dell’Unione economica e monetaria
IL RUOLO DELLA CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UE IN BASE AL TSCG M Eugenia Bartolon
5. La limitata giustiziabilità della regola sul pareggio di bilancio
Da un punto di vista sostanziale, l’art. 8 TSCG prevede che la Corte di giustizia si pronunci sulle misure adottate dallo Stato membro “in conformità all’art. 3, par. 2”. Quest’ultima disposizione, a sua volta, obbliga le Parti contraenti a rendere efficaci nel rispettivo ordinamento giuridico, entro un anno dall’entrata in vigore dell’Accordo, le “regole citate nel paragrafo primo”, attraverso “disposizioni di natura vincolante e carattere permanente, preferibilmente costituzionale, o il cui rispetto sia altrimenti garantito attraverso i processi di bilancio nazionali”. Il TSCG attribuisce dunque alla Corte di giustizia la funzione di accertare l’adeguatezza dell’intervento statale rispetto agli obblighi derivanti dalla disciplina contenuta nel c.d. patto di bilancio. Sotto questo profilo, l’obbligo discendente dal secondo paragrafo dell’art. 3 non può essere considerato disgiuntamente dagli obblighi derivanti dalla complessa disciplina incorporata nel primo paragrafo33.
32 Vi è anche un ulteriore motivo di difformità rispetto alla procedura disciplinata dal diritto dell’UE.
Mentre ai sensi dell’art. 260 TFUE il monopolio di questa seconda procedura è accentrato nella Commissione, l’art. 8 TSCG, al contrario, prevede un esclusivo potere delle Parti contraenti.
33L’art. 3, par. 1, come è noto, è volto a rafforzare il coordinamento delle politiche economiche e il rigore
della disciplina e delle politiche di bilancio nella zona UE, in particolare attraverso una maggiore cogenza attribuita al principio del pareggio, o quanto meno, dell’equilibrio di bilancio. Ai sensi dell’art. 3, par. 1, lett. b) la posizione di bilancio in pareggio o in avanzo della pubblica amministrazione di una parte contraente “si dovrà considerare rispettata se il bilancio strutturale annuale del governo generale è pari all'obiettivo a medio termine specifico di quel paese come definito dal Patto di Stabilità e Crescita riveduto con il deficit strutturale annuale che non supera lo 0,5% del prodotto interno lordo a prezzi di mercato”. La norma prevede dunque un meccanismo incentrato sulla fissazione di obiettivi di saldo specifici per Paese, soggetti a un limite generale di disavanzo fissato nello 0,5% del PIL. Dunque non necessariamente un pareggio di bilancio, quanto piuttosto il rispetto di un “equilibrio di bilancio”, da individuarsi nel rispetto di un saldo prefissato che può, entro i limiti prestabiliti, essere anche in lieve disavanzo. A sua volta, la regola generale del pareggio di bilancio è destinata, nel concreto, ad articolarsi in una nozione più ampia e flessibile di “equilibrio di bilancio” la quale si specifica in saldi strutturali differenziati per singolo Paese, dunque tarati sulle specifiche situazioni finanziarie ed economiche nazionali. Detta esigenza si è tradotta, sulla scia degli interventi operati sul Patto di Stabilità e Crescita (PSC) ad opera dei Regolamenti n. 1175 e 1177 del 2011 (rispettivamente in GU L 306 del 23 novembre 2011 e in GU L 306 del 23 novembre 2011), nella regola posta dall’art. 3, par. 1, lettera d) la quale ammette che la soglia limite di disavanzo possa essere anche maggiore per i Paesi più virtuosi, individuati in quelli in cui “il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto interno lordo ai prezzi di mercato è significativamente inferiore al 60% e i rischi sul piano della sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche sono bassi”: in questi casi, “il limite inferiore per l’obiettivo di medio termine di cui alla lettera b) può arrivare fino a un disavanzo strutturale massimo dell’1,0% del prodotto interno lordo ai prezzi di mercato”, doppio rispetto al limite generale dello 0,5%. Il Fiscal Compact dunque, in linea con il PSC
Ne consegue che la Corte, nel verificare l’osservanza degli obblighi posti dall’art. 3, par. 2, potrà essere chiamata a compiere valutazioni complesse, non prive di un certo grado di incertezza.
Unprimo problema potrebbe derivare dalla difficoltà per la Corte di valutare dati di natura economica. La verifica dell’adeguatezza delle misure adottate dallo Stato passa infatti, inevitabilmente, attraverso la valutazione delle sue politiche economiche. Sotto questo profilo, allora, la Corte si troverebbe a compiere valutazioni che, presupponendo la disponibilità di dati economici e analisi tecniche di elevata complessità, sfuggono alla sua attuale formazione. In questa prospettiva, il controllo della Corte potrebbe allora limitarsi solo alla manifesta irragionevolezza delle scelte legislative che si riflettono nell’atto interno d’attuazione.
Un secondo ordine di problemi potrebbe essere dato dalla difficoltà per la Corte di verificare l’osservanza di obblighi che sono descritti attraverso il ricorso a nozioni o termini vaghi, in relazione ai quali possono corrispondere anche significati diversi. In un’ipotesi del genere, la circostanza che le norme nazionali diano attuazione all’obbligo convenzionale trasponendone il precetto normativo non sarebbe sufficiente a garantire la conformità della condotta statale. In relazione a nozioni che presentano contorni giuridicamente poco definiti, la conformità della condotta statale all’obbligo previsto potrebbe essere garantita solo se quelle nozioni venissero ricostruite alla luce dell’interpretazione accolta in ambito convenzionale. E’ verosimile allora pensare che la Corte, al fine di valutare l’osservanza dell’obbligo posto dall’art. 3, par. 2, possa non sempre disporre di strumenti idonei per compiere verifiche così complesse. Un esempio di questa difficoltà è dato dall’art. 3, par. 1, lett. c) in combinato disposto con l’art. 3, par. 3, il quale stabilisce che per circostanza eccezionale “si intende un evento inconsueto non soggetto al controllo della Parte contraente interessata, che ha un forte impatto sulla posizione finanziaria del governo”. E’ chiaro che la nozione di evento “non soggetto al controllo” dello Stato membro può prestarsi ad almeno due alternative interpretative. Da una parte, l’espressione potrebbe essere interpretata nel senso che l’evento che autorizza la produzione di un disavanzo di bilancio, per le sue caratteristiche di imprevedibilità o per la sua dimensione quantitativa, non possa essere
come da ultimo rivisitato nel 2011, nel proseguire nella direzione di una concreta declinazione e taratura dei vincoli comuni sulla base delle specifiche situazioni nazionali, canonizza i margini di flessibilità all’interno di una disciplina più puntuale e stringente. Sempre al fine di rendere la disciplina quanto più flessibile possibile si consente agli Stati, sul presupposto che non venga compromessa la sostenibilità finanziaria di mediolungo termine, quei temperamenti alla rigidità dell’obiettivo fissato, resi necessari da “circostanze eccezionali” [la lettera c) dell’art. 3, par. 1, del Trattato consente agli Stati di poter “deviare temporaneamente dal loro rispettivo obiettivo di medio termine o dal percorso di avvicinamento a tale obiettivo solo in circostanze eccezionali, come definito al paragrafo 3, lettera b)]”. Quest’ultima disposizione, a sua volta, definisce tali gli “eventi inconsueti non soggetti al controllo della parte contraente interessata che abbiano rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria della pubblica amministrazione oppure periodi di grave recessione economica ai sensi del patto di stabilità e crescita rivisto, purché la deviazione temporanea della parte contraente interessata non comprometta la sostenibilità del bilancio a medio termine”. Nell’ipotesi, tuttavia, in cui siffatte deviazioni dall’obiettivo a medio termine o dal processo di adeguamento ad esso siano significative, il Trattato, nell’intento di rafforzare l’efficacia e la tempestività dei presidi, demanda agli Stati aderenti l’attivazione “automatica” di “un meccanismo di correzione” Ai sensi dell’art. 3, par. 1, lett. e) “[N]el caso di deviazioni significative registrate dall’obiettivo a medio termine o dal processo di adeguamento ad esso, si innescherà automaticamente un meccanismo di correzione. Il meccanismo include l’obbligo per le Parti Contraenti interessate di attuare misure per correggere le deviazioni in un periodo di tempo definito”. Si veda, per maggiori approfondimenti, B.UBERTAZZI,“Il quadro politico istituzionale secondo il TSCG”, in questo Volume.
evitato con l’adozione di misure preventive, e dunque si possa manifestare del tutto indipendentemente dall’attuazione di politiche economiche ispirate alla prudenza e alla sana gestione contabile. Dall’altra, un’interpretazione meno rigorosa potrebbe suggerire, invece, che per evento “non soggetto a controllo” debba intendersi quello produttivo di effetti, potenziali o reali, tali da richiedere interventi non fronteggiabili attraverso una manovra correttiva ordinaria, sebbene tale correzione dipenda dall’adozione di politiche economiche non ispirate alle regole della prudenza e della sana gestione34. Ebbene, se una Parte contraente trasponesse nel proprio ordinamento giuridico la regola che consente a ciascun Stato di poter “deviare temporaneamente dal proprio obiettivo di medio termine o dal percorso di avvicinamento a tale obiettivo solo in circostanze eccezionali”, e, conformemente all’art. 3, par. 3, indicasse che sono tali gli “eventi inconsueti non soggetti al controllo della parte contraente interessata che abbiano rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria della pubblica amministrazione”, dal punto di vista formale avrebbe ottemperato all’obbligo di rendere vincolante questa regola. Da un punto di vista sostanziale, però, l’osservanza dell’obbligo sarebbe realmente realizzata solo se la nozione di “eventi inconsueti non soggetti […]” accolta nell’ordinamento nazionale corrispondesse a quella accolta in ambito convenzionale. Ed è chiaro che sulla base di un’analisi imperniata prevalentemente sul dato formale, per la Corte non sarebbe affatto agevole verificare se la condotta della Parte contraente sia o meno conforme all’obbligo posto.
Queste difficoltà, sommariamente evocate, potrebbero rendere il sindacato della Corte per più versi impraticabile o, comunque, poco incisivo. In questa prospettiva, la giustiziabilità della regola sul pareggio di bilancio potrebbe essere compromessa35.
6. Considerazioni conclusive
Non è agevole, al termine di questa breve analisi, definire i contorni del ricorso previsto all’art. 8. Se le intenzioni dei redattori del TSCG erano quelle di rendere più incisiva la disciplina di bilancio attraverso la predisposizione di un meccanismo giurisdizionale che ne assicuri il rispetto da parte delle Parti contraenti, non si può certo dire che esse siano state del tutto realizzate. Vero è che la problematicità di coniugare due esigenze non facilmente conciliabili – ben simboleggiate dalla scelta di assegnare alla Commissione un ruolo d’impulso nell’ambito di un ricorso le cui parti processuali sono esclusivamente gli Stati – sembra essere determinante in questa difficoltà. Se, da un lato, i redattori dell’Accordo hanno voluto dotare le disposizioni del TSCG di un meccanismo che, nell’agire come deterrente in via preventiva e come sanzione in caso di violazione, ricalcasse il procedimento d’infrazione, dall’altro, i limiti applicativi insiti nella clausola contenuta nell’art. 273 TFUE hanno reso impossibile l’adozione tout
court di questo modello. Di qui l’ambiguità redazionale e le implicite contraddizioni
nella formulazione dell’art. 8 il quale, nell’intento di rendere quanto più efficace e rapido possibile il sindacato della Corte, tende a contrarre la fase pre-contenziosa, e, nel
34Si veda, per questo esempio, G.S
CACCIA, La giustiziabilità della regola del pareggio di bilancio, in Rivista giuridica telematica dell’Associazione dei costituzionalisti italiani, 3/2012, disponibile su
http://www.rivistaaic.it/sites/default/files/rivista/articoli/allegati/Scaccia_0.pdf.
35 Questioni parzialmente analoghe si pongono in relazione alla giustiziabilità del divieto di ricorso
all’indebitamento come disciplinato nel nuovo art. 81 della Costituzione italiana. Sul punto si veda A. COSSIRI,“L’introduzione del principio dell’equilibrio di bilancio nella Costituzione italiana”, in questo
fare ciò, ha l’effetto di affievolire o, addirittura comprimere, almeno in certi casi, il diritto di difesa della Parte contraente considerata inadempiente. Questa sembra infatti la conseguenza della depoliticizzazione e conseguente giurisdizionalizzazione della procedura di controllo dovuta all’inevitabile ridimensionamento del ruolo della Commissione.
Al potenziamento della fase contenziosa rispetto all’analoga prevista nell’ambito del procedimento d’infrazione, non si riscontra tuttavia un ruolo più efficace della Corte di giustizia. Non solo perché la competenza della Corte appare circoscritta ratione
temporis al controllo delle norme che gli Stati contraenti sono tenuti ad adottare entro
un anno dall’entrata in vigore del TSCG per conformarsi agli obblighi discendenti dal
Fiscal Compact, ma soprattutto per la scarsa giustiziabilità di quelle regole. Data la
complessità del giudizio, è prevedibile pensare che per la Corte non sarà sempre agevole determinare se, ai sensi dell’art. 3, par. 2, le disposizioni adottate dagli Stati siano idonee a garantire l’effettiva vincolatività delle regole sul vincolo del pareggio di bilancio nel diritto nazionale. Una verifica del genere implica infatti che la Corte non solo accerti sic et simpliciter che lo Stato abbia recepito quelle regole “tramite disposizioni di natura vincolante e carattere permanente, preferibilmente costituzionale”, ma soprattutto che l’attività di recepimento sia idonea a rendere vincolanti quelle regole. Un giudizio del genere, come si è accennato, appare infatti destinato ad incontrare diversi ostacoli sia per la difficoltà di valutare le politiche economiche degli Stati, che per la difficoltà di valutare il rispetto di obblighi che sono definiti attraverso il richiamo a nozioni sfuggenti.
Non è facile dire al termine di queste brevi notazioni se il meccanismo giurisdizionale predisposto all’art. 8 sia in grado di assicurare il rispetto della regola sul pareggio che le Parti contraenti hanno tentato di rendere più incisiva attraverso l’imposizione di obblighi più stringenti. Quel che pare certo è che questo meccanismo giurisdizionale è il riflesso della difficoltà di innestare una procedura – quella per infrazione – nata in un contesto giuridico di carattere sovranazionale nell’ambito di un sistema che è, invece, puramente intergovernativo.
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L’INTRODUZIONE DEL PRINCIPIO DELL’EQUILIBRIO DI BILANCIO