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La testimonianza dei consigli evangelici

E LA PROFEZIA DEI CONSIGLI EVANGELICI OGGI Sabatino M ajorano 1

3. La testimonianza dei consigli evangelici

L’approccio pedagogicamente positivo che ho cercato di delineare nei riguardi delle problematiche etiche più urgenti permette di dare maggiore significatività alla testimonianza dei consigli evangelici. È ne-cessario però superare l’approccio prevalentemente individualistico e ascetico con cui tante volte vengono presentati i voti religiosi, per evi-denziarne tutta la profondità cristologica. È la prospettiva in cui invita a camminare Vita Consecrata parlandone come «testimonianza profeti-ca di fronte alle grandi sfide».16 È opportuno ricordare le affermazioni fondamentali.

La testimonianza della vita religiosa vuole innanzitutto essere una ri-sposta all’emarginazione di Dio che caratterizza la nostra società: «Nel nostro mondo, dove sembrano spesso smarrite le tracce di Dio, si rende

15 GS 14.

16 Cf VC 84-95.

urgente una forte testimonianza profetica da parte delle persone con-sacrate. Essa verterà innanzitutto sull’affermazione del primato di Dio e dei beni futuri, quale traspare dalla sequela e dall’imitazione di Cristo casto, povero e obbediente, totalmente votato alla gloria del Padre e all’amore dei fratelli e delle sorelle. La stessa vita fraterna è profezia in atto nel contesto di una società che, talvolta senza rendersene conto, ha un profondo anelito ad una fraternità senza frontiere.17

La nostra vita deve dire che Dio, come ci è stato rivelato in Cristo, è la risposta ultima alla ricerca di significato e di pienezza che tormenta il cuore dell’uomo. Le molteplici opere, che con tanto sacrificio le nostre comunità portano avanti, sono certamente importanti. Dobbiamo però innanzitutto far percepire a tutti che «non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (cf Mt 4,4).

A questo fine, deve essere chiara la nostra testimonianza: nel vivere per Dio c’è realizzazione, pienezza, gioia. Vita Consecrata sottolinea che la scelta dei consigli evangelici «lungi dal costituire un impoverimento di valori autenticamente umani, si propone piuttosto come una loro trasfigurazione. I consigli evangelici non vanno considerati come una negazione dei valori inerenti alla sessualità, al legittimo desiderio di di-sporre di beni materiali e di decidere autonomamente di sé. Queste inclinazioni, in quanto fondate nella natura, sono in se stesse buone.

La creatura umana, tuttavia, debilitata com’è dal peccato originale, è esposta al rischio di tradurle in atto in modo trasgressivo. La professio-ne di castità, povertà e obbedienza diventa monito a non sottovalutare le ferite prodotte dal peccato originale e, pur affermando il valore dei beni creati, li relativizza additando Dio come il bene assoluto». 18

In questa prospettiva la castità consacrata va vissuta come risposta positiva alla cultura edonistica che «svincola la sessualità da ogni norma morale oggettiva, riducendola spesso a gioco e a consumo, e indulgen-do con la complicità dei mezzi di comunicazione sociale a una sorta di idolatria dell’istinto». Occorre però che essa sia testimonianza gioiosa

«della potenza dell’amore di Dio nella fragilità della condizione uma-na. La persona consacrata attesta che quanto è creduto impossibile dai più diventa, con la grazia del Signore gesù, possibile e autenticamente liberante».19

17 Ivi 85.

18 Ivi 87.

19 Ivi 88.

Analogamente, la povertà religiosa si pone come critica profetica ad un contesto dominato da «un materialismo avido di possesso, di-sattento verso le esigenze e le sofferenze dei più deboli e privo di ogni considerazione per lo stesso equilibrio delle risorse naturali».

Attraverso la semplicità dello stile di vita e «un attivo impegno nella promozione della solidarietà e della carità», essa proclama che solo nel condividere è possibile servirsi dei beni in maniera veramente umana.20 Il riferimento decisivo sarà sempre la chenosi del Cristo per condividere con noi.

Ugualmente importante è la risposta che l’ubbidienza religiosa è chiamata a dare alla «provocazione» proveniente «da quelle concezioni della libertà che sottraggono questa fondamentale prerogativa umana al suo costitutivo rapporto con la verità e con la norma morale». Ripro-ponendo «l’obbedienza di Cristo al Padre e, proprio partendo dal suo mistero, testimonia che non c’è contraddizione tra obbedienza e libertà».

Viene così affermato «il mistero della libertà umana come cammino d’obbedienza alla volontà del Padre e il mistero dell’obbedienza come cammino di progressiva conquista della vera libertà».21

Perché questa testimonianza profetica dei consigli evangelici sia chiara è indispensabile insistere sul valore cristologico dei voti. Ancora oggi mi sembra che nella letteratura spirituale tale valore non viene sempre sottolineato in maniera adeguata. Attraverso i voti, lo Spirito ci fa “continuare il modo chenotico”22 in cui Cristo si è posto tra noi come salvatore: sono proclamazione di Cristo povero, casto e ubbidiente. La professione religiosa è professione di fede, in continuità con quella bat-tesimale. Questa prospettiva cristologica deve permeare tutto il cam-mino formativo, in maniera da favorire una maturità di fede capace di rispondere costruttivamente alle sfide del cambiamento in cui viviamo.

Sarà allora possibile una fedeltà creativa che ridà costantemente signi-ficatività alla testimonianza.23

A questo fine mi sembra importante far sperimentare la positività e la gioia della vocazione, in quanto affermazione di senso e di capacità di progettare, che permettono di aprirsi a impegni di vita di largo respiro.

La vocazione dice che, nonostante i nostri limiti, tutto questo è

possi-20 Ivi 89.

21 Ivi 91.

22 Cf ConCilio vatiCano ii, Lumen Gentium [= LG], in EV 1968, 121-259, 8.

23 Cf VC 37.

bile perché si fonda sull’anticipo di amore di Dio. Di qui la fiducia per scelte che mettono in gioco tutta la vita.

La certezza di questo anticipo di Dio dovrà tradursi in una lettura fiduciosa delle vicende sia personali che comunitarie, a cominciare dagli stessi limiti. La decisione vocazionale non potrà mai essere una “sicu-rezza”, sarà sempre un “rischiare” sulla parola del Cristo che ci chiama e ci invia (cf Lc 5,5). Parimenti i limiti della comunità vanno inseriti nella prospettiva della chiamata: lo Spirito ci invita a farcene carico, anticipandocene la capacità, per costruire con gli altri una fedeltà signi-ficativa e creativa.

Altrettanto importate è il maturare la capacità di vivere la diversità degli altri non come contrapposizione o conflitto, ma come reciprocità in una dinamica di dono/bisogno da sviluppare costantemente. La pro-spettiva è quella della reciprocità carismatica proposta con forza da Paolo (cf 1Cor 12,12-27).

La formazione dovrà insistere soprattutto sulla gioia che scaturisce dal percepire i voti come grazia e talento da far fruttificare per la vita del mondo intero. È una gioia che può essere trasmessa solo attraverso la testimonianza convinta e trasparente degli stessi formatori.

4. Conclusione

Le riflessioni che ho suggerito hanno voluto solo iniziare la nostra riflessione. È opportuno ricordare sinteticamente le istanze di fondo che le hanno ispirate.

Innanzitutto la metodologia con la quale la Gaudium et Spes invitava ad affrontare le sfide anche più gravi. Penso in maniera più immediata ai nn. 19-21 in cui si ricorda come la comunità cristiana deve porsi dinanzi alla sfida della stessa negazione di Dio: lasciarsi mettere in di-scussione, comprendere le ragioni profonde, evitare giudizi moralistici, riformulare linguaggio e argomentazione.

Tutto questo ci spingerà a spiegare il perché delle indicazioni morali in maniera da renderlo comprensibile ai giovani. È quanto giovanni Paolo II sottolineava nei riguardi delle grandi sfide etiche del nostro tempo: è necessario «fare un grande sforzo per spiegare adeguatamen-te i motivi della posizione della Chiesa, sottolineando soprattutto che non si tratta di imporre ai non credenti una prospettiva di fede, ma di interpretare e difendere i valori radicati nella natura stessa dell’essere

umano».24 Il Papa aveva presente l’orizzonte socio-politico. Le sue pa-role valgono però anche a livello pedagogico: occorre spiegare il perché in maniera che emerga che si tratta di crescita, di autenticità, di matu-rità.

Infine, non perdere mai di vista la dimensione culturale e strutturale che oggi assumono tutte le problematiche morali. Questo significa che le difficoltà morali di una persona vanno sempre lette nel contesto in cui vive, evitando semplificazioni moralistiche che impediscono di af-frontarle in maniera costruttiva. Ma significa anche che non è possibile proporre valori senza impegnarsi per creare le condizioni che permet-tono di comprenderli e di viverli.

Ogni affermazione morale è sempre anche un’affermazione politi-ca. Soprattutto, è sempre una testimonianza che non solo evidenzia la bellezza del bene, ma si offre come possibilità di cammino insieme per realizzarlo.

24 EV 51.