazione restrittiva: essa ha infatti affermato che l’articolo in questione “conferisce all’Unione la competenza a concedere un’assistenza finanziaria puntuale ad uno Stato membro”, ma “non costituisce una base giuridica adeguata per l’istituzione di un meccanismo di stabilità come quello previsto da tale decisione” (la decisione del Consiglio europeo di modifica dell’art. 136), perché “tanto il carattere permanente del meccanismo previsto quanto il fatto che le sue attività mirano a salvaguardare la stabilità finanziaria della zona euro nel suo complesso non consentirebbero che una simile azione dell’Unione sia condotta sul fondamento di detta disposizione del Trattato FUE”79.
Provenendo dalla Corte, di questa interpretazione si deve ovviamente prendere atto, anche se essa appare difficilmente conciliabile con la diversa lettura dell’art. 122, par. 2, TFUE che all’evidenza prevalse, quanto meno a livello di Consiglio, al momento di creare nel maggio 2010 il primo meccanismo di stabilizzazione finanziaria. Come
76 Va segnalato che l’interpretazione dei governi è stata fortemente contrastata dal Parlamento europeo,
come in parte emerge dal parere da esso dato sul progetto di decisione del Consiglio europeo ai sensi dell’art. 48, par. 6, TUE: risoluzione del 23 marzo 2011 sul progetto di decisione del Consiglio europeo che modifica l'articolo 136 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea relativamente a un meccanismo di stabilità per gli Stati membri la cui moneta è l'euro (P7_TA(2011)0103). Il dibattito sulle basi giuridiche possibili per la creazione del MES (o di un meccanismo analogo) è stato ampio anche in dottrina: si vedano tra gli altri, M.RUFFERT , The European Debt Crisis and European Union Law, cit., in
particolare p. 1785 ss.;B.DE WITTE, The European Treaty Amendment for the Creation of a Financial
Stability Mechanism, in European Policy Analysis, No. 2011:6epa (June 2011), disponibile su http://www.sieps.se/sites/default/files/2011_6epa.pdf; J.-V. LOUIS, The Unexpected Revision of the Lisbon
Treaty and the Establishment of a European Stability Mechanism, in Cahier Comte Boël, No. 15 (April
2011), p. 17 ss., disponibile su http://www.elec-lece.eu/documents/pub/B15.pdf; G. NAPOLITANO, Il
Meccanismo europeo di stabilità e la nuova frontiera costituzionale dell’Unione, in Giornale di diritto amministrativo, 2012, p. 461 ss.
77 In realtà il considerando della decisione del Consiglio europeo del 25 marzo 2011 (decisione n.
2011/199/UE) riprende esplicitamente parole utilizzate nelle conclusioni del Consiglio europeo del 16-17 dicembre 2010 (se ne veda il par. 1).
78 L’ambiguità del considerando deriva dal fatto che il problema non era se fosse necessario il ricorso
all’art. 122, par. 2, ma se lo fosse il ricorso ad una modifica dei Trattati. È comunque appena il caso di sottolineare come affermando la non necessità del ricorso all’art. 122 i redattori della decisione abbiano di fatto evocato (e nel contempo negato la sussistenza di) uno dei presupposti di applicazione dell’art. 352 TFUE, di cui di seguito nel testo.
79 Sentenza 27 novembre 2012, causa C-370/12, Pringle, punto 65. Com’è noto la sentenza è stata
pronunciata a seguito del rinvio pregiudiziale sulla validità della decisione del Consiglio europeo del 25 marzo 2011 introdotto dalla Corte suprema d’Irlanda nel quadro di un ricorso presentato dinanzi ad essa dal parlamentare irlandese Thomas Pringle. Per commenti generali a questa sentenza si vedano D.THYM, M.WENDEL, Préserver le respect du droit dans la crise: la Cour de justice, le MES et le mythe du déclin
de la Communauté de drot (Arret Pringle), in Cahiers de droit européen, 2012, p. 733 ss.; P. CRAIG,
Pringle: Legal Reasoning, Text, Purpose and Teleology, in Maastricht Journal of European and Comparative Law, 2013, p. 3 ss.; B. DE WITTE, T.BEUKERS, The Court of Justice Approves the Creation
of the European Stability Mechanism outside the EU Legal Order: Pringle, in Common Market Law Review, 2013, p. 805 ss.
ricorda infatti il preambolo del regolamento n. 407/2010 che lo istituì, anche quel meccanismo era finalizzato a “preservare la stabilità finanziaria nell’Unione europea”, perché il “grave deterioramento delle condizioni di prestito di diversi Stati membri” poteva “rappresentare una seria minaccia per la stabilità finanziaria dell’Unione europea nel suo complesso”80; né lo stesso era formalmente costruito come uno strumento, per usare le parole della Corte, “di assistenza finanziaria puntuale ad uno Stato membro”.
Ciò detto, va anche rilevato che l’interpretazione restrittiva dell’art. 122, par. 2, portava comunque ad escludere, come ancora una volta precisato dalla Corte nella sentenza Pringle, l’esistenza di una base giuridica capace di conferire “una competenza specifica all’Unione per istituire un meccanismo di stabilità come quello previsto” dalla decisione del Consiglio europeo di modifica dell’art. 136 TFUE, ma non pregiudicava la possibilità di fondare tale competenza su un ricorso combinato all’art. 122, par. 2, e all’art. 352 TFUE, la c.d. clausola di flessibilità attraverso cui “se un’azione dell’Unione appare necessaria, nel quadro delle politiche definite dai Trattati, per realizzare uno degli obiettivi di cui ai Trattati senza che questi ultimi abbiano previsto i poteri di azione richiesti a tal fine, il Consiglio, deliberando all’unanimità (…) adotta le disposizioni appropriate”. Del resto, la prassi di applicazione della clausola di flessibilità oltre ad essere ampia e risalente, dimostra come essa abbia consentito attribuzioni di nuovi poteri in capo alle istituzioni dell’Unione ben più ardite di quella di cui stiamo parlando. E non a caso, nella sentenza sopra citata la stessa Corte si limita semplicemente a osservare, rispetto a questa possibilità, che l’Unione non l’ha utilizzata e che comunque non era ad essa obbligata81.
L’osservazione della Corte appare per la verità illuminante con riguardo non solo ai profili giuridici, ma anche a quelli politici della vicenda. Si trattava, sembra dire la Corte, di fare una scelta tra due possibili opzioni e si è preferita quella della modifica del Trattato82. Il punto politico sta però nel fatto che quella modifica non è stata fatta per dare all’Unione la competenza, asseritamente mancante, a creare un meccanismo permanente di stabilità finanziaria, bensì per legittimare la sua istituzione da parte degli Stati membri. Appare perciò evidente come la scelta dello strumento sia stata dettata più che dall’esigenza di colmare una lacuna del Trattato, dalla volontà di mantenere nelle mani degli Stati la gestione del futuro meccanismo permanente di stabilizzazione. Il ricorso per la sua creazione a uno provvedimento dell’Unione, come sarebbe stato quello fondato sull’art. 352, avrebbe infatti spostato sui meccanismi istituzionali dell’Unione la responsabilità e la gestione dell’intervento d’urgenza.
Certo è che l’interpretazione restrittiva dell’art. 122, par. 2, TFUE che ha giustificato, dal punto di vista giuridico, quella scelta, stride ancor di più a fronte dell’approccio ben più liberale prevalso invece nell’interpretazione di altre norme del Trattato, che hanno costituito la base giuridica su cui si è costruita la riforma della governance economica dell’Unione. Tanto più che per alcune delle innovazioni cui ha portato quella riforma, la
80 Così, rispettivamente, i considerando 5 e 4 del regolamento n. 407/2010, cit. Si veda anche il punto
rilevante del già ricordato comunicato stampa della riunione straordinaria del Consiglio ECOFIN del 9/10 maggio 2010 (9596/10 Presse 108).
81 Sentenza Pringle cit., punto 67: “Quanto alla questione se l’Unione possa istituire un meccanismo di
stabilità analogo a quello previsto dalla decisione 2011/199 sul fondamento dell’articolo 352 TFUE, è sufficiente constatare che l’Unione non ha esercitato la propria competenza a titolo di tale articolo e che, in ogni caso, detta disposizione non gli impone alcun obbligo di agire”.
82 Sul contesto politico di questa scelta e sull’impulso politico venuto al riguardo dalla Germania, cfr. L.
GIANNITI, Il meccanismo di stabilità e la revisione semplificata del trattato di Lisbona: un’ipoteca
volontà politica non ha esitato a far compiere alle istituzioni scelte che sembrano essere oggettivamente andate oltre quelle permesse da un’interpretazione anche estensiva delle norme in gioco. Questo può non essere vero per molti dei nuovi poteri di intervento preventivo o correttivo oggi riconosciuti alle istituzioni rispetto alle condotte di bilancio e alle scelte di politica economica dei singoli Stati, dato che tutto sommato gli stessi, come sottolineato nel preambolo di alcuni degli atti del Six Pack o del Two Pack, possono essere legittimamente ritenuti “parte integrante del seguito dato” ad un potere di intervento già attribuito dal Trattato83, ovvero, in quanto applicabili ai soli Stati della zona euro, sono da considerare consentiti dalla lettera dell’art. 136 TFUE84. Ma dove il confine tra interpretazione e innovazione della norma sembra essere stato superato è soprattutto nella previsione, per alcune deliberazioni di governance dell’Unione, di modalità di decisione eterodosse rispetto a quelle stabilite nel Trattato.
Ci si riferisce ovviamente alla procedura di maggioranza inversa per l’adozione da