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Il ruolo dell’accumulazione di debito nella crisi europea

TRA CRISI E RIFORME: GLI ASPETTI ECONOMIC

ACCUMULAZIONE DI DEBITO E CONTAGIO NELLA CRISI DELLA ZONA EURO

2. Il ruolo dell’accumulazione di debito nella crisi europea

2.1. Un quadro d’insieme sul debito aggregato

L’appartenenza ad un’unione monetaria come quella europea può porre dei problemi in caso di accumulazione eccessiva di debito pubblico6. I Paesi europei, aderendo all’Unione Monetaria Europea (UME), hanno rinunciato alla possibilità di monetizzare il debito ed avvalersi del signoraggio. Inoltre, nella zona euro, la clausola di non salvataggio impedisce alla BCE di agire come prestatore di ultima istanza per i governi in crisi fiscale.

La crisi finanziaria ha inoltre smentito nei fatti la “neutralità” del debito privato e la sua netta distinzione dal debito sovrano. I confini tra debito privato e debito pubblico sono diventati più labili per i diffusi effetti di traboccamento dei rischi di insolvenza dal settore finanziario al settore pubblico.

Poiché il debito privato e delle istituzioni finanziarie può tramutarsi in debito pubblico, come i salvataggi delle grandi banche internazionali, la più recente crisi spagnola, e non ultime, le evidenze qui prodotte (Grafico A1, Appendice)7 tendono a confermare- è evidente che in un’unione monetaria è altresì fondamentale tenere sotto controllo il debito del settore privato e bancario.

Sotto questo profilo, la logica del debito nazionale lordo8 sembra più appropriata per valutare le prospettive di sostenibilità finanziaria di un sistema economico nazionale considerato nel suo complesso. La capacità di sostenere un processo di sviluppo non è soltanto determinata dalla dinamica di produzione di beni e servizi in corso d’anno ma anche dalle grandezze fondo come, ad esempio, il valore dello stock della ricchezza accumulata (Draghi, 2010). A tal proposito, è utile osservare che la classifica dei Paesi sarebbe molto diversa se fosse considerata la ricchezza finanziaria e reale anziché limitarsi a tenere conto soltanto del debito pubblico (Fortis, 2012). Ai fini della presente trattazione, va sottolineato che tale approccio sottende alla procedura per gli squilibri

6 L’accumulazione di debito pubblico non dovrebbe destare, di per sé, preoccupazioni (Si veda, a tal

proposito, A.ALESINA,M.DE BROECK,A. PRATI,G.TABELLINI, Default Risk on Government Debt in OECD Countries, in Economic Policy, 1992, pp. 427-451.), I governi quando hanno la possibilità di

monetizzare il debito possono “liberamente” indebitarsi, poiché sanno che la Banca Centrale assorbirà i titoli pubblici in eccesso mettendo in circolazione moneta. L’emissione di moneta, a sua volta, genera inflazione che finisce per ridurre il valore reale del debito (signoraggio).

7

Si noti che la correlazione positiva tra accumulazione di debito bancario nel periodo pre-crisi e crescita del debito pubblico dopo l’irrompere della crisi finanziaria tende a confermare la possibilità che l’instabilità del settore bancario possa riversarsi sul settore pubblico.

8 Per debito aggregato si intende la somma del debito pubblico e del debito dei soggetti privati diversi

dalle istituzioni finanziarie cioè famiglie ed imprese. Una definizione più ampia è quella di debito nazionale lordo che include altresì il debito delle imprese finanziarie. Per il settore privato (famiglie, istituzioni senza scopo di lucro, società non finanziarie) si sono utilizzati dati non consolidati mentre i dati sul debito pubblico sono consolidati. Nella nozione di debito del settore privato sono compresi i prestiti e i titoli, escluse le azioni. Per il debito delle famiglie e delle ISP non sono stati inclusi i titoli diversi dalle azioni in quanto i relativi dati non sono disponibili. La metodologia seguita è quella che si sta affermando nella prassi delle istituzioni nazionali ed internazionali, si veda a tal proposito Ministero dell’Economia e delle Finanze, Decisioni di finanza pubblica 2011-2013, 2010.

macroeconomici9 introdotta nel contesto della revisione delle regole della governance economica europea.

Il Grafico A2 mostra l’aumento del debito aggregato (in percentuale del PIL) per un gruppo rappresentativo di Paesi della zona euro. In merito al debito pubblico si osserva che prima della crisi solo l’Italia e la Grecia superavano abbondantemente il limite posto dal Trattato di Maastricht. Per quel che concerne invece la componente privata del debito si nota come, già nel 2002, in quasi tutti i Paesi essa raggiungesse valori che superavano il 100% del PIL (e addirittura in Belgio e Portogallo la stessa quota si avvicinava al 200%)10 (Tabella A2).

Se è vero che nel 2010 il rapporto tra debito aggregato e PIL risulta aumentato in modo considerevole, bisogna tuttavia sottolineare che il debito pubblico contribuisce a spiegare solo una parte di questo incremento, molto inferiore rispetto a quanto avvenuto nel settore privato. L’accelerazione della crescita del debito è stata più accentuata per i Paesi periferici: il rapporto tra debito pubblico e PIL passa da 80 a 101 per i Paesi periferici e soltanto da 70 a 82 per i Paesi del Nord-UME, mentre il debito privato presenta un notevole incremento per i Paesi periferici, passando dal 129% al 214% del PIL e da una media di 152% a 185% per i Paesi del Nord-UME (vedi tabella A2).

Sebbene si sia ormai diffusa la convinzione che la causa fondamentale della crisi del debito sia ascrivibile al settore pubblico, questi dati non fanno che avvalorare l’ipotesi complementare secondo la quale la ragione principale della crisi è da ricercare nell’esplosione del debito privato e del debito bancario. Basti pensare che Paesi come l’Irlanda e la Spagna sono stati al centro della crisi del debito sovrano pur avendo ridotto in modo consistente il loro debito pubblico. La crescita del debito privato, a sua volta, è stata favorita dall’indebitamento delle istituzioni finanziarie. Tra il 2002 e il 2007 il debito bancario in Irlanda è passato da 165 a 498 in rapporto al Pil, in Spagna si è avuto un incremento dal 20 a 96% del Pil. È utile osservare che nei Paesi che hanno subito attacchi speculativi il debito delle istituzioni finanziarie è passato da 60 a 150% nel periodo pre-crisi per poi arrivare ad oltre in 200% nel 2010 (Tabella A3).

2.2. L’accumulazione di debito pubblico

Dopo una fase intermedia nella quale erano stati introdotti elementi di flessibilità sui criteri di convergenza e sul rispetto del GSP, gli ultimi trattati comunitari prevedono sanzioni automatiche per i Paesi della zona euro che non si uniformeranno a un severo programma di “risanamento” del debito pubblico.

I cambiamenti istituzionali che oggi mirano a rafforzare il governo economico della zona euro appaiono in ogni caso indispensabili per ripristinare condizioni di sostenibilità finanziaria. Va tuttavia osservato che il raggiungimento di alti livelli di indebitamento sovrano, per alcuni Paesi europei, non è un fenomeno nuovo. Il Belgio,

9 La procedura per gli squilibri macroeconomici fa parte del c.d. Six Pack (il primo pacchetto sulla

governance economica) entrato in vigore il 13 dicembre 2011. L’obiettivo è rafforzare la sorveglianza

macroeconomica e fiscale nell'UE e nella zona euro ponendo in rilievo la valutazione di una serie di squilibri macroeconomici.

10 Il debito privato è soprattutto a carico delle imprese e solo in misura più limitata riguarda le famiglie:

l’indebitamento delle imprese oltrepassa la soglia del 90% del Pil in Francia, Spagna, Belgio e Portogallo ma è comunque superiore al 60% del Pil in tutti i Paesi europei analizzati. Riguardo al debito delle famiglie: nel 2010, la soglia del 60% del Pil veniva oltrepassata soltanto in Germania, Grecia ma soprattutto in Spagna (oltre l’85%) e Portogallo (oltre il 90%).

assieme alla Grecia e all’Italia già alla metà degli anni Novanta presentava un rapporto Debito pubblico/PIL che superava il 100% del Pil, dunque ben al di sopra della soglia stabilita dagli Accordi di Maastricht (Tabella A2).

All’avvio della crisi, la Grecia e l’Italia continuavano a distinguersi nettamente dal resto dei Paesi europei (presentando un rapporto debito pubblico/Pil attorno al 112%) (Tabella A2). Eppure oggi la Grecia e l’Italia, che hanno raggiunto rispettivamente quote di 161% e 123%, non sono più gli unici Paesi periferici ad avere un elevato debito pubblico. Essi sono affiancati dal Portogallo (114%) dal Belgio (101%) e dalla Spagna (81%) (Grafico A3). In un quadro istituzionale ancora in continuo mutamento, le tendenze recenti nell’accumulazione del debito sovrano sono difficilmente quantificabili. Ad esempio, si stima che in Spagna, per effetto dell’accesso al fondo Salva-stati del giugno 2012 per il sostegno al sistema bancario, il debito pubblico supererà la soglia del 90% del Pil nel 2013.

Il Grafico 3 mostra come, a seguito della crisi finanziaria e la recessione globale, l’accumulazione di debito pubblico ha subito un’accelerazione, in molti Paesi europei anche al di fuori dell’UME, quando i governi hanno dovuto adottare politiche anticicliche per fronteggiare gli effetti recessivi della crisi globale oltreché, in alcuni casi, a seguito dei pacchetti di salvataggio a beneficio delle banche nazionali altamente indebitate e più immediatamente coinvolte dalla crisi dei mutui subprime.11

Con la sua recessione prolungata e i massicci incrementi del debito governativo, gli sviluppi relativi al periodo post-crisi in Europa appaiono in linea con la ricostruzione storica delle crisi finanziarie che in passato hanno colpito i Paesi emergenti12. Tuttavia, la crisi della zona euro si discosta dalle precedenti poiché non sempre l’elevato debito pubblico è associato a tassi di interesse crescenti (ed aspettative di default imminente)13. Dato il rallentamento della crescita che da tempo incombe su alcuni Paesi europei e l’aggravarsi della recessione globale sembra utile ricordare che, al superamento di una certa soglia di debito pubblico/Pil (attorno al 90%) il debito potrebbe generare effetti negativi sulla crescita economica. Su questo aspetto, si può consultare una letteratura in continua espansione14.

2.3 Il ruolo del debito privato

11 L’andamento temporale del risparmio pubblico in rapporto al Pil consente di comprendere la dinamica

di accumulazione del debito pubblico nei Paesi periferici. Gli sviluppi nel periodo post-crisi mostrano come vi sia stato un deterioramento dei conti pubblici, l’Italia da questo punto di vista mostra un deficit pubblico che è più contenuto (Grafico A12).

12 Le crisi finanziarie sono seguite da periodi di crescita sostenuta del debito sovrano. Inoltre, le crisi

bancarie spesso coincidono o precedono crisi del debito sovrano, come avvenuto in Europa. Si vedano, a tal proposito, i contributi di C.M. REINHART,K.S.ROGOFF, Growth in a Time of Debt, in American

Economic Review, 2010, p. 573 ss. e C. M.REINHART,K.S.ROGOFF, A Decade of Debt, Discussion Paper No. 8310, 2011.

13 Diventa pertanto interessante comprendere quali siano le condizioni che innescano il circolo vizioso

che lega l’alto debito a rendimenti sui titoli sovrani crescenti ed aspettative di default.

14

Si vedano, ad esempio, C.M.REINHART,K.S.ROGOFF, Debt and Growth Revisited, 2010, disponibile

su http://www.voxeu.org/article/debt-and-growth-revisited; C. M. REINHART, K. S. ROGOFF, NBER Working Paper No. 15795, 2010; S.CECCHETTI,M.MOHANTY,F.ZAMPOLLI. The real effects of debt, BIS Working Papers No. 35, 2011; C. CHECHERITA, P. ROTHER, The impact of high and growing

government debt on economic growth: an empirical investigation for the euro area, Working Paper Series

Il debito privato non è, come oggi sembrerebbe, un male assoluto. Lo diventa quando esso è rivolto a mantenere o innalzare i consumi costantemente al di sopra della disponibilità di reddito, non lo è altrettanto laddove viene riposto nell’obiettivo dello sviluppo economico e consente di migliorare l’allocazione delle risorse (nel tempo e nello spazio).

Da metà degli anni Novanta fino all’irrompere della crisi in molte economie mature l’indebitamento privato ha subito un considerevole incremento15. In alcuni Paesi dell’Unione europea, il debito privato era, già nel 2002, al di sopra della soglia del 160% del Pil oggi stabilita dall’Eccessive Imbalance Procedure16. Nel 2010 in molti degli stessi Paesi il debito privato ha superato il 200% del Pil come in Portogallo (250%) e Belgio (233%), Regno Unito e Spagna (227%), Paesi Bassi (225%) e Cipro (278%) ed è oltre tre volte il Pil in Irlanda (341%) e Bulgaria (436%). Ad essi si sono aggiunti altre economie che nel frattempo hanno superato i nuovi criteri fissati dalla Commissione per il debito privato come Austria, Finlandia, Svezia, Estonia e Lettonia17 (Tabella A2).

Se da un lato è evidente che quote elevate di debito di famiglie ed imprese rispetto al Pil si riscontrano oggi in vari Paesi della zona euro, sia nel Nord Europa che nell’area del Mediterraneo, ciò non toglie che la pregressa accumulazione del debito privato, particolarmente rapida soprattutto in alcuni Paesi, potrebbe contribuire a giustificare i timori di contagio che si sono insidiati nel mercato dei titoli sovrani. Sotto questo profilo, è utile osservare che in Irlanda il debito privato è cresciuto di 126 punti di Pil dal 2007 al 2010, mentre in Spagna e Portogallo è salito rispettivamente di 148 e 166 punti tra il 1995 al 2010.

Diversa è la situazione nei Paesi periferici risparmiati dalla bolla speculativa immobiliare e dove il settore finanziario è ancora poco sviluppato o presenta elementi di relativa arretratezza, come l’Italia e la Grecia: il debito di famiglie ed imprese non ha mai ecceduto il livello massimo fissato dai nuovi criteri della Commissione, ed è rimasto anche dopo la crisi su livelli sostenibili (di poco superiore al 120% del Pil nel 2010) (Tabella A2).

Dopo l’esplosione registrata nel decennio scorso in molti Paesi europei, specie quelli che hanno aderito all’Unione Monetaria (Tabella A2), dal 2010 la crescita del debito privato è rallentata (Tabella A1).

Sembra plausibile ritenere che gli alti premi al rischio sovrano, la “Grande Recessione”18 e le concomitanti politiche restrittive ispirate al principio di austerità

15 Per un’analisi dell’accumulazione di debito privato e bancario nelle principali economie avanzate ed

emergenti si vedano i rapporti di ricerca del McKinsey Global Institute (MCKINSEY GLOBAL INSTITUTE,

Debt and deleveraging: The global credit bubble and its economic consequences, 2010; MCKINSEY

GLOBAL INSTITUTE, Debt and deleveraging: Uneven progress on the path to growth, gennaio 2012). Secondo l’analisi del McKinsey Global Institute gli Stati Uniti, la Regno Unito, l’Irlanda e la Spagna sono i Paesi nei quali la crescita del debito privato è stata tra le più alte al mondo.

16 Nel 2002 il debito privato risultava pari al 208% del Pil in Regno Unito, ma era al di sopra di tale soglia

anche in altri Paesi dell’Unione europea come Paesi Bassi (195%), Portogallo (188%), Belgio (180%), Cipro (176%), Polonia (161%), Irlanda (160%).

17 Particolarmente elevate se poi riferite alla soglia proposta da uno studio recente del Boston Consulting

Group (BCG) che è pari al 60% del PIL per ciascun settore non finanziario (famiglie, imprese e governo). Questa soglia assicurerebbe la sostenibilità del debito aggregato vedi M. FORTIS,A Different Tale on Eurozone Debts, in Economia Politica, 2012, p. 161 ss.

18 Secondo Krugman o “Grande Contrazione” come la qualificano Reinhart e Rogoff. Si veda P.

fiscale abbiano contribuito a rimodulare le scelte intertemporali tra consumo attuale e risparmio.

A partire dal 2008 sono aumentati i tassi di risparmio privato in quasi tutti i Paesi periferici ponendo fine alla fase di segno inverso che aveva contraddistinto il decennio precedente19 (Grafico A13). Molto spesso oggi le decisioni relative all’acquisto di beni di consumo durevoli e/o all’investimento in immobili e macchinari vengono procrastinate per il clima generale di incertezza, per il crollo della fiducia da parte di famiglie ed imprese e per la riduzione del reddito disponibile. L'impatto dei crescenti premi al rischio sovrano, non è infatti confinato all’onere del rifinanziamento del debito pubblico, ma esso interessa anche il costo di utilizzo del capitale per il settore privato20. Inoltre, laddove i governi hanno intrapreso la via della riduzione del deficit (tagliando la spesa per trasferimenti o aumentando la tassazione), le famiglie e le imprese hanno reagito diminuendo il consumo e/o l’investimento, come previsto dalla teoria keynesiana, piuttosto che ricorrere all’indebitamento21.

Se da un lato, si ritiene che il collasso della domanda privata abbia causato una caduta della domanda di credito (si veda, a tal proposito, Banca d’Italia, 2010), dall’altro è ragionevole pensare che la moderazione della crescita del debito privato sia ascrivibile non tanto e non solo alla contrazione dei consumi e degli investimenti ma anche al cosiddetto credit crunch, conseguenza del dissesto del settore finanziario e della perdita di fiducia nelle relazioni interbancarie che ha ingessato la circolazione della liquidità22. La stretta creditizia ha indubbiamente contribuito a rendere eccessivamente oneroso – ed impossibile per la maggior parte degli operatori privati – non solo il mantenimento dei livelli di consumo oltre il reddito disponibile ma anche gli investimenti produttivi.

Tuttavia, il processo di deleveraging del settore privato già avviato negli Stati Uniti23, europei sembra ancora agli albori in Europa. In Spagna il debito privato in rapporto al Pil è iniziato a diminuire nel corso degli ultimi due anni (Tabella A1). Inoltre, tra il 2007 e il 2010 il debito di famiglie ed imprese si era già ridotto sensibilmente nel Regno Unito (16 punti di Pil), mentre in Lituania e Polonia è sceso di appena 3 punti di Pil (Tabella A2). Inoltre, molti sistemi bancari nazionali, dopo aver accumulato livelli di debito insostenibili attraverso una leva eccessiva nella fase pre- crisi, stanno oggi rientrando verso posizioni più sostenibili: il debito bancario nell’ultimo triennio è cresciuto in media soltanto dell’1% all’anno, laddove nel periodo

disponibile su http://krugman.blogs.nytimes.com; C.M.REINHART,K.S. ROGOFF, This Time is Different:

Eight Centuries of Financial Folly, Princeton, 2009.

19 In Italia il saggio di risparmio privato continua a contrarsi anche nel periodo 2009-2012.

20 Un premio di rischio elevato per il debito pubblico viene trasmesso a tutta l'economia nazionale,

fornendo così un ulteriore shock equivalente ad un forte aumento del tasso di interesse per il settore privato.

21 Non sembra invece confermata, in questo caso, la possibilità che il consolidamento fiscale aumenti la

domanda attraverso un effetto positivo sulle aspettative (si vedia, tra gli altri, F.GIAVAZZI,T.JAPPELLI, M.PAGANO, Searching for non-linear effects of fiscal policy: Evidence from industrial and developing

countries, in European Economic Review, 2000, pp. 1259-1289.

22 La liquidità non circola per mancanza di fiducia nelle relazioni interbancarie. Si sta ritornando ad una

situazione definita da Alesina e Tabellini come “sparizione del mercato del credito” già palese alla fine del 2008 (Alesina e Tabellini, Sole 24 Ore del 9 Ottobre 2008).

23 Per approfondimenti sul processo di deleveraging del settore privato si veda M

CKINSEY GLOBAL

2002-2007 l’incremento medio annuale era stato dell’11%, con picchi di crescita in Regno Unito, Spagna, Slovenia e Bulgaria (grafico A4).

Le tendenze appena delineate sembrano presagire all’avvio della prima fase di quel processo di deleveraging che fa seguito alle crisi finanziarie, nella quale recessione e riduzione del debito privato sono concomitanti ad un’incessante crescita del debito pubblico (v., a tal proposito, infra paragrafo 2.2 e Tabella A4). I dati ad oggi disponibili consentono di prefigurare che il processo di deleveraging privato, in corso in un numero limitato di casi – quali Spagna, Regno Unito, Lettonia e Polonia – possa estendersi ad altri Paesi europei.

L’Europa è tuttavia ben lontana dal secondo stadio di deleveraging che la storia passata delle crisi finanziarie restituisce, caratterizzato da ripresa della crescita e riduzione del debito pubblico. Si noti che il processo di deleveraging nel settore privato e nelle istituzioni finanziarie non fa che deprimere ulteriormente le economie reali dei Paesi europei (specie quelli periferici) già provate dalla recessione in atto.

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