PRINCIPI DEMOCRATICI DELL’UE * Massimo Starita
3. Principi democratici e norme del TFUE in materia di politica economica
Indicativa dell’accennato rapporto tra i due principi, a nostro modo di vedere, è proprio il particolare equilibrio istituzionale che si realizza nel TFUE, nel settore della politica economica. Già prima delle riforme introdotte per fronteggiare la crisi del debito sovrano, infatti, le regole sul funzionamento della cooperazione tra gli Stati membri in materia di politica economica erano caratterizzate da un livello molto basso di partecipazione democratica, tanto sul piano rappresentativo quanto su quello deliberativo.
5 Sia consentito rinviare ancora a M.S
TARITA, I principi democratici nel diritto dell’Unione europea, cit., cap. II, paragrafi 12 e 13.
Come noto, negli articoli 121 e 126 TFUE sono descritte tre procedure: la prima per l’adozione degli indirizzi di politica economica per gli Stati membri (art. 121, par. 2, TFUE); la seconda, c.d. di sorveglianza multilaterale, destinata a fornire un quadro per il controllo sull’effettivo recepimento da parte degli Stati dei suddetti indirizzi (art. 121, paragrafi 3 e 4, TFUE); la terza, c.d. per deficit eccessivi, volta a permettere il controllo sul rispetto dei valori di riferimento per i rapporti tra il disavanzo pubblico e il prodotto interno lordo e tra il debito pubblico e il prodotto interno lordo, fissati nel Protocollo 12 sulla procedura per i disavanzi eccessivi (art. 126, paragrafi 3-13, TFUE)6.
Non è un mistero che il Parlamento europeo sia completamente estraneo a tutte e tre le procedure indicate. Nell’ambito della prima, gli indirizzi di massima sono adottati dal Consiglio solo tenendo conto delle conclusioni dibattute in materia dal Consiglio europeo; nella seconda e nella terza procedura, il Consiglio delibera sulla base di relazioni e raccomandazioni della Commissione, anche se, non di “proposte legislative” in senso stretto, e quindi modificabili a piacimento dal Consiglio. In tutti e tre i casi, invece, il ruolo del Parlamento è limitato ad un blando controllo politico ex post su Consiglio e Commissione7, inidoneo a sfociare nel circuito della responsabilità politica, e consistente solo nella previsione di alcuni obblighi di informazione a suo beneficio gravanti sulle altre istituzioni8. A completamento del discorso, è opportuno rammentare che anche nel processo di adozione di atti di carattere “istituzionale”, il Parlamento o è del tutto escluso (ad es. nella procedura attinente alla composizione del comitato economico e finanziario, di cui art. 134, par. 3) o è solo consultato (ad es. nella procedura per l’adozione di atti volti a precisare le modalità e le definizioni contenute nel Protocollo sulla procedura per i disavanzi eccessivi; nella procedura per la sostituzione del Protocollo medesimo, di cui all’art. 126, par. 14, secondo e terzo comma; e in quella per l’adozione, ai sensi dell’art. 125, par. 2, di atti volti a precisare i divieti di salvataggio di uno Stato membro previsti, a carico delle istituzioni e degli altri Stati membri, dagli articoli 123, 124 e 125).
Anche se intesa in senso non rappresentativo, ma deliberativo, la democraticità dei procedimenti, descritti nel TFUE per l’assunzione delle scelte in materia di politica economica è deficitaria. La portata delle principali disposizioni del TUE, che si riallacciano a principi democratici deliberativi è, infatti, indebolita in questo settore, per la ragione, più sopra ricordata, che in base al TFUE, la Commissione non partecipa ai procedimenti di adozione degli atti, quale titolare di un potere di “proposta” in senso proprio, ma di un meno incisivo potere di raccomandazione. Ne consegue che nel settore in esame sembrerebbero addirittura mancare i presupposti per l’applicabilità tanto dell’art. 11, par. 4, TUE, in base al quale “cittadini dell’Unione europea…
6 Per una descrizione, si veda. J.-V. L
OUIS, L’Union européenne et sa monnaie, in Commentaire J.
Mégret, Bruxelles, 2009, cap. III.
7
Sul punto, si veda in dottrina, R.BIEBER, Kritik der “new economic governance” für die Europäische
Union, in Schweizerische Jahrbuch für Europarecht, 2011, p. 305 ss., p. 309.
8 L’obbligo in esame riguarda, in particolare, le raccomandazioni adottate sugli indirizzi di massima per
le politiche economiche degli Stati membri (art. 121, par. 2, 3° comma, TFUE); le decisioni eventualmente prese per far fronte a gravi difficoltà in cui versi uno Stato a causa di circostanze eccezionali (art. 122, par. 2, TFUE); le decisioni adottate nell’ambito della procedura di sorveglianza sui disavanzi eccessivi (art. 126, par. 11, 2° comma, TFUE); e i risultati della sorveglianza multilaterale. Si veda, a tale ultimo riguardo, l’art. 121, par. 5, TFUE. La norma prevede che il Presidente del Consiglio possa essere invitato a comparire davanti alla competente commissione del Parlamento europeo qualora il Consiglio abbia deciso di rendere pubbliche le proprie raccomandazioni. La norma è generalmente interpretata come idonea a prevedere un obbligo nei confronti del Consiglio. Si veda, ad esempio, J.-V. LOUIS, L’Union européenne et sa monnaie, cit., p. 92.
possono prendere l’iniziativa di invitare la Commissione europea nell’ambito delle sue attribuzioni, a presentare una proposta appropriata…”, quanto, probabilmente, dell’art. 11, par. 3, TUE, in base al quale “al fine di assicurare la coerenza e la trasparenza delle azioni dell’Unione, la Commissione europea procede ad ampie consultazioni delle parti interessate”. Entrambi gli articoli, infatti, sembrano presupporre un’attività di “iniziativa legislativa” della Commissione. D’altra parte, anche se si volesse intendere il termine proposta, espressamente usato nell’art. 11, par. 4 (e nel relativo regolamento di attuazione9), in senso più ampio, come idoneo cioè a riferirsi a qualsiasi attività di iniziativa nei processi di adozione degli atti dell’Unione, vari elementi indurrebbero in ogni caso a dubitare dell’effettiva capacità dei cittadini di influenzare le scelte in materia di governance economica. È sufficiente a tal fine comparare la complessità del processo di presentazione delle proposte di iniziativa dei cittadini europei e la relativa velocità delle procedure disciplinate agli art. 121 e 126, TFUE. Considerazioni non molto diverse possono essere svolte riguardo all’art. 11, par. 3, TFUE. È vero, infatti, che l’obbligo posto a carico della Commissione di procedere ad ampie consultazioni non è espressamente limitato nel testo dell’articolo all’attività di “proposta” in senso stretto dell’istituzione, ma è anche vero che solo nell’ipotesi indicata la consultazione della società civile è idonea ad incidere realmente sullo sviluppo dell’Unione.
A completamento del discorso sin qui svolto si può aggiungere che il principio di trasparenza e il diritto di accesso ai documenti, e cioè due elementi importanti di partecipazione dei cittadini alla vita dell’Unione, per quanto riconosciuti in generale dall’art. 15 TFUE, subiscono forti limitazioni in relazione all’attività – di particolare importanza nel settore in esame – del Consiglio europeo. Il regolamento interno del Consiglio europeo, infatti, appare ispirato all’opposto principio della riservatezza, come agevolmente ricavabile dalla lettura degli articoli 4, par. 3 (“le riunioni del Consiglio non sono pubbliche”), 8 (“il processo verbale contiene la menzione dei documenti presentati…; la menzione delle conclusioni approvate; le decisioni prese e le dichiarazioni fatte dal Consiglio europeo e quelle di cui un membro del Consiglio europeo ha chiesto l’iscrizione a verbale”) e 10 (“nei casi in cui adotta una decisione, il Consigli europeo può decidere… di rendere pubblici i risultati delle votazioni nonché le dichiarazioni a verbale e i punti del verbale relativi all’adozione di tale decisione”). È vero che il regolamento interno di un’istituzione deve pur sempre rispettare le norme dei Trattati. Tuttavia, almeno in parte, le citate disposizioni del regolamento interno del Consiglio europeo non sembrano in conflitto con l’art. 15 TFUE. In primo luogo, perché non sancisce il principio della pubblicità delle riunioni del Consiglio europeo, ma solo del Parlamento europeo (sempre) e del Consiglio (solo “allorché delibera e vota in relazione ad un progetto di atto legislativo”). In secondo luogo, perché l’articolo medesimo impone obblighi in materia di trasparenza alle istituzioni, mentre, invece, il Consiglio europeo sembra spesso agire, soprattutto nel settore della cooperazione in materia di politica economica, quale vertice di Capi di Stato o di governo, più che come istituzione dell’Unione10.
9
Regolamento (UE) n. 211/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 febbraio 2011, riguardante l’iniziativa dei cittadini, GU L65 dell’11 marzo 2011.
10 Sul punto cui si è da ultimo accennato nel testo, che non può essere sviluppato in questa sede, si rinvia
alle considerazioni svolte in M.STARITA, Il Consiglio europeo e la crisi del debito sovrano, in Rivista di
4. Effetti prodotti dal Six Pack nel sistema: a) sull’equilibrio istituzionale risultante