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Il meccanismo di controllo predisposto in ambito convenzionale: a) la fase pre contenziosa

dell’Unione economica e monetaria

IL RUOLO DELLA CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UE IN BASE AL TSCG M Eugenia Bartolon

3. Il meccanismo di controllo predisposto in ambito convenzionale: a) la fase pre contenziosa

Le ambiguità e le implicite contraddizioni da ultimo descritte si riflettono chiaramente nel sistema di tutela predisposto all’art. 8 TSCG.

Questa disposizione prevede un elaborato meccanismo nel quale, ad un ruolo attivo e penetrante degli Stati parte, è affiancato un ruolo altrettanto incisivo della Commissione. In particolare, è difficile evitare l’impressione che il coinvolgimento della Commissione risponda all’esigenza di incardinare la procedura prevista all’art. 8 all’interno del più ampio sistema di tutela giurisdizionale offerto dall’ordinamento dell’Unione e di renderla quanto più corrispondente possibile al procedimento per infrazione17. Se la Commissione è infatti privata del ruolo di parte processuale in senso stretto, ad essa è comunque attribuita l’iniziativa che, nel complessivo meccanismo, riveste, almeno in certi casi, una funzione determinante18.

La Commissione è infatti invitata, ai sensi del primo paragrafo dell’art. 8, “a presentare in tempo utile alle Parti Contraenti un rapporto sulle disposizioni adottate da ognuna di esse in conformità all’Art. 3(2)”. La Commissione è dunque parte integrante della fase iniziale del procedimento e, ancorché la sua partecipazione sia, in senso formale, conseguenza di un “invito”, è ragionevole pensare che la redazione del rapporto vada configurata come l’espletamento dell’obbligo, discendente da altre disposizioni del TSCG19, di monitorare la condotta delle Parti contraenti. L’astensione della Commissione o un suo esplicito rifiuto a redigere il rapporto, oltre a determinare alcune conseguenze nell’ambito dell’eventuale procedimento contenzioso20, potrebbe essere infatti considerata come mancato esercizio della funzione di vigilare sull’osservanza degli obblighi che incombono agli Stati parti in virtù dell’Accordo.

Il rapporto della Commissione costituisce dunque il presupposto in presenza del quale la procedura in questione viene normalmente attivata. L’art. 8 stabilisce infatti che “[S]e la Commissione Europea, dopo aver dato alla Parte Contraente interessata l’opportunità di presentare le proprie osservazioni, conclude nei suoi rapporti che la Parte Contraente non abbia rispettato l’Art. 3(2), la questione sarà sottoposta alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea da una o più delle Parti Contraenti”. E’ indubbio che

15 L’azione della Commissione incontra, invero, un altro limite nell’esistenza dell’art. 126, par. 10,

TFUE. Questa disposizione preclude alla Commissione di utilizzare il procedimento per infrazione al fine di far accertare l’eventuale violazione da parte di uno Stato membro dell’obbligo di porre rimedio ad una situazione di disavanzo eccessivo.

16 La prassi relativa al ricorso per infrazione mostra, infatti, che uno Stato è più disposto a mettere in

moto una tale procedura attraverso l’iniziativa della Commissione anziché affrontare direttamente una contestazione giudiziale alla quale presumibilmente ricorrerà solo nelle ipotesi più gravi.

17 Si veda, sul punto, R. B

ARATTA, “Legal Issues of the Fiscal Compact. Searching for a mature democratic governance of the euro”, cit., p. 48.

18Si veda, supra, il paragrafo 2.

19Si veda, ad es., l’art. 5, paragrafi 1 e 2, TSCG.

20L’assenza, ad es., di un eventuale rapporto negativo andrebbe a precludere un ricorso automatico da

la previsione evochi, almeno a grandi linee, il procedimento per infrazione. Anche questa procedura presenta, al pari di quella per inadempimento, due momenti fondamentali, nettamente distinti, ma logicamente e temporalmente collegati. Il primo, che si impernia sull’azione della Commissione, e che è volto ad eliminare la situazione di inosservanza dell’obbligo senza far ricorso ad una pronuncia giurisdizionale; il secondo, viceversa, che consegue al fallimento di tali tentativi e che consiste appunto nel giudizio innanzi alla Corte.

Altrettanto evidenti ne sono tuttavia anche le differenze. Ad un esame attento della disciplina in esso contenuta, non si può infatti evitare l’impressione che il procedimento descritto all’art. 8 sia il risultato della sovrapposizione e commistione di regole ispirate ad esigenze diverse, il cui innesto determina una procedura dal carattere marcatamente ibrido.

La peculiare natura di questo speciale procedimento rispetto a quello per infrazione si può riscontrare già nella fase preliminare, quella che - per utilizzare una terminologia nota - potremmo chiamare pre-contenziosa.

E’ noto che, nell’ambito del procedimento per infrazione disciplinato agli articoli 258-260 TFUE, esiste una fase pre-contenziosa molto articolata sia nel caso in cui la procedura in questione venga attivata su iniziativa della Commissione, sia nell’ipotesi in cui venga promossa da uno Stato membro. Nel primo caso, la Commissione, prima di ricorrere eventualmente alla Corte, è tenuta a manifestare la propria volontà di avviare la procedura attraverso una contestazione formale, nelle forme rispettivamente di una lettera di messa in mora ed eventualmente di un parere motivato21. Nell’ipotesi in cui il procedimento sia azionato da uno Stato membro, la Corte potrà essere adita solo dopo che, coinvolta la Commissione, quest’ultima sia stata posta nelle condizioni di instaurare un contraddittorio tra le parti ed abbia, anche in questo caso, emanato un parere motivato22. La complessità della fase pre-contenziosa si giustifica verosimilmente nell’esigenza di garantire allo Stato accusato la possibilità di difendersi e di consentirgli eventualmente di conformarsi all’obbligo23.

Il procedimento disciplinato all’art. 8 TSCG, pur ricalcando la fase pre-contenziosa del procedimento per infrazione, tende nondimeno a contrarne la durata. Se l’art. 8 contempla una fase assimilabile alla messa in mora – quella cioè in cui lo Stato è posto nelle condizioni di poter presentare proprie osservazioni – non vi è alcuna traccia, invece, della fase relativa al parere motivato, nella quale la Commissione precisa in genere la propria posizione e sollecita lo Stato a porre fine al comportamento contestato. Nell’ambito della speciale procedura disciplinata all’art. 8, la Commissione si limita, infatti, a redigere un rapporto sulla cui base si potrà immediatamente adire la Corte di giustizia e, dunque, instaurare la fase contenziosa.

Non appare allora azzardato ipotizzare che in caso di violazione degli obblighi discendenti dall’art. 3, par. 2, il TSCG, nel discostarsi dal modello delineato agli articoli 258-260 TFUE, manifesti l’esigenza di rendere più attenuata la tutela accordata allo Stato accusato. La compressione del diritto di difesa nei confronti della Parte contraente in causa sarebbe infatti determinata dall’assenza del parere motivato e dall’utilizzo al suo posto di uno strumento funzionalmente diverso dato dal rapporto. Due ordini di motivi militano per questa conclusione.

21Art. 258 TFUE. 22Art. 259 TFUE. 23Si veda, sul punto, A.T

Innanzitutto, il parere motivato, oltre ad essere il presupposto per adire la Corte, è quell’atto formale che attribuisce allo Stato l’ultima possibilità per porre fine alla trasgressione contestatagli e per eliminare le conseguenze che da essa discendono24. Il rapporto, per contro, non sembra avere questa funzione; esso, piuttosto, allorché si esprima in termini negativi relativamente alla condotta tenuta dallo Stato, è preordinato esclusivamente ad instaurare il contenzioso dinanzi alla Corte. Da ciò consegue che lo Stato sotto accusa, nell’ambito della procedura prevista all’art. 8, viene privato non solo di un’occasione ulteriore per comporre la controversia in sede extragiudiziale, ma anche della possibilità di beneficiare di un più ampio e articolato sistema di tutela.

In secondo luogo, il parere motivato è, per l’appunto, motivato. Esso, cioè, deve contenere un’esposizione coerente e dettagliata delle ragioni che hanno indotto la Commissione a ritenere inadempiente lo Stato. L’assenza o il difetto di motivazione rendono irricevibile l’eventuale ricorso alla Corte25. Il rapporto, per contro, non sembra esigere alcuna di queste condizioni: la motivazione contenuta nel rapporto potrebbe essere inesatta o insufficiente e questo difetto non appare, in tutta probabilità, ostacolare un eventuale ricorso alla Corte. Ne deriva la conseguenza che lo Stato accusato potrebbe essere sottoposto al giudizio della Corte ancorché il rapporto della Commissione non abbia sufficientemente fornito le ragioni dell’esistenza e della constatazione dell’illecito.

Nell’ambito della fase pre-contenziosa disciplinata dal TSCG emerge un ulteriore aspetto problematico. L’art. 8, par. 1, quarta frase, stabilisce che “[Q]ualora una Parte Contraente ritenga, indipendentemente dal rapporto della Commissione, che un’altra Parte Contraente non abbia rispettato l’Art. 3(2), essa può ugualmente sottoporre la questione alla Corte di Giustizia”.

Questa previsione offre dunque la possibilità ad uno Stato membro di ricorrere alla Corte anche nel caso in cui la Commissione abbia redatto un rapporto positivo sulla condotta statale o, addirittura, si sia astenuta dal formularne uno. Pur in apparenza conforme all’art. 259 TFUE nella parte in cui esso consente ad uno Stato membro di ricorrere alla Corte indipendentemente dal parere della Commissione, anche questa previsione tende tuttavia a discostarsi dal procedimento per infrazione ordinario.

Ai sensi dell’art. 259 TFUE, uno Stato può rivolgersi alla Corte solo dopo l’espletamento di una procedura preliminare, consistente nella sottoposizione della lite alla Commissione. Quest’ultima, dunque, viene investita anche in questo caso del compito di esperire i necessari tentativi perché il conflitto fra gli Stati si chiarisca e, possibilmente, si risolva in via preliminare, senza l’intervento della Corte. Anche in questa ipotesi, in effetti, l’attività della Commissione potrà svolgere un ruolo essenziale per conciliare le contrastanti posizioni degli Stati e, soprattutto, per accertare la reale consistenza delle accuse rivolte ad uno Stato membro. Il potere degli Stati di ricorrere, pur in presenza di un eventuale parere positivo sulla condotta statale, non modifica il senso e l’opportunità della procedura conciliativa. Essa, infatti, nell’ambito del complessivo meccanismo, offre allo Stato accusato, attraverso le dinamiche proprie del contraddittorio, l’opportunità di contestare le accuse mossegli e, più in generale, di potersi difendere.

L’art. 8 TSCG si distanzia dalla disciplina prevista all’art. 259 TFUE proprio sotto quest’ultimo profilo: la fase del contraddittorio potrebbe infatti essere del tutto assente, e dunque lo Stato accusato potrebbe essere privato della possibilità di difendersi,

24Si vedanoR.A

DAM, A.TIZZANO, Lineamenti di diritto dell’Unione europea, Torino, 2010, p. 271 ss.

allorché la Parte contraente adisca la Corte nonostante un rapporto positivo della Commissione.

In assenza di indicazioni diverse da parte dell’art. 8, non è infatti irragionevole ipotizzare che la Commissione possa redigere un rapporto favorevole nei confronti di una Parte contraente senza porre necessariamente quest’ultima nella condizione di presentare previamente le proprie osservazioni. Se la possibilità di difendersi è una garanzia posta a tutela dello Stato al quale si contesta la violazione di un determinato obbligo, a rigor di logica l’osservanza di questa garanzia potrebbe risultare non strettamente necessaria allorché la Commissione non nutra alcun dubbio sulla conformità della condotta statale. E’ dunque ragionevole ritenere che, se non in tutti i casi, almeno in molti, il rapporto favorevole della Commissione venga redatto senza l’instaurazione di un previo contradditorio con lo Stato. In un’ipotesi come questa, allora, la Parte contraente oggetto di un rapporto favorevole della Commissione potrebbe subire un ricorso dinanzi alla Corte, senza aver avuto neanche un’occasione di difendersi prima della fase contenziosa. Ne consegue che, in un’ipotesi del genere, lo Stato accusato non sia posto nelle condizioni di beneficiare di alcuna fase pre- contenziosa, intesa, tecnicamente, come fase procedurale regolata dal diritto e gestita dalla Commissione in base al diritto. Le eventuali garanzie per lo Stato accusato escono dal piano della tutela giuridica e si spostano a quello delle relazioni politiche tra Parti contraenti.

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