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Qualche osservazione finale

dell’Unione economica e monetaria

L’INTRODUZIONE DEL PRINCIPIO DELL’EQUILIBRIO DI BILANCIO NELLA COSTITUZIONE ITALIANA

5. Qualche osservazione finale

La vicenda della costituzionalizzazione del principio di equilibrio di bilancio, qui illustrata per sommi capi, e le criticità che emergono in ordine al profilo della sua giustiziabilità, consentono di formulare alcune osservazioni finali.

In primo luogo, si potrebbe pensare alla costituzionalizzazione della regola dell’equilibrio tra entrate e spese che ha interessato alcuni Stati membri dell’UE come un primo passo – probabilmente auspicabile per la dimensione dei problemi dell’economia globale – verso l’attribuzione di competenze di politica fiscale e di spesa a livello sovranazionale. Tuttavia, come è stato correttamente rilevato, al momento il bilancio dell’UE (che ha in dotazione una limitatissima quota di PIL europeo) deve

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Seppure in modo non palese, l’equilibrio finanziario potrebbe entrare così “in bilanciamento” soprattutto con la tutela dei diritti sociali. Sull’attenzione della Corte ai profili finanziari, cfr. D. GIROTTO, “Articolo 81”, in S. BARTOLE, R.BIN (a cura di), Commentario breve alla Costituzione, cit., p. 744 ss., e la specifica selezione nell’ampia rassegna giurisprudenziale a cura di M.PIERONI, La finanza pubblica

nella giurisprudenza costituzionale, dicembre 2011, disponibile su http://www.cortecostituzionale.it

(sezione Studi e ricerche).

48 Cfr. G. S

CACCIA, La giustiziabilità della regola del pareggio di bilancio, cit., p. 4 ss. e p. 17 ss., secondo il quale la violazione della regola del pareggio è causata dal congiunto operare di tutte le previsioni della legge di bilancio, per cui il giudice remittente, per rispettare il requisito della rilevanza, dovrebbe dimostrare di dover fare applicazione nel corso del giudizio di tutte le suddette previsioni, ipotesi praticamente irrealizzabile. Il problema si riverbera sugli effetti di una eventuale pronuncia di illegittimità costituzionale: se è impraticabile la riduzione proporzionale di tutti gli aggregati di spesa, la violazione della regola dovrebbe produrre l’annullamento dell’intera legge di bilancio. Tuttavia, essa è una legge costituzionalmente necessaria da cui dipende il funzionamento dell’intero apparato statale.

49 Per i profili critici del sistema che va così a delinearsi si rinvia a M.E.B

ARTOLONI,“Il ruolo della Corte di giustizia dell’UE in base al TSCG”, in questo Volume.

necessariamente risultare in pareggio ai sensi dell’art. 310 TFUE, per cui al livello sovranazionale è preclusa la possibilità di finanziare con proprio indebitamento le misure che non siano più perseguibili a livello statale. Per questo, il dibattito sull’utilità della modifica costituzionale non può prescindere da una seria riflessione sulle prospettive di sviluppo dell’integrazione europea e sull’opportunità di ulteriori revisioni dei Trattati istitutivi dell’UE50, che si occupino anche di garantire l’effettiva democraticità dei processi decisionali.

In ottica più strettamente interna, ci si domanda come mai gli attori nazionali appaiano propensi “ad abbandonare all’intimazione esterna la massima espressione della sovranità, cioè la determinazione dei contenuti della Costituzione”51, rinunciando al contempo ad esprimere la propria voce ed eventualmente a negoziare, nelle deputate sedi sovranazionali, interventi economici strutturali. Il fondamento di legittimazione dell’UE è negli Stati nazionali, i soli a disporre di sovranità originaria. Ne deriva, tra le altre cose, che le limitazioni di sovranità che l’integrazione produce si giustificano in quanto trovano “corrispettivo” nella effettiva partecipazione degli Stati ai processi decisionali, nelle forme e nei modi previsti dai Trattati istitutivi; mentre l’idea di adeguarsi a decisioni “assunte da altri”, alle quali si partecipa solo pro-forma, evidentemente mal si concilia con i caratteri della Repubblica democratica.

La vicenda sollecita anche qualche considerazione sull’uso “retorico” delle riforme costituzionali da parte del legislatore italiano. La revisione, in questo caso, è stata esplicitamente utilizzata in funzione mediatica, come veicolo di un messaggio di rassicurazione ai mercati (o, più specificatamente, ai finanziatori del debito pubblico italiano) in ordine alla perdurante volontà di perseguire una politica economica nazionale di risanamento e rigore. Pare capovolto così il rapporto tra politica ed economia: non è più la prima a governare la seconda, ma l’inverso. Il costo dell’uso improprio della revisione rispetto ai suoi scopi fisiologici è l’irrigidimento dell’ordinamento di contabilità pubblica su regole (apparentemente) sottratte alla disponibilità dei rappresentanti pro-tempore, che invece dovrebbero essere in grado, nel rispetto dei vincoli internazionali e dell’UE, di valutare le differenti fasi economiche e le più opportune politiche da perseguire, anche considerando una fondamentale distinzione di cui la regola dell’equilibrio pare non curarsi, cioè quella tra le spese “produttive” o “di investimento” e le altre. Tra gli effetti infausti si possono immaginare la compressione dei diritti di rappresentanza democratica (la politica nazionale di bilancio, nei limiti di quanto consentito dal coordinamento europeo, sarebbe ancora espressione di una decisione del Parlamento?) e la deresponsabilizzazione del livello statale di Governo, cui non mancherebbero gli strumenti per restare l’effettivo decisore della politica economica nazionale.

Gli “scopi dichiarati” di adeguamento al diritto sovranazionale e di superamento – attraverso l’imposizione di regole giuridicamente vincolanti – del malgoverno della spesa pubblica (efficacemente raggiungibili con interventi di legislazione ordinaria) sembrano invece frustrati dalla scelta di non fornire alla regola costituzionale gli strumenti per renderla giuridicamente azionabile, almeno nel livello statale. Passa così in secondo piano la funzione normativa della Costituzione, quale parametro di legalità delle leggi e dei comportamenti dei poteri dello Stato: la prescrizione dell’equilibrio tra entrate e spese pare non essere “presa sul serio” come regola di diritto costituzionale,

50 Così F.F

ABBRINI, Il pareggio di bilancio nelle Costituzioni degli Stati UE, cit., p. 935.

51 Così M.L

ma sembra piuttosto configurarsi come una norma-simbolo, espressione di un manifesto ideologico che non si carica del compito di “risolvere problemi”.

Tuttavia la mancata realizzazione degli obiettivi di giuridicizzazione e giurisdizionalizzazione della politica di bilancio, perseguiti sia in sede nazionale, che sovranazionale, potrebbe non essere una eventualità necessariamente sconveniente: in un panorama tempestoso in continuo mutamento e in un contesto giuridico in cui perseguire l’equilibrio e razionalizzare la spesa non è certo impedito, vincolare i poteri pubblici al rispetto di una regola di diritto cristallizzata nel tempo potrebbe non essere la condizione più adatta per governare l’economia dei giorni che corrono, remando nella direzione di competitività e crescita.

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