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Interrogati innanzitutto sul ‘perché’

E LA PROFEZIA DEI CONSIGLI EVANGELICI OGGI Sabatino M ajorano 1

1. Interrogati innanzitutto sul ‘perché’

Le sfide etiche, che l’opera formatrice è chiamata oggi ad affrontare, sono numerose e complesse: mettono in gioco non solo la legittimità di alcuni comportamenti, ma il perché stesso della morale. La domanda morale non va, prima di tutto, sul come agire, ma sul perché non solo dei singoli comportamenti ma anche della stessa distinzione tra bene e male. In ultima analisi, in un contesto caratterizzato dal pluralismo si fa sempre più pressante la domanda sul perché scegliere appellandosi al “bene” e al “male”. Anzi, ci si chiede sempre più spesso se una tale distinzione non debba essere accantonata, in quanto fonte di divisioni e di violenza.

In prospettiva più specificamente vocazionale, l’interrogativo non riguarda innanzitutto i contenuti della scelta, ma sul perché impegnare la propria vita in una prospettiva, per quanto bella, precludendosi altre possibilità.

Occorre non sottovalutare, in tutta l’opera di formazione, l’inciden-za di tale interrogativo. Se fino a qualche decennio fa potevamo dare per scontata la legittimazione della distinzione tra bene e male, oggi non è più possibile farlo. Occorre aiutare i giovani a porsi e rispondere positivamente a questo perché.

Per meglio orientare la nostra riflessione è bene rileggere alcuni testi magisteriali che risultano particolarmente significativi, anche in pro-spettiva pedagogica. Il primo è tratto da Veritatis Splendor, l’enciclica che giovanni Paolo II ha dedicato alla maniera in cui articolare la pro-posta morale: «La scristianizzazione, che pesa su interi popoli e comu-nità un tempo già ricchi di fede e di vita cristiana comporta non solo la perdita della fede o comunque la sua insignificanza per la vita, ma anche, e necessariamente, un declino o un oscuramento del senso mo-rale: e questo sia per il dissolversi della consapevolezza dell’originalità della morale evangelica, sia per l’eclissi degli stessi principi e valori etici fondamentali. Le tendenze soggettiviste, relativiste e utilitariste, oggi ampiamente diffuse, si presentano non semplicemente come posizioni pragmatiche, come dati di costume, ma come concezioni consolidate

dal punto di vista teoretico che rivendicano una loro piena legittimità culturale e sociale».2

Questo declino o oscuramento del senso morale non è limitato ai pae-si di antica evangelizzazione. I procespae-si di globalizzazione, soprattutto perché gestiti dalle logiche del profitto e del consumo, lo hanno esteso al mondo intero. Non si tratta solo di posizioni pragmatiche, diverse e perfino contraddittorie, ma della legittimazione anche sociale che viene rivendicata per ognuna. Ne deriva che si fa fatica ad accettare che la comunità socio-politica possa sostenere o incoraggiare in un senso o in un altro: deve limitarsi a garantire che nessuno cerchi di imporre con la violenza la propria posizione agli altri.

È importante che l’opera di formazione non dimentichi questo cli-ma sociale, respirato a pieni polmoni dai giovani. A cominciare dalla famiglia, essi non vengono sempre stimolati al discernimento critico partendo dai valori. Troppo spesso ci si limita a prospettare loro una specie di “supermercato” delle scelte di vita, dimenticando che senza la capacità di discernimento si finisce per optare non per quella che ef-fettivamente vale, ma per quella che con maggiore capacità persuasiva viene pubblicizzata. E il criterio ultimo diventa sempre più il comodo e sicuro “così fanno tutti”.

In Evangelium Vitae, l’enciclica dedicata alle sfide concernenti la vita, lo stesso giovanni Paolo II, aggiungeva un ulteriore elemento di riflessione. Parlando del clima morale della nostra società richiamava l’attenzione sul fatto che «larghi strati dell’opinione pubblica giustifica-no alcuni delitti contro la vita in giustifica-nome dei diritti della libertà individua-le e, su taindividua-le presupposto, ne pretendono non solo l’impunità, ma persi-no l’autorizzazione da parte dello Stato, al fine di praticarli in assoluta libertà ed anzi con l’intervento gratuito delle strutture sanitarie».3

Alla nostra riflessione questa mattina non interessano direttamente le problematiche bioetiche, per quanto importanti e urgenti. Quello che mi preme sottolineare è la trasformazione del “delitto” sulla vita debole in “diritto” esigito dalla libertà della vita forte. Ed è una dina-mica che non si limita al campo bioetico, ma si diffonde sempre più in

2 giovanni Paolo ii, Veritatis Splendor [= VS], Lettera Enciclica circa alcune que-stioni fondamentali dell’insegnamento morale della Chiesa, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana 1993, 106.

3 iD., Evangelium Vitae [= EV], Lettera Enciclica sul valore e inviolabilità della vita umana, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana 1995, 4.

tutti i settori della nostra società e contagia anche le nostre comunità, rendendo più problematica la capacità di accoglienza e di orientamen-to delle nuove vocazioni.

giovanni Paolo II additava la causa di tutto questo in una realtà so-ciale «più vasta, che si può considerare come una vera e propria struttu-ra di peccato, castruttu-ratterizzata dall’imporsi di una cultustruttu-ra anti-solidaristica, che si configura in molti casi come vera “cultura di morte”. Essa è atti-vamente promossa da forti correnti culturali, economiche e politiche, portatrici di una concezione efficientistica della società. guardando le cose da tale punto di vista, si può, in certo senso, parlare di una guerra dei potenti contro i deboli: la vita che richiederebbe più accoglienza, amore e cura è ritenuta inutile, o è considerata come un peso insoppor-tabile e, quindi, è rifiutata in molte maniere».4

Quando i diritti vengono formulati partendo da quelli dei più forti, dei più sani, di coloro che hanno più mezzi, si finisce necessariamente con il dimenticare quelli dei più deboli, dei più vulnerabili, dei più po-veri, fino a trasformare il privilegio dei primi in diritto, anche quando è negazione di qualcosa di fondamentale per i secondi. Questa tendenza culturale va denunziata con franchezza, sottolineando che essa incrina una delle pagine più belle della modernità: quella che ha portato alle grandi carte dei diritti dell’uomo, rette proprio dalla preoccupazione di garantire innanzitutto ai più deboli i diritti propri di tutti. Occorre però essere vigilanti, perché essa preme sempre più anche sulle nostre comunità e non sempre riusciamo a operare un pronto discernimento.

Penso, ad esempio, alla maniera con la quale organizziamo la nostra vita quotidiana o decidiamo le nostre strutture: non sempre è chiaro che ci preoccupiamo innanzitutto dei diritti e della qualità di vita dei più deboli. Eppure si tratta di una istanza decisiva per la credibilità del-la nostra testimonianza. Nel cammino formativo è necessario prestarvi una particolare attenzione.

Quanto alle sfide, che oggi si pongono con più forte urgenza, è giu-sto partire dalla presentazione che ne fa giovanni Paolo II in Novo Millennio Ineunte, la lettera programmatica per il nuovo millennio.

Egli ricorda innanzitutto lo stretto legame che esiste tra carità/pover-tà ed evangelizzazione (un legame che è stato sempre alla base della vita delle comunità religiose): «Senza questa forma di evangelizzazione,

4 Ivi 12.

compiuta attraverso la carità e la testimonianza della povertà cristiana, l’annuncio del Vangelo, che pur è la prima carità, rischia di essere in-compreso o di affogare in quel mare di parole a cui l’odierna società della comunicazione quotidianamente ci espone. La carità delle opere assicura una forza inequivocabile alla carità delle parole».5

Richiama poi alcune «sfide» più pressanti: «Come tenerci in dispar-te di frondispar-te alle prospettive di un dissesto ecologico, che rende inospi-tali e nemiche dell’uomo vaste aree del pianeta? O rispetto ai problemi della pace, spesso minacciata con l’incubo di guerre catastrofiche? O di fronte al vilipendio dei diritti umani fondamentali di tante persone, specialmente dei bambini? Tante sono le urgenze, alle quali l’animo cri-stiano non può restare insensibile. Un impegno speciale deve riguarda-re alcuni aspetti della radicalità evangelica che sono spesso meno com-presi, fino a rendere impopolare l’intervento della Chiesa, ma che non possono per questo essere meno presenti nell’agenda ecclesiale della carità. Mi riferisco al dovere di impegnarsi per il rispetto della vita di ciascun essere umano dal concepimento fino al suo naturale tramonto.

Allo stesso modo, il servizio all’uomo ci impone di gridare, opportuna-mente e importunaopportuna-mente, che quanti s’avvalgono delle nuove potenzia-lità della scienza, specie sul terreno delle biotecnologie, non possono mai disattendere le esigenze fondamentali dell’etica, appellandosi ma-gari ad una discutibile solidarietà, che finisce per discriminare tra vita e vita, in spregio della dignità propria di ogni essere umano».6

La risposta costruttiva a tali sfide, data la loro complessità e gravità, esige l’impegno concorde di tutta la comunità cristiana. Non si tratta però di sola operatività, ma di rimodellare la mentalità, lo stile di vita, la maniera di leggere la storia. Il contributo della vita religiosa diventa allora importante. Il dissesto ecologico, infatti, chiama in gioco la testi-monianza della nostra povertà, intesa come capacità di uso rispettoso e condiviso dei beni della terra; la pace e la promozione dei diritti de-vono trovare riscontro nella qualità della nostra vita fraterna; il rispetto della vita, soprattutto più debole ed indifesa, si aspetta da noi dei cuori capaci di aprirsi, accogliere, donarsi, stimolando la nostra capacità di integrare nelle comunità soggetti deboli; l’uso saggio delle potenzialità della scienza esige una fede in dialogo sincero con la nostra cultura.

Le sfide della nostra società diventano allora una “parola” dello

Spi-5 NMI 50.

6 Ivi 51.

rito che invita a rimodellare la nostra testimonianza del Cristo perché sia effettivamente significativa. Si tratta di una preoccupazione che deve accompagnare l’intero processo formativo, aiutando i giovani a leggere le sfide nella prospettiva conciliare dei segni dei tempi in maniera da articolare il loro stile di vita come risposta credibile.

Le sfide etiche rimandano a qualcosa di più fondamentale: l’emar-ginazione di Dio dalle dinamiche sociali e la sua ghettizzazione nel pri-vato. Pesano ancora le istanze della “cultura del sospetto” che tanto ha segnato la mentalità sociale nel secolo scorso. Oggi però l’emarginazio-ne di Dio viel’emarginazio-ne proposta soprattutto perché il riferimento a lui sarebbe causa di conflitto e di contrapposizione non già di incontro. È quanto Benedetto XVI sottolinea nella sua prima enciclica: in «un mondo in cui al nome di Dio viene a volte collegata la vendetta o perfino il dove-re dell’odio e della violenza», occordove-re che la comunità cristiana dove-renda ancora più chiara la testimonianza dell’autentico suo volto: «“Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui” (1gv 4,16). Queste parole della Prima Lettera di Giovanni esprimono con singolare chiarezza il centro della fede cristiana: l’immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell’uomo e del suo cammino.

Inoltre, in questo stesso versetto, giovanni ci offre per così dire una formula sintetica dell’esistenza cristiana: “Noi abbiamo riconosciuto l’amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto”».7