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Lineamenti, meccanismi di trasmissione e tendenze recenti: il ruolo del debito estero

TRA CRISI E RIFORME: GLI ASPETTI ECONOMIC

ACCUMULAZIONE DI DEBITO E CONTAGIO NELLA CRISI DELLA ZONA EURO

3. Il contagio intra-EMU della crisi finanziaria

3.1. Lineamenti, meccanismi di trasmissione e tendenze recenti: il ruolo del debito estero

Superando la visione prevalente secondo la quale la crisi europea è innanzitutto una crisi fiscale, è stato possibile notare come il processo di accumulazione del debito privato e bancario del periodo pre-crisi possa, in retrospettiva, rappresentare un valido “anticipatore” dei focolai di crisi.

Altrettanto promettente ai fini di una migliore comprensione delle cause della crisi della zona euro è la linea interpretativa che attribuisce un ruolo preminente al debito estero24. La crisi della zona euro non sarebbe connessa all’andamento del debito pubblico e neppure è sufficiente limitarsi a considerare il debito nazionale lordo. Piuttosto, i timori di contagio che si riflettono sugli spread, dipendono dalla componente estera di tale debito. L’esposizione estera influisce sul contagio, perché un’eventuale insolvenza dei soggetti privati e/o la necessità di rinegoziare il debito sovrano, finiscono per trasmettersi in altri Paesi. Ciò sembra evidente dalla relazione negativa tra rendimenti dei titoli pubblici e squilibri dei conti con l’estero.

L’integrazione dei mercati finanziari in Europa e l’assenza del rischio di svalutazione grazie alla moneta unica ha permesso anche a Paesi che presentano un trend decrescente del risparmio privato domestico – come i Paesi periferici – (Grafico A13), di trovare una fonte di finanziamento, per sostenere gli investimenti interni. Il finanziamento degli investimenti avrebbe favorito la crescita economica qualora questi fossero stati rivolti ad ampliare la base produttiva delle economie domestiche25.

L’accumulazione di debito estero che ne è derivata rappresenta un ulteriore aspetto di assoluto rilievo per la comprensione della crisi della zona euro e dei meccanismi di contagio. In particolare, si può ritenere che il contagio finanziario che ha avuto la sua principale manifestazione sul mercato dei titoli pubblici è stato alimentato

24

Si veda, a tal proposito, D.GROS, External versus Domestic Debt in the Euro Crisis, CEPS Policy Brief, No. 243, 2011.

25 Ciò non è sempre avvenuto, si pensi, a tal proposito, al caso della Spagna e dell’Irlanda, dove l’afflusso

dall’esplosione del debito privato, dall’indebitamento estero delle istituzioni finanziarie e dalle forti interconnessioni internazionali tra i sistemi bancari nazionali e i debiti sovrani.

I possibili canali di trasmissione che connettono le tensioni sui titoli del debito sovrano al settore bancario e all’economia reale sono diversi. Innanzitutto, quando scendono i prezzi dei titoli pubblici le banche subiscono perdite nel loro portafoglio titoli, e il loro bilancio si indebolisce. Si tenga conto che molti dei titoli pubblici sono detenuti dal settore bancario.

Un altro aspetto tecnico di rilievo è che i titoli del debito pubblico sono anche utilizzati come collaterale, cioè a garanzia della liquidità fornita dalla BCE alle banche europee che ne fanno richiesta. Quindi la caduta dei prezzi dei titoli pubblici, influenzando il valore del collaterale utilizzato per raccogliere fondi, limita la capacità di finanziamento delle banche.

Inoltre, vi è una stretta correlazione tra il rating dei titoli sovrani e quello delle società private. Il dowgrading dei titoli sovrani26 è spesso seguito dal downgrading del settore privato che di conseguenza rende più costoso per le banche reperire fondi (contagio domestico Stato-banche)27.

Vi sono infine implicazioni che attengono all’economia reale: l’aumento del costo del rifinanziamento del debito pubblico restringe le condizioni di credito nel settore privato. Poiché il tasso di interesse sui titoli pubblici, si riflette sul costo del credito concesso a famiglie ed imprese che operano nel sistema economico nazionale, il consumo delle prime e l’attività di investimento delle seconde può calare, cosicché lo sviluppo economico e la competitività internazionale dei Paesi periferici ne risultano fortemente pregiudicati, contribuendo a rafforzare ulteriormente il dualismo tra Centro e Periferia.

Dopo il fallimento di Lehman Brothers che ha segnato l’avvio della diffusione globale della crisi finanziaria, l’avversione al rischio ha subito un’impennata senza precedenti. In Europa, la fiducia che i mercati finanziari avevano riposto nella solidità della moneta unica è iniziata a vacillare e gli alti livelli di indebitamento pubblico raggiunti da alcuni Paesi della zona euro (Grecia, Italia, Portogallo, Irlanda28), sono d’improvviso apparsi intollerabili. Da un lato si ritiene che il deterioramento del prezzo dei titoli pubblici dei Paesi periferici (Grafico A5) possa essere ricondotto alle aspettative degli investitori che hanno iniziato a temere che il sistema avesse imboccato la via che conduce da elevato debito pubblico all’insolvenza sul debito sovrano o alla sua ristrutturazione. D’altro canto, non si può disconoscere il ruolo del “grande esodo” delle banche francesi e tedesche: la riduzione dell’esposizione da parte dei principali creditori internazionali del Nord Europa di cui si parlerà nel paragrafo successivo ha contribuito a rendere più arduo il rifinanziamento del debito pubblico e privato dei Paesi periferici.

26 Le valutazioni delle società di rating hanno contributo al contagio internazionale. Nel bel mezzo della

crisi greca, dopo aver trasformato in titoli spazzatura i “sirtaki bond”, S&P ha ridotto il rating sul Portogallo. È così che il contagio in Europa si è accelerato, colpendo anche l’Italia e poi la Francia a causa del dissesto delle banche.

27 Dal novembre 2009 i sette Paesi avanzati che hanno avuto un downgrade del debito sovrano hanno

anche registrato una riduzione dei rating di credito di circa il 40 per cento degli intermediari entro i tre mesi successivi (il dato supera il 60 per cento nei Paesi che hanno avuto il downgrade multiplo (Banca d’Italia, 2011).

28 Si noti che i Paesi superano il 90%, indicata dalla letteratura come soglia di “tollerabilità” oltre la quale

La valutazione sulla sostenibilità del debito pubblico non è pertanto di per sé sufficiente a comprendere la crisi della zona euro che va altresì messa in relazione all’entità, alla composizione e alla dinamica di crescita del debito estero. Le economie periferiche spesso considerate alla stessa stregua, sono in realtà diverse tra di loro e soprattutto, sotto alcuni aspetti, non differiscono di molto dai Paesi del Nord Europa29.

Portogallo e Grecia condividono due caratteristiche fondamentali, vale a dire un alto debito estero (Grafico A6) e un bassissimo tasso di risparmio nazionale (Grafico A12). Per contro, la Spagna ha innanzitutto un debito estero molto inferiore (Grafico A6) e un tasso di risparmio più alto (Grafico A12), ma è molto esposto ai mercati finanziari, perché il suo boom edilizio è andato di pari passo con un’enorme espansione dell'attività finanziaria. Il caso dell’Italia appare diverso, in quanto il suo tasso di risparmio è elevato (Grafico A12) come in Spagna e i suoi squilibri esteri sono molto più ridotti. Tuttavia, dato l'alto livello di debito pubblico, mantenere livelli di risparmio congrui appare fondamentale.

Il debito estero della Grecia oggi ammonta ad oltre 500 miliardi di dollari, circa il 190% del Pil (Grafico A6). Di esso, circa la metà è rappresentato da debito estero del governo. In Grecia, il settore pubblico è il principale soggetto debitore nei confronti dell’estero.

Nel caso del Portogallo, il livello di debito estero (506 miliardi di dollari), è oggi molto simile a quello della Grecia e rappresenta il 230% del Pil, una quota molto più elevata di quella greca. Inoltre, anche la distribuzione per settori è diversa: in Portogallo il settore privato è molto esposto al finanziamento estero: il 75% del Pil se si considera il solo settore bancario, e tale quota sale al 109% del Pil se si tiene conto anche delle imprese e delle famiglie. Si tratta del paese periferico nel quale il settore privato è più esposto nei confronti dell’estero.

Il debito estero spagnolo ammonta ad oltre 2000 miliardi di dollari e rappresenta il 170% del Pil, una quota di poco inferiore a quella greca. Come in Portogallo, anche in Spagna, sono il settore privato e il settore bancario ad esibire la più elevata esposizione sull’estero (103%). Il debito estero governativo spagnolo ammonta a 340 miliardi di dollari e rappresenta “soltanto” il 24% del Pil, il più contenuto tra i Paesi del Mediterraneo.

Infine l’Italia, è il paese più virtuoso in termini di debito estero sul Pil (121%). Il settore bancario (34%) ha il più basso grado di esposizione nei confronti dell’estero dei Paesi del Mediterraneo.

Dopo la crisi dei debiti sovrani, l’attenzione degli economisti si è rivolta sempre più spesso sull’analisi della composizione del debito pubblico per nazionalità dei soggetti creditori. Per comprenderne le motivazioni, si pensi al caso del Giappone: mentre l’indebitamento del governo supera il 200% (Grafico A3) – percentuale altissima rispetto al resto del mondo – il paese gode di maggiore stabilità rispetto ai Paesi europei perché quasi la totalità del debito (93%) è detenuta dai residenti30.

29 Uno sguardo al Nord Europa consente di svelare che anche altri Paesi di dimensioni ridotte, pur se

ritenuti affidabili dai mercati finanziari, sono altamente indebitati nei confronti del resto del mondo e l’indebitamento estero delle banche è di gran lunga più elevato che non nei Paesi della periferia mediterranea (Finlandia: 133% del Pil, Paesi Bassi: 196%, Belgio: 114% (si veda a tal proposito il grafico 6).

30 In questo caso, la probabilità di default sovrano risulta essere più bassa, l’attenzione è correttamente

dedicata alle possibili conseguenze sull’economia domestica, in particolare sul settore bancario, specie quando le quantità di titoli di Stato detenuti dalle banche sono considerevoli.

Quando invece il debito governativo è in gran parte detenuto all’estero esso non soltanto impoverisce la nazione nel suo complesso31 ma diventa un fondamentale canale di contagio finanziario internazionale. Nei Paesi dove la crisi del debito sovrano ha manifestato i sui primi effetti – Grecia, Irlanda e Portogallo – oltre il 70% del debito governativo era detenuto all’estero. Negli altri Paesi periferici seppur in seguito coinvolti nel contagio – quali Spagna ed Italia – tale quota era invece molto più bassa e continua ancor oggi ad essere inferiore al 50%.

Nella fase in cui si è avuto un aumento dei premi al rischio sovrano (tra il 2008 e il 2010) si osserva anche una decisa riduzione della quota di debito pubblico detenuto all’estero per Portogallo ed Irlanda, oggi si registra un nuovo incremento con il risultato che tale quota permane attorno al 70% in Grecia e Portogallo (Cfr. Grafico A5 e Grafico A8).

La crisi dell’Europa periferica può trovare un’ulteriore spiegazione plausibile nella pregressa dinamica di crescita del debito governativo estero. Ancora una volta, si osserva che l’incremento è particolarmente elevato in Grecia e Portogallo nel periodo 2003-2009. Il debito estero del governo aumenta di 2,7 volte in Grecia passando da 110 a 300 mld di dollari, e più che raddoppia in Portogallo (da 55 a 135 miliardi di dollari). Tuttavia, se comparato al caso della Francia, che ha visto triplicare in un decennio il suo debito governativo estero, l’incremento osservato in Grecia e Portogallo appare meno drammatico.

La Spagna e l’Italia sono di nuovo contraddistinti sia per una crescita più contenuta nel periodo antecedente alla crisi sia per una più decisa riduzione dal 2010 in poi32. In Irlanda, invece, il debito estero governativo non ha mai smesso di aumentare, ed è esploso dal 2007, oggi è di 145.9 miliardi di dollari e corrisponde ad oltre 5 volte il livello raggiunto nel 2003 (Grafico A7).

Per i Paesi periferici del Mediterraneo il 2009 segna l’anno di svolta da un periodo di aumento ad una flessione della crescita del debito estero governativo (grafico A7), mentre in Francia, Germania e Finlandia il debito estero è continuato ad aumentare più o meno allo stesso ritmo precedente anche dopo la crisi.

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