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La fedeltà, un impegno che dura nel tempo

“PER SEMPRE”

2. La fedeltà, un impegno che dura nel tempo

Tenuto conto di queste premesse, domandiamoci ora cosa sia la fe-deltà. La risposta non è così semplice o univoca come forse potrebbe sembrare. Nella vita quotidiana, infatti, parliamo di fedeltà a proposito di circostanze e cose molto diverse: ad esempio, un ritratto fedele, una spiegazione fedele, una memoria fedele, i fedeli di una Chiesa, il cane amico fedele dell’uomo, i soldati fedeli agli ordini ricevuti, essere fedeli a Dio, al coniuge, al proprio Istituto religioso, alla patria, alla parola data, ad un partito politico, al passato, ai propri ideali, alle leggi, a se stessi, ad un gruppo, alle tradizioni, al cerchio degli amici.

Fedeltà è dunque un concetto largo e flessibile, che non esiste in astratto ma sempre in riferimento a qualcuno o a qualcosa. Possiamo dire che la fedeltà è come l’ombra di un corpo; essa esiste solo nella misura in cui un corpo si proietta. Non è un contenuto a se stante, bensì un atteggiamento riferito ad un’altra cosa o persona. Non necessaria-mente è un valore in se stessa, ma si riferisce a cose o persone valide o non valide in se stesse e già esistenti. In effetti, si può essere fedeli an-che a comportamenti e norme moralmente inaccettabili, come a volte è successo in tempi di guerra: soldati o capi minori che hanno commesso degli omicidi per “fedeltà” agli ordini ricevuti. Si pensi al nazismo, ai campi di concentramento, al militarismo nipponico nell’ultima guerra, ai clan mafiosi o camorristi, ecc. Così come, riguardo ai cambiamenti,

7 Cf VC 66. 109.

essi sono definitivamente positivi o negativi a seconda di che cosa si cambia e con quale cosa viene cambiata, così anche essere fedeli sarà un atteggiamento moralmente positivo o negativo a seconda che si riferisca a qualcosa di buono o di cattivo.8

La fedeltà, quindi, non ha un contenuto specifico in se stessa; espri-me soltanto che un certo atteggiaespri-mento dura nel tempo. In conseguen-za, essa non è un traguardo (ciò che vogliamo non è semplicemente essere fedeli), bensì un effetto (ciò che vogliamo è continuare a vivere secondo un nostro impegno). La persona non dà se stessa alla fedeltà, come se fosse un qualcosa in sé, ma ad una persona, un valore, una causa e poi continua in quella donazione, cioè, gli resta fedele.

Qual è, allora, il rapporto tra impegno e fedeltà? L’impegno precede la fedeltà: siamo fedeli agli impegni presi. Se oggi siamo fedeli è perché ci siamo impegnati in precedenza. Fedeltà ad un impegno vuol dire che quell’impegno, iniziato nel passato, continua nel presente e si pensa di prolungarlo nel futuro. La fedeltà non è dunque qualcosa di nuovo, di diverso dall’impegno, anzi lo presuppone. La fedeltà non è iniziativa ma risposta, conseguenza, effetto, continuità.

Impegno e fedeltà, dunque, si condizionano a vicenda nella vita: se un impegno vuol andare oltre la fugacità di un momento concreto deve durare, diventando così veramente un impegno fedele, in altre parole, fedeltà impegnata.

Tutto ciò non significa, però, che restare fedeli si riduca a ripetere tale e quale il passato nel presente, nonché il proposito di continuare ancora così nel futuro. Ricordiamo, infatti, che ogni impegno (com-presa la professione religiosa, il sacerdozio o il matrimonio) ha luo-go nella storia e, in conseguenza, è sempre in divenire; nella novità di ogni presente, infatti, scopriamo cosa significhi e comporti per la nostra vita, magari con delle sfumature nuove, persino impensate prima. La vocazione dell’uomo (del religioso, nel nostro caso) implica continua

8 Secondo alcuni, invece, la fedeltà sarebbe sempre un concetto positivo. Viene dal latino fidelitas, fides, il cui significato sarebbe segnato dall’idea di fede, fiducia [cf aDnés P., Fidélité, DS V, fasc. 33-34, Paris 1962, 308; lóPez A.M., La fidelidad como instrumento de la vocación humana, in RevFil 16 (1983) 347-365; Presa Díez M., Fieles,

¿por qué? Y ¿a quién?, in Vida Religiosa 52 (1982) 369-382. Altri mettono in risalto che si può essere fedeli soltanto verso una persona, ma non verso una cosa, una situazione o un’idea (cf PaluMbieri Sabino, L’uomo questa meraviglia, Roma, LAS 1999, 278), così come sostiene il filosofo gabriel Marcel (cf MarCel gabriel, Être et avoir, Paris, Aubier 1935, 139).

revisione, dialogo permanente, lungo travaglio, ricerca e discernimento incessante, decisione progressiva e forse alle volte brancolante, poiché l’impegno viene sottoscritto in mezzo all’incertezza, la novità e l’usura della quotidianità storica. Basta pensare che, quando abbiamo emes-so la nostra professione religiosa (e, ancor prima, nel nostro ingresemes-so in probandato o noviziato) non sapevamo né potevamo sapere tutto quanto ci sarebbe capitato dopo. L’impegno lo rinnoviamo, lo ripren-diamo e, in qualche misura, lo ricreiamo in simbiosi con la realtà pre-sente, nella ricerca continua dei segni dei tempi.

Il “sì” detto la prima volta fu un punto di partenza, una presa di posizione, una promessa, un proposito, una speranza, ma, siccome la vita è sempre in movimento, la decisione deve essere rinnovata costan-temente; solo così l’impegno diventa permanente.

Perciò, l’impegno, anche se sostanzialmente lo stesso, viene ripen-sato, rimodellato in continuazione, senza che nemmeno ce ne accor-giamo. Basta pensare, ad esempio, all’idea che abbiamo oggi della Vita Religiosa e del nostro Istituto, e quella che avevamo quando siamo en-trati o eravamo novizi. Insomma, l’impegno è sempre e inevitabilmente in divenire. Ciò che vogliamo è viverne i valori di fondo anche oggi, secondo le possibilità, le esigenze ed i condizionamenti di oggi. In altre parole, l’oggi non sarà mai come l’ieri, così come il domani non potrà essere tale quale all’oggi, e la ragione è semplice: l’oggi ha sempre in più almeno l’esperienza dell’ieri, che ieri non avevamo, e il domani avrà l’esperienza dell’oggi che oggi non abbiamo ancora.

Un esempio chiaro di tutto questo fu proprio il rinnovamento con-ciliare e postconcon-ciliare promosso dal Vaticano II. Motivo del rinnova-mento e del cambiarinnova-mento di tante cose non fu il tradirinnova-mento ma la fe-deltà allo Spirito Santo, al proprio Fondatore o Fondatrice, al carisma dato da Dio e alle esigenze del nostro tempo.9 Cambiammo per fedeltà, non contro la fedeltà,10 allo stesso modo che i nostri Fondatori furono

9 Cf ConCilio vatiCano ii, Perfectae Caritatis [= PC], 2-6, in Enchiridion Vatica-num [= EV], Documenti del Concilio Vaticano II. Testo ufficiale e traduzione italiana, 7ª edizione, Bologna, EDB 1968, 385-415.

10 Da notare che oggi, accanto alla tendenza che considera il Vaticano II ormai superato (vorrebbero subito un Vaticano III), ce n’è un’altra che, invece, tenta di bloc-care i dinamismi partiti da quel Concilio; atteggiamento quest’ultimo particolarmente pericoloso perché si presenta in nome e sotto forma di vera fedeltà. Anzi, per alcuni che non hanno vissuto né la situazione conciliare, né il travaglio postconciliare, certe cose del passato diventano interessanti e nuove, persino moderne. A parte i nostalgici

(adul-fedeli al loro tempo e allo Spirito vivendo diversamente dai loro prede-cessori e da noi. È la fedeltà creativa, di cui parlava l’Esortazione post-Sinodale Vita Consecrata.11 Come diceva giovanni Paolo II, il “Duc in altum” (“prendere il largo”: Lc 5,4) «… ci invita a fare memoria del passato, a vivere con passione il presente, ad aprirci con fiducia al futuro:

“Gesù Cristo è lo stesso, ieri, oggi e sempre!” (Eb 13,8)».12 Che quell’im-pegno continui nel tempo dipenderà dal fatto che noi riprendiamo in ogni presente i valori di fondo di quanto esso significa e comporta.

Ecco perché un impegno, come quello del religioso, è frutto di un calcolo, di un rischio e di una speranza: calcolo di ciò che credo di esse-re e di poter diventaesse-re, di ciò che cesse-redo che Dio vuole da me; speranza che quel futuro desiderato si avveri veramente e rischio che possa tra-dirlo. È una sfida lanciata a me stesso e al tempo, nonché all’aiuto che so che Dio mi darà. Mi fido di Dio, di me e degli altri; una speranza che diventa teologale, grazie alla fede: siamo sicuri che l’aiuto del Signore sarà più forte dei nostri limiti e fragilità.13

Impegnarsi non è, dunque, firmare un assegno in bianco, ma una

ti e anziani, nonché una certa generazione di giovani sorretta e fomentata dai primi) che non hanno mai accettato il Concilio, è quella la tipica reazione adolescenziale contro la generazione dei genitori, che fa vedere per lo meno come “simpatiche” certe cose dell’epoca dei nonni. È ovvio che un tale atteggiamento adolescenziale significa andare contro la storia e, quindi, non può avere un futuro di maturità umana e spirituale. La storia, dicevano gli antichi, è maestra di vita (historia magistra vitae); non ha fretta, ma il suo giudizio preso o tardi diventa sempre chiarificatore contro qualsiasi mistificazione.

Un tipico esempio di questo voler tornare indietro senza accettare il Vaticano II è – da parte di alcuni – quello di reintrodurre la cosiddetta “Messa di San Pio V”, a partire dal 14 settembre 2007 secondo le norme del Motu proprio Summorum Pontificum del 7 lu-glio 2007. In realtà si tratta dell’edizione del Messale pubblicata da giovanni XXIII nel 1962, prima dunque della riforma conciliare e postconciliare. Infatti, il problema non è voler celebrare in latino o cantare musica gregoriana, perché lo si è potuto fare anche con la Messa riformata da Paolo VI; tanto meno è che si consideri quella Messa precon-ciliare quasi eretica, perché la abbiamo celebrata legittimamente e ortodossamente per secoli; l’unica ragione vera, confessata o meno, è il rifiuto della riforma conciliare; il re-sto sono soltanto sofismi. Ora, non accettare il Vaticano II non è una questione di gusti o preferenze liturgiche, bensì una questione ecclesiologica, cioè, di teologia dogmatica;

qualcosa di molto più serio di un gesto di comprensione verso i nostalgici veri o finti!

In realtà si introduce nella Chiesa un principio in qualche misura scismatico, cioè, la possibilità di non accettare un concilio, e sappiamo come viene giudicato questo dalla teologia. Senza dimenticare il famoso principio lex orandi, lex credendi.

11 Cf VC 37; ivi 36, 70; RC 18.

12 NMI 1.

13 Cf Rm 4,18; 1Cor 1,16-31; 10,13; 15,10; 2Cor 12,9-10; Fil 4,13.

sfida fondata, un rischio; è anche frutto della convinzione che è più probabile il successo che l’insuccesso. Proprio questa è la ragion d’esse-re dell’impegno: ci impegniamo affinché quanto vogliamo che avvenga e crediamo che possa avvenire, avvenga di fatto.

Ritornando al tema, la fedeltà non è semplice ripetizione meccani-ca, ma è creatività e invenzione in libertà; è impegno-in-divenire, non stagnazione, fissazione, fossilizzazione, è camminare avanti guardan-do indietro (si rischia di andare a sbattere!), avvolti dalla nostalgia, o sognando un futuro impossibile (il rischio in questo caso sarebbe di vivere fuori della realtà). Rimanere fedeli non significa ripetere ugual-mente oggi quanto abbiamo fatto ieri. La fedeltà è una ricerca continua e creatrice su come vivere anche oggi l’impegno iniziato poc’anzi o tan-to tempo fa, ed il cui traguardo appartiene ancora al futuro, secondo però l’originalità ed i segni del tempo in cui viviamo. Camminare avanti portando con sé la valigia del passato; una valigia che rimane aperta per accogliere sempre nuove ricchezze. Vuol dire continuare a cammi-nare sulla stessa strada mentre cambiano in continuazione il paesaggio attorno a noi e la terra sotto i nostri piedi. Non possiamo rinnegare il passato, perché noi siamo oggi quanto resta del passato. Noi andiamo verso il futuro, nel presente, con ciò che resta del passato. Perciò, non possiamo ignorare né disprezzare il passato, né pretendere di sbaraz-zarcene; sarebbe un suicidio, negare noi stessi. D’altra parte, tradire il presente per amore del passato, o ridurre il presente a semplice ripe-tizione del passato, sarebbe tradire lo stesso passato, poiché esso non voleva essere altro che fedeltà a quel presente che oggi non c’è più. Per questo, il miglior modo di essere fedeli al passato è quello di essere fe-deli al presente, così come i nostri antenati (e noi stessi tempo addietro) furono fedeli al loro presente, che per noi è passato. Il passato è auto-riconoscimento, vita vissuta, esperienza umana e spirituale, fondazione e inizio del futuro; disprezzarlo o ignorarlo sarebbe rinnegare se stessi!

È un bagaglio che ci serve per capire meglio e per vivere più pienamen-te il presenpienamen-te in cammino verso il futuro. Il passato dunque va amato;

ma non può pretendere di essere una specie di traguardo: questo è un privilegio che appartiene soltanto al futuro.

C’è un proverbio che dice: “Persevera! Ricorda che il rovere fu una volta un seme fedele alle sue radici!”. Ogni rovere è una ghianda che perseverò proprio perché scomparve divenendo rovere. Dio ci chiama a non restare ghiande, ma a diventare rovere! O, come disse il Signore:

“Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece

muore, produce molto frutto” (gv 12,24); deve trasformarsi, cambiare, per portare a termine la “vocazione-missione” ricevuta. Fedeltà non è dunque immobilismo, passività, irrigidimento, formalismo o legalismo, voler fermare il tempo e la storia; pretesa inutile, perché con noi o senza di noi non si fermano lo stesso!14

Ecco l’importanza dell’attenzione e della scoperta continua dei co-siddetti segni dei tempi. Diceva un grande teologo della Vita religiosa:

«Essere fedele non significa soltanto ‘durare’, ma offrire se stesso conti-nuamente al dono ricevuto […]. Non si tratta di riferirsi al passato e ai dettagli di una regola fissa quanto piuttosto di attivare un vero dialogo in seno alle circostanze sempre nuove. La vera fedeltà è creatrice, è attenta alle chiamate impreviste di Dio, della Chiesa, dei fratelli, per poter incarnarsi in risposte concrete (certo, sempre nella linea della vocazione ricevuta): ‘Ti seguirò dovunque andrai’ (Mt 8,9). E questo può condurre a scelte difficili: ‘Un altro ti condurrà dove non vuoi’ (gv 21,18)».15

Tutto questo appare più chiaramente se la fedeltà viene intesa come fedeltà a qualcuno piuttosto che a qualcosa; nel nostro caso, non si tratta semplicemente di essere fedeli a delle norme, a un testo, benché si tratti della Regola o Costituzioni (non sono altro che mezzi, mediazioni),16 ma a Dio, alla Chiesa, al mondo e ai confratelli o consorelle. In ef-fetti, «se la fedeltà è essenzialmente fedeltà a qualcuno in un’alleanza, potrà, senza timori e meschinità, accogliere la vita nella sua novità e

14 Il passato non è una specie di feticcio: «La fedeltà si salva soltanto nell’atto in cui crea» (MarCel gabriel, Être et avoir, Paris, Aubier 1935, 139). Come commenta Palumbieri: «Essa si può così descrivere: fedeltà nel dinamismo come adattamento e rinnovamento, e dinamismo nella fedeltà come impegno di perseveranza nella scelta espressa dalla parola di coerenza» (PaluMbieri Sabino, L’uomo, questa meraviglia. An-tropologia filosofica. I. Trattato sulla costituzione antropologica, Urbaniana University Press, Città del Vaticano 1999, 278).

15 aubry Josef, Teologia della Vita Religiosa, Leumann (Torino), Elle Di Ci 1980, 197-198. Uno dei maggiori moralisti cattolici del secolo XX affermava: «Fedeltà e sta-bilità non sono la stessa cosa […]. Esiste una stasta-bilità che è infedele al Signore della storia e al proprio innato dinamismo per la crescita. E c’è nell’uomo, come creatura, una certa instabilità che non significa affatto infedeltà» (häring Bernard, Liberi e fedeli in Cristo, II, Roma, Paoline 1980, 85).

16 Noi non crediamo nel “Credo”: nel “Credo” noi spieghiamo in chi crediamo e cosa ha fatto per noi per spingerci a credere in Lui. La nostra fede si rivolge a Qualcu-no, non a qualcosa. Nelle Costituzioni noi troviamo spiegato cosa significhi e suppon-ga il dono carismatico-vocazionale che abbiamo ricevuto dallo Spirito e come viverlo coerentemente.

nei suoi cambiamenti. Ciò che conterà per lei non sarà la permanenza delle condizioni di un contratto, ma l’approfondimento quotidiano di un legame. Dio non attende da me che sia fedele alla mia parola, ma che sia fedele a Lui, cioè che non lasci di rivolgermi a Lui, anche nelle mie debolezze e nei miei tradimenti, come a colui che è la luce e la gioia della mia vita».17

La fedeltà è, allo stesso tempo, ricordo ed invenzione, memoria e ricerca, coscienza del passato rivolta verso il futuro nel o dal presente.

Né chiusura nel passato né rifiuto del medesimo, ma assunzione o riap-propriazione del passato nella nuova realtà presente in cammino verso il futuro, lasciando che sia il presente e la tensione verso il futuro a trasformare quanto resta di valido del passato.18 Fedeltà non è “rimane-re” ma “diventa“rimane-re”, portare a compimento quel traguardo (vocazione e missione), quel rapporto filiale che Dio aspetta da noi e che non si è ancora adempiuto completamente. Non si tratta tanto di essere “fedeli al passato”, ma di essere “fedeli al futuro”, visto che è lì che ci aspetta il traguardo, nel nostro caso: il Signore, Padre e giusto giudice (cf Lc 15,11-32; 2Tim 4,8).

Si capisce allora perché la fedeltà può portare a delle rotture nei confronti di certi elementi del passato, perché essa non è conformismo né mera ripetizione. L’alunno fedele non è colui che si limita a ripetere gli insegnamenti ricevuti dal maestro, né colui che idolatra l’insegnante, per quanto quest’ultimo possa essere saggio e venerabile, ma colui che, prendendo spunto da quanto ha imparato dal maestro, e forse tuttora accompagnato o confrontandosi ogni tanto con lui, si lancia a pensare per conto suo (come si suppone che fece, a sua volta, il maestro saggio nei confronti dei suoi maestri). San Paolo fu fedele a Dio e a se stes-so, alla sua coscienza e vocazione-missione, sia quando perseguitava la Chiesa (convinto che fosse questa la volontà divina), sia quando, rom-pendo con il passato di fariseo arrabbiato, ne diventò apostolo (cf At

17 ronDet Michel, Il celibato evangelico in un mondo misto, Napoli, Dehoniane 1981, 66.

18 Importante, a riguardo, il significato di tradizione [cf largo P., Tradición, in aa.vv., Diccionario Teológico de la Vida Consagrada, Madrid 1989, 1737-1758; peccato che questo articolo sia scomparso nell’edizione italiana dell’opera: Dizionario Teologico della Vita Consacrata, Milano, Ancora 1994]. Si veda anche: vázQuez a., Realizzazione personale, in ivi 1480-1481; Citrini T., Tradizione, in aa.vv., Teologia, Cinisello Balsa-mo, Paoline 2002, 1768-1784; arDusso F., Tradizione, in aa.vv., Nuovo Dizionario di Teologia, Alba, Paoline 1977, 1767-1782.

9). Non pochi Fondatori e singoli religiosi hanno cambiato Istituto o ne hanno fondato un altro, per fedeltà alla nuova chiamata dello Spirito dopo una prima chiamata a formar parte del primo Istituto, o quando erano tuttora alla ricerca della volontà di Dio (basti pensare a M. Teresa di Calcutta). Quante volte, ancora, la fedeltà ai valori di un gruppo o la ricerca del bene dei suoi componenti esige, per amore al gruppo o alle singole persone, di allontanarsi da taluni comportamenti del medesimo:

“essere-con” può significare il rifiuto di “essere-come”, ad esempio, in una comunità religiosa rilassata.19 Così come “permanenza” non ha lo stesso significato di “fedeltà: si può restare anche per inerzia, per co-modità, per calcolo (“Visto tutto… mi conviene restare”), per egoismo, non per fedeltà.

L’assenza di crisi, di difficoltà o tensioni, di novità può non essere segno di coerenza e di fedeltà ma di mancanza di vitalità o di persona-lità, segno di degenerazione o di morte. La semplice ripetizione può significare rifiuto di crescere.20 L’identità dell’essere vivente implica crescita e, quindi, modificazione. Il seme, se rimane tale (“se non muo-re” gv 12,24), non darà mai frutto, perché solo nel frutto trova il suo traguardo, la sua “vocazione e missione”: si identifica con quanto è chiamato ad essere non con quanto era all’inizio; è lì che trova la sua ragion d’essere, la sua spiegazione e meta, la sua piena e vera identità.

Insomma, in nessun altro posto al mondo c’è tanta “pace e ordine”, tranquillità, come in un cimitero; ma, perché non c’è vita!

19 La fedeltà letterale ad un ordine ricevuto può andare contro il valore che l’ordi-ne voleva salvaguardare. Certe trasgressioni storiche hanno dimostrato (non sempre, certo!), a lunga scadenza, di essere state veramente fedeli all’intenzione del legislatore, allo “spirito” della norma anche se ne hanno tradito la “lettera”. Non basta essere meri esecutori di norme, bisogna eseguirle con tutta la persona, quindi con intelligenza; e ciò può portare a spostarsi in parte o in tutto dalla lettera pura e semplice dell’ordine ricevuto. Mai ci viene risparmiato di agire secondo il nostro retto giudizio (cf GS 16).

20 Attenzione ai formandi troppo “lisci”: obbedienti o senza personalità? Chi non ha mai subito la crisi rischia di rimanere fragile, inesperto, immaturo. Non aver vissuto la crisi tipica dell’adolescenza (crisi affettive, sessuali…), al minimo cenno di crisi più

20 Attenzione ai formandi troppo “lisci”: obbedienti o senza personalità? Chi non ha mai subito la crisi rischia di rimanere fragile, inesperto, immaturo. Non aver vissuto la crisi tipica dell’adolescenza (crisi affettive, sessuali…), al minimo cenno di crisi più