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Cammino di comunione

DELLA VITA RELIGIOSA Antonia C oloMbo 1

3. Cammino di comunione

La nuova spiritualità richiede un cammino di comunione. L’esistenza di ogni giorno mostra spesso il carattere competitivo e concorrenziale della società, attraversata da divergenze, lacerazioni, paure, intolleran-ze, guerre. Mostra anche la solitudine, la discriminazione, l’esclusione di cui soffrono persone e comunità e, allo stesso tempo, rivela un biso-gno intenso di comunione. Ci troviamo di fronte a una vera e propria sfida circa la qualità delle relazioni.

Il nostro essere insieme alla sequela di gesù, che ci convoca per una missione, ci aiuta a condurre uno stile alternativo di vita, caratterizzato dalla gratitudine e dal dono reciproco. Quando la comunità si configu-ra come scuola di relazioni vitali, laboconfigu-ratorio di solidarietà educativa e di interculturalità, non ci sono stranieri, né ospiti, ma ciascuno/a è ricevuto come fratello e sorella. Accogliere la sfida di curare la qualità delle relazioni comporta diverse attenzioni e scelte che tento di preci-sare.

Impostare la formazione a partire dal suo fondamento teo-antropolo-gico: in questa visione la persona umana, uomo-donna, è immagine di Dio, comunione di persone in relazione di reciproca interdipendenza nell’amore. La spiritualità di comunione, proposta da giovanni Paolo II, si manifesta nello stile di reciprocità, vissuto in una dinamica di li-bera apertura a dare e ricevere, di gratuità e gratitudine che per noi si esprime sia tra i membri della famiglia religiosa e della comunità edu-cante, sia a livello di Famiglia Salesiana e di rapporti tra Congregazio-ni. È una chiamata a un dialogo di comunione sempre più autentico

e profondo con i Pastori della Chiesa locale e con le Istituzioni che perseguono fini educativi.8

Aiutare ad impegnarsi in un cammino di maturità umana e di fede è condizione indispensabile per vivere la spiritualità di comunione. Sem-pre più siamo chiamate a condividere e collaborare in un contesto allar-gato. Per questo occorre formare persone mature, capaci di dare ragio-ne della speranza che è in loro, persoragio-ne sereragio-ne perché hanno sviluppato una sana autonomia e perciò non temono di perdersi evangelicamente in un confronto che, specialmente oggi, non offre garanzie di copertura per chi è debole e insicuro.

Coltivare relazioni reciproche in uno stile di famiglia che permettano di crescere in umanità e di testimoniare la bellezza della propria voca-zione – valorizzando le differenze anche generazionali – è una sfida di fronte alla disgregazione dei legami affettivi e all’insofferenza per la diversità. Il bisogno di comunicare a livello intergenerazionale richiede di evocare la memoria storica della tradizione, saper narrare la propria esperienza di vita, valorizzando linguaggi comprensibili e simboli ade-guati alle differenti età. La presenza nei noviziati di persone anziane è un tesoro da valorizzare anche da questo punto di vista. La realtà della diminuzione numerica delle FMA e, in alcuni Paesi, del loro invecchia-mento può divenire occasione per puntare con maggior decisione sulla qualità evangelica della vita religiosa; opportunità per recuperare il suo compito essenziale di lievito, fermento e profezia.9

Siamo chiamate a configurarci come comunità per il Regno di Dio, proiettate verso la missione specifica dell’Istituto, aperte al discerni-mento dei tempi e dei luoghi attraverso cui lo Spirito fa intravedere i cammini di futuro. La passione per la missione va alimentata nel tem-po del noviziato non solo in vista dell’esperienza atem-postolica, ma come espressione della sequela di gesù: l’essere unite a Lui rende partecipi della sua missione.

Nella comunità del noviziato è importante attivare uno stile di ani-mazione nell’ottica del coordinamento per la comunione, dove la par-tecipazione e la corresponsabilità di tutte nell’attuazione del progetto

8 Cf giovanni Paolo ii, Novo Millennio Ineunte [= NMI], Lettera Apostolica, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana 2001, 43.

9 Cf Congregazione Pergli istituti Di vita ConsaCrata ele soCietàDi vita

aPostoliCa (= CivCSvA), Ripartire da Cristo [= RdC], Istruzione, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 19 maggio 2002, 13.

comune non siano solo affermazioni di principio. Risvegliare la vita, suscitare energie, ascoltare le diverse voci, coordinare i vari apporti, riconoscendo e valorizzando la ricchezza specifica di ogni persona, sono espressioni di questo stile. La terza parte del Progetto formativo è eloquente in proposito. Se manca il tirocinio delle relazioni in questa come in altre tappe della formazione, sarà difficile stabilire rapporti di reciproco potenziamento quando la missione chiamerà la FMA a collaborare anche con i laici per trovare, insieme, vie di convergenza educativa.

Fa sempre riflettere quando una suora chiede di uscire dall’Istituto per motivi relazionali. Le comunità avranno reso impossibile una vita serena e impegnata o forse la persona non aveva maturità sufficiente per vivere relazioni personali adulte? La maturità umana richiesta dalla vita comunitaria è la stessa necessaria ad una vita di famiglia stabile e feconda.

Accompagnare le persone nel loro cammino formativo è fondamenta-le nella vita consacrata, in modo particolare nelfondamenta-le fasi della prima for-mazione. Abbiamo il tesoro del colloquio personale che molte congre-gazioni ci invidiano. Il problema di esservi fedeli non si pone forse nel tempo del noviziato, dove tutto è preordinato alla maturazione delle giovani. Ma il clima, l’ambiente dei rapporti interpersonali è importan-te perché le novizie si aprano e rivelino con spontaneità e chiarezza il loro cammino, le loro difficoltà e gioie, le loro reali aspirazioni.

Maria Ausiliatrice ci è maestra e guida nell’arte delle relazioni.

guardando a Lei don Bosco ha imparato come educare i suoi ragazzi, ma anche come trattare i suoi salesiani, giovani anche loro. Direi che, se una giovane non si impegna a modificare il suo carattere per renderlo gradualmente capace di relazioni mature, forse non è adatta alla nostra vita. Nelle tappe formative che precedono il noviziato non dovremmo risparmiare mezzi ed energie per sanare ferite provocate da relazioni affettive inadeguate. Diventa problematico e pericoloso, invece, intra-prendere questo cammino nel noviziato, ignorare le ferite, rafforzando involontariamente i meccanismi di difesa, perché esse riappariranno in seguito, spesso troppo tardi per essere sanate.

Infine, nell’ambito delle relazioni, occorre ripensare la formazione come formazione reciproca: le nostre giovani non sono semplici destina-tarie della formazione, ma agenti attivi, in grado di ricevere e di offrire.

Questo vale anche in rapporto con i laici/laiche, dove facilmente si con-siderano formatrici solo le religiose.

Sono convinta che, fin dalle prime tappe, potrebbe essere utile alla formazione di personalità equilibrate l’incontro con laiche/laici impe-gnati a vivere la loro vocazione laicale. Poi sarà la vita a sviluppare rap-porti di reciproco potenziamento che, mentre favoriscono la maturità umana e carismatica nella specifica vocazione, abilitano anche i laici ad assumersi responsabilità nella missione di evangelizzare educando.

Se si condivide la spiritualità, anche le scelte apostoliche troveranno la loro via di realizzazione.

In quanto donne consacrate dovremmo risvegliare in noi quella ca-pacità di relazioni alternative che il vangelo ci mostra realizzate in Maria di Nazaret: Ella non interviene mai per mettersi in mostra, ma solo per additare un problema, una necessità; accetta anche di non capire, rima-nendo fedele, in vista di un bene più grande. Maria è l’occhio che vede, si concentra sul bisogno degli altri e si attiva per cercare una soluzione.

Intorno a lei è radunata la comunità degli apostoli dopo che suo Figlio è salito al cielo. Maria è madre della comunione e dell’unità. In quanto FMA dovremmo riscoprire e vivere con maggiore profondità la nostra fisionomia. Se siamo figlie, dobbiamo assomigliarle.